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RICORDI
tratto dal n. 07/08 - 2001

Il galantuomo Montanelli


Uno scambio di lettere del ’99 tra il giornalista scomparso il 22 luglio e il nostro direttore: Montanelli propone ad Andreotti di ricostruire assieme la storia della politica italiana degli ultimi cinquant’anni


di Giulio Andreotti


Indro Montanelli

Indro Montanelli

Quando due anni or sono Indro Montanelli mi propose di condurre un approfondito esame in comune delle grandi linee attraverso cui si è snodata la politica italiana dell’ultimo mezzo secolo, ne fui inorgoglito. E detti subito la mia adesione, riservandomi di concertare il modo di attuare questo disegno per me tanto gratificante. Purtroppo tra un rinvio e l’altro non abbiamo considerato abbastanza che lo "scorcio di vita" di cui disponevamo aveva dei limiti. Posso pertanto pubblicare soltanto lo scambio iniziale di lettere, e se la mia "prorogatio" me lo consentirà scriverò qualche riflessione dedicandola alla memoria di un personaggio che rimarrà a lungo importante per interpretare la storia d’Italia.
Di me si era occupato in tante occasioni fin da quando scrisse che mentre De Gasperi si recava in chiesa a pregare io mi intrattenevo con il sagrestano. Ironia per ironia, gli risposi che il sagrestano era un elettore. In seguito fu spesso sottilmente critico; non di rado polemico; ma in momenti per me delicati molto solidale. Gli sembrava che io fossi debole verso i comunisti, ma il suo anticomunismo non fu mai per così dire viscerale o antidemocratico. Anche l’accento su un mio filoarabismo mi sembrava più di dialettica e di maniera che non espressione alternativa rigida tra attenzione o per gli arabi o per gli israeliani. Ben più complessa e articolata era ed è la problematica del Medio Oriente. Analogo rilievo va fatto per l’accusa di incertezza al momento della guerra del Golfo. Non vi fu alcuna esitazione nel condannare l’invasione del Kuwait, ma mi associai al tentativo internazionale — purtroppo non riuscito — di convincere Saddam Hussein a ravvedersi.
Nella politica interna Montanelli fu sempre un moderato, talvolta con motivazioni sconcertanti, come quando disse che votava per la Dc ma turandosi il naso. Senza complicazioni nell’olfatto caldeggiò invece a Milano le… rumorose maggioranze silenziose. Pagò di persona, e raggiunto il 1� giugno 1977 da due colpi di pistola, non abbassò la guardia, mantenendo intatta la sua intransigenza contro tutti i movimenti, le mode e le scuole del cosiddetto novismo.
Sul nostro universo democristiano in più occasioni sembrò simpatizzare per Fanfani, attratto forse dalla comune toscanità.
Maddalena, la madre di Montanelli, con il piccolo Indro in braccio

Maddalena, la madre di Montanelli, con il piccolo Indro in braccio


Indro non ha voluto funerali. Non è sentimentalismo romantico il provare tristezza nel vederlo tornare polverizzato a Fucecchio dove aveva ricevuto grandi feste in occasione dei suoi novanta anni. Rilasciò allora a 30Giorni una importante intervista nella quale non solo si espresse in termini molto elogiativi verso Giovanni XXIII e verso Giovanni Paolo II, ma disse: "Io sono nato e cresciuto cattolico. Avevo una madre molto pia, osservante e un padre che era cattolico come lei ma non lo sapeva, non osservava niente (non ne parlava) ma il modo di ragionare era cattolico. Gli italiani non si rendono conto di essere cattolici, ma lo sono, sono profondamente condizionati dalla mentalità cattolica. […] Mia madre è morta a novantasei anni, ancora credendo in Gesù: pensi che bellezza. Questa è la fede che io vorrei".
E in chiusura dell’intervista ricordò che per sottrarlo al plotone di esecuzione dei tedeschi fu determinante una lettera del cardinale Schuster al generale Kesselring. "Se fucilate Montanelli fucilate un galantuomo".
È questo galantuomo che ricorderemo con sempre grande rispetto e ammirazione.


"Caro presidente, chiedo solo libertà di commento. Ci sta?"

15 gennaio 1999

Caro presidente,
come forse avrà visto, io sto cercando di dedicare questo mio ultimo scorcio di vita alla ricostruzione del Novecento politico italiano, che è stato, quasi per intero, il mio habitat. Spero di averlo, col mio amico Cervi, fatto in maniera decente e abbastanza obiettiva per quanto possa esserlo una ricostruzione storica. Ma non ne sono soddisfatto perché mi è mancata una delle figure centrali che ne fanno da perno. Ho quella del ventennio fascista, e tutti sappiamo chi è. Ho quelle dell’immediato dopoguerra, De Gasperi e Togliatti. Mi manca quella che nella sua vicenda personale riassume il cinquantennio della Prima Repubblica, o per lo meno ne costituisce il filo conduttore: Andreotti.
Lei ed io non siamo mai stati né amici né nemici. Ci saremo incontrati, in tutto, tre o quattro volte. Una sola volta le ho fatto, per conto della Rai, un’intervista, ma "di maniera". Di lei so soltanto che, di quest’ultimo mezzo secolo, non c’è vicenda politica che si possa ricostruire senza inciampare nel suo nome. Ed ecco perché ora le chiedo di aiutarmi a riempire le schede che mi mancano — e me ne mancano almeno i quattro quinti — della sua personalità e attività.
Le faccio un esempio, che può essere anche il punto d’avvio del nostro colloquio, se lei accetta di intavolarne uno con me. Della sua origine, famiglia e primissima gioventù, il comune lettore sa poco perché mi pare che poco lei ne abbia parlato. La "leggenda Andreotti", che forse è la pura verità, comincia da quando il giovanissimo Giulio, alla scelta fra la militanza nella Federazione a testa e a voce bassa della Gioventù cattolica, o Fuci, e quella a testa alta e a voce tonitruante della Gioventù universitaria fascista, o Guf, chiave di entrata per qualsiasi attività e carriera, opta per la prima, e non soltanto perché gliel’ha suggerito il parroco, cui è per tradizione di famiglia devoto, ma perché Giulio è già Andreotti, e vede più lontano di quasi tutti i suoi coetanei. Così lontano da scegliersi come tesi di laurea uno studio sulla Marina pontificia, che doveva consistere in una dozzina di zatteroni, per procurarsi un lasciapassare nella Biblioteca Vaticana, dove ha saputo che in un angolino lavora da piccolo impiegato "di concetto" un povero residuato del vecchio Partito popolare di don Sturzo, già arrestato dalla polizia fascista ed escluso da qualsiasi altra attività, tale De Gasperi Alcide, di cui diventa amico e si guadagna la fiducia. Sembra un cattivo investimento perché il suddetto non gode nemmeno le simpatie di un Papa che, avendo riconosciuto nel Duce "l’uomo della Provvidenza", ha paura di farsi nemica la Provvidenza ospitando e proteggendo un suo nemico. Ma l’Andreotti Giulio vede, a vent’anni, più lontano del Papa.
Tutte balle, probabilmente, ritagliate sulle misure dell’Andreotti di venti o trent’anni dopo. Ma vorrei che questo me lo dicesse lei, raccontandomi al dettaglio come andò effettivamente questo incontro che doveva in ogni caso rivelarsi per lei decisivo.
Ecco, caro presidente, il genere di domande che, se lei accetta di rispondervi, ho intenzione di porle. Con questo impegno, si capisce: che, delle sue parole, io non ne pubblicherò nessuna che prima non sia stata da lei revisionata e autenticata. Ma mi riservo soltanto, e lei dovrà riconoscermi, la libertà di commento.
Ci sta?
Io spero di sì perché sono convinto che della Prima Repubblica lei sia stato, nel bene e nel male, il protagonista n°1 anche nei periodi in cui tale non appariva, anzi specialmente in quelli. Lei me ne racconterà quel che potrà e vorrà. Ma si ricordi che meno ne tace e più riuscirà a dissolvere le molte zone d’ombra che avvolgono la sua figura. A meno che non sia proprio a queste zone d’ombra che lei è particolarmente affezionato.
Suo,
Indro Montanelli



Roma, 20 gennaio 1999

Caro Montanelli,
la sua attenzione mi lusinga e dobbiamo fare in modo che lo "scorcio di vita" che ci rimane duri abbastanza a lungo, per poter soddisfare una curiosità che forse è presente — lo dicano o no — in molta gente, che si domanda se sia un omonimo quel sottosegretario italiano che, come ha di recente ricordato l’ex ambasciatore a Roma Raab, veniva presentato al presidente Eisenhower, quando Bill Clinton aveva appena smesso di prendere il latte materno.
Sono proprio io. Per una serie di fortunate circostanze mi sono trovato giovanissimo ai vertici della vita pubblica e ci sono rimasto.
Fortunate circostanze: lo sottolineo, anche se lei mi accredita, sia pure come ipotesi, una capacità di orientamento nella vita tale da ridicolizzare la potenza di un radar. Rasenta certamente l’incredibilità la circostanza che nel primo incontro con De Gasperi lui sapeva chi ero io (presidente della Fuci) ed io nulla sapessi di questo ficcanaso che mi invitava ad occuparmi di cose più serie della Marina pontificia; che però, a differenza di quel che lei ritiene, non aveva solo zatteroni, ma quel bellissimo yacht "Immacolata Concezione" che Nino Bixio risparmiò occupando Civitavecchia, attirandosi le critiche dei suoi compagni garibaldini. Poco dopo la consultazione alla Vaticana, convocato nella casa dell’avvocato Giuseppe Spataro, antico presidente della Fuci e futuro ministro, fui invitato dall’onorevole De Gasperi ad associarmi al lavoro clandestino dei democristiani.
Comincia così la mia storia. Secondo una espressione delle classi sociali alte, chi è estraneo alla casta si dice che "non nasce". Io non nasco. Vengo da una piccolissima famiglia della provincia. Mio padre, tornato malconcio dal servizio di guerra, morì quando avevo due anni e trascorsi l’infanzia presso una zia materna nel vecchio rione romano di Campo Marzio. La zia — classe 1854 — non dimenticava i sedici anni vissuti sotto lo Stato Pontificio e parlava di Pio IX con palese nostalgia. Di qui, forse, il mio animo italianamente un po’ papalino.
A presto, caro Montanelli.
Suo,
Giulio Andreotti

P.S. L’appartenenza alla Fuci non impediva di iscriversi al Guf. A me anzi fece comodo, perché riuscii a risparmiarmi le quattro ore settimanali di premilitare, lasciando credere al Gruppo rionale che le frequentavo all’Università, e viceversa.


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