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LA CHIESA VISTA DALLA SISTINA
tratto dal n. 07/08 - 2001

PROPAGANDA FIDE. Intervista con il cardinale Crescenzio Sepe

La missione nasce da un sì a Gesù Cristo


Il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli fa il punto sui primi cento giorni del suo mandato


di Gianni Cardinale


Il cardinale Crescenzio Sepe

Il cardinale Crescenzio Sepe

Il 9 aprile il neocardinale Crescenzio Sepe, 57 anni, è stato nominato prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Prende il posto del porporato slovacco Jozef Tomko, 77 anni, che ha guidato Propaganda Fide per 16 anni. Entrato nel servizio diplomatico nel ’72, Sepe ha svolto la sua missione in Brasile e poi nella Segreteria di Stato. Divenuto in seguito assessore per gli affari generali della Segreteria di Stato, nel ’92 è stato nominato arcivescovo e segretario della Congregazione pür il clero. Nel ’97 è stato nominato segretario generale del Comitato centrale e del Consiglio di presidenza del Grande Giubileo dell’anno 2000. In virtù di questo incarico ha seguito in prima persona l’itinerario di preparazione all’Anno Santo e poi l’organizzazione dell’evento. Molto vicino alle esperienze dei movimenti ecclesiali, a fine aprile ha partecipato a Rimini alla XXIV “Convocazione nazionale” del Rinnovamento nello Spirito Santo, la realtà che raccoglie i carismatici italiani. Ad agosto è atteso, sempre sulla riviera romagnola, al Meeting per l’amicizia tra i popoli: il 21 è previsto infatti un suo intervento su “La Chiesa e le attese dell’uomo”.
Il cardinale Sepe ha accettato di rispondere, per iscritto, ad alcune domande di 30Giorni sull’inizio del suo mandato da “Papa rosso”: è questo l’appellativo tradizionale riservato al prefetto di Propaganda Fide, dovuto al fatto che il dicastero in questione ha competenze dirette su circa un terzo dell’episcopato mondiale e gode di cospicue risorse finanziarie.
Eminenza, in occasione della sua nomina a prefetto lei ha rivelato che da giovane seminarista avrebbe voluto fare il missionario e ha rievocato la figura di padre Manna...
CRESCENZIO SEPE: Io credo che in ogni vocazione ci sia una componente missionaria, nel senso che nel momento in cui si risponde alla chiamata del Signore viene naturale pensare di portare agli altri, far conoscere e diffondere il più possibile la Parola del Vangelo. E quindi l’atteggiamento missionario viene spontaneo. Talvolta si realizza, altre no. Ma sono convinto che in ogni sacerdote, in ogni consacrato esista una dimensione missionaria. In questo senso, il mio non è un caso isolato; anzi lo vedo ora come un motivo di grazia, un vero e proprio “ritorno” che mi consente di non pensare a quella prima aspirazione da giovane sacerdote come a un desiderio inappagato, bensì come a una realizzazione maturata attraverso altri percorsi.
Lei mi parla di padre Manna e mi pone, così, davanti al volto e al nome di ogni vocazione missionaria della mia terra. Fu padre Manna a fondare, esattamente ottant’anni fa, a Trentola Ducenta, a pochi chilometri dai luoghi della mia infanzia, il Seminario meridionale per le missioni estere, ancora oggi uno degli istituti in grado di dare un forte segno missionario all’intera regione.
Un missionario nigeriano distribuisce la comunione 
in un piccolo villaggio della Nuova Guinea

Un missionario nigeriano distribuisce la comunione in un piccolo villaggio della Nuova Guinea

Considero un fatto provvidenziale, oltre che un grande privilegio, la possibilità di poter partecipare come prefetto di Propaganda Fide alla celebrazione durante la quale, il 4 novembre prossimo, il Santo Padre eleverà alla gloria degli altari il grande missionario avellinese, fondatore della Pontificia unione missionaria.
Pio XII definì la realizzazione della Pum come «la gemma della vita di padre Manna». In vista della beatificazione non posso non ricordare, poi, la visita di Giovanni Paolo II alla tomba di padre Manna, il 13 novembre del 1990 a Trentola Ducenta, nella diocesi di Aversa.
Quali sono le sue prime impressioni in questa nuova esperienza?
SEPE: Alla prossima beatificazione di padre Manna sono legate, per venire a questa sua seconda domanda, anche le prime impressioni come prefetto di Propaganda Fide. Ho pensato con emozione a questo evento e, di riflesso, ho rivissuto con particolare intensità i momenti della mia vocazione sacerdotale. E ho pensato che il punto decisivo è sempre quello del «sì» a Cristo. Quella risposta, che ogni giorno si rinnova e si ribadisce nella celebrazione eucaristica, può portare a percorrere strade diverse nell’unico servizio, ma tutto parte da lì, tutto ha origine da una chiamata che si accoglie.
Ha già compiuto dei viaggi? Ne ha in cantiere?
SEPE: Ho compiuto, finora, un unico grande viaggio: nella straordinaria realtà ed estensione di un dicastero che, nel suo totale servizio alla missione, ha una struttura nella quale tutto è rappresentato, tutto ha la finalità della propagazione e dell’annuncio della Parola. Si tratta di un’articolazione vastissima, con l’Università, i collegi, gli istituti... Era necessario prendere visione dal vivo, entrare in contatto, conoscere persone e problemi di ogni singola realtà. È stato, ma in realtà non si è ancora concluso, un grande viaggio di conoscenza e di approfondimento. Quanto ai viaggi veri, certo che verranno. Occorre andare nei posti, vedere e visitare realtà che sono lontane solo geograficamente ma che fanno parte del nostro mondo quotidiano. In agenda c’è poi un viaggio del tutto particolare: accompagnerò il Santo Padre nel prossimo pellegrinaggio in Armenia e Kazakistan. Prenderò contatto con una realtà in parte nuova per il dicastero missionario, come le repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Sarà un grande viaggio e una grande esperienza.
Quali sono le prospettive missionarie in Africa e in Asia?
SEPE: La prospettiva missionaria ha una particolarità: è sempre aperta, è sempre attuale. Non esiste un tempo per la missione, perché tutti i tempi sono per la missione. Certo alcune realtà possono cambiare, ma il fondamento della missione resta l’annuncio di Cristo. E di fronte a un compito come questo tutto il resto passa in secondo piano. L’Africa e l’Asia rappresentano due mondi differenti e due diverse fasi dell’antica e nuova evangelizzazione. Il Vangelo di Cristo è parte sempre più viva della realtà africana di oggi. In molti Paesi vi è di casa da secoli. L’Asia è la terra di nascita di Cristo, ed è il continente che più di ogni altro pone la sfida di un nuovo annuncio. Nella stragrande maggioranza di quell’immenso continente, Cristo non è ancora conosciuto. All’inizio di un nuovo millennio non possiamo che guardare a questo impegno come al primo e più importante in termini di evangelizzazione.
Si è di fronte a un compito tanto importante quanto ineludibile. Ma devo dire che i segni di speranza non mancano.
Nell’ambito dei territori di competenza della Congregazione, quali sono le realtà cristiane più promettenti e quelle che vivono le situazioni più drammatiche?
SEPE: Quando si parla di missione, il primo pensiero, in maniera quasi automatica, si rivolge all’Africa. E questo avviene perché in quel continente si vivono, allo stesso tempo, tutte le speranze e tutti i drammi che si presentano ai nostri occhi e alla nostra coscienza. L’Africa è oggi la terra del dramma che vive l’uomo tagliato fuori ed emarginato dai processi di sviluppo non solo dell’economia ma di tutto il progresso scientifico e sociale. Il rischio è che un intero continente possa andare alla deriva, devastato dalle carestie, dalla mancanza di acqua, dalle malattie, da uno sfruttamento del suolo e dell’ambiente volto solo ad accrescere le ricchezze di pochi già ricchi. In una parola, l’Africa è oggi la terra dell’ingiustizia esercitata a livello collettivo, da Paesi sviluppati a Paesi poveri, sul piano mondiale. È una tragica realtà sotto gli occhi di tutti, ma il mondo sembra guardare da un’altra parte. Proprio per questo – tanto più quando sembra abbandonato da tutti – il continente nero è diventato il continente del cuore della Chiesa. La Chiesa non può dimenticare i poveri. E oggi l’Africa, si può affermare, parla quasi esclusivamente con la voce della Chiesa. Penso ai tanti pellegrinaggi di Giovanni Paolo II che ha visitato, alcuni di essi anche più volte, quasi tutti i Paesi africani, percorrendo in lungo e in largo un continente assetato innanzitutto di speranza. La Chiesa continuerà, giorno per giorno, a guardare all’Africa come alla terra privilegiata per esprimere la propria capacità di amare e di essere segno di solidarietà e di giustizia tra gli uomini.
Sempre nei territori di missione, qual è la situazione del dialogo interreligioso e quella del dibattito teologico anche alla luce della Dominus Iesus?
SEPE: Ho fatto cenno prima ai pellegrinaggi del Papa. Non c’è forma più alta e più efficace di dialogo che quella di andare sul posto e parlare, incontrarsi, mettere in atto un dialogo che privilegi innanzitutto la volontà e la disponibilità a porsi al servizio del prossimo. Questa forma di dialogo ha fatto passi da gigante dappertutto e si è sviluppata enormemente proprio sul campo di azione. Nella vita e nella realtà concreta di tutti i giorni sono ormai evidenti i segni di un cambiamento profondo, di un atteggiamento che consente forme di collaborazione reciproche. Certo, occorre approfondire i rapporti anche su altri campi, a cominciare da quello dottrinale. Ma, pur senza voler nascondere i problemi, credo che il momento sia favorevole.
Nel recente Concistoro straordinario lei ha potuto avere contatti con i cardinali dei territori di missione. Che impressione ne ha ricavato?
SEPE: I contatti con i confratelli e i vescovi delle terre delle missioni sono pressoché quotidiani e passano dai rapporti personali – come le visite, gli incontri – all’esame di situazioni e iniziative che interessano il dicastero missionario. Indubbiamente però il recente Concistoro straordinario è stata un’occasione importante per una presa di coscienza collettiva sui maggiori temi della Chiesa in questo terzo millennio e, quindi, anche per la missione. Ho potuto rendermi conto di come l’esigenza di un rinnovato slancio dell’annuncio sia considerata come la priorità essenziale della vita della Chiesa all’inizio del nuovo secolo. D’altra parte è stato il Santo Padre, nella Novo millennio ineunte, a indicare e proporre la missione come l’orizzonte naturale di tutta la Chiesa.
Da segretario generale del Comitato per il Grande Giubileo lei ha dato molta importanza ai mass media. Quale ruolo giocano e possono ulteriormente giocare i mezzi di comunicazione nella Congregazione e nella missione più in generale?
SEPE: I mass media, per la loro straordinaria capacità di diffondere i messaggi, hanno un loro carattere – per così dire – “missionario”. Oggi più che mai costituiscono una grande risorsa per l’evangelizzazione. Direi che, in qualche modo, non si può parlare più soltanto di strumenti poiché l’impatto di alcuni mezzi -– basti pensare a internet – è tale da far nascere l’esigenza di un’utilizzazione diretta in alcuni campi della comunicazione pastorale all’interno della realtà ecclesiale. Ciò è tanto più vero in campo missionario, anche se occorre vigilare attentamente sulla possibilità di forme di manipolazione, talvolta aberranti, di cui tali mezzi possono essere oggetto. Devo anche aggiungere che Propaganda Fide è già attrezzata, in questo settore, con alcuni mezzi propri. Si tratta però di razionalizzare al meglio anche le risorse interne.
In vista del G8, nella Chiesa si è aperto un ampio dibattito sulla globalizzazione. Dal suo osservatorio privilegiato quali considerazioni si possono fare?
SEPE: Non intendo entrare nel merito del G8 di Genova, ma non posso che riferirmi a quanto affermato a più riprese dal Santo Padre sul tema della globalizzazione. Dalla serie di interventi si può ricavare una vera e propria “enciclica” in grado di orientare tutti i vasti processi in atto dalla parte dell’uomo. Perché il punto è questo: i sistemi economici si adeguano ai tempi e alle mutate situazioni sociali. La Chiesa si adegua solo all’uomo visto dalla parte di Cristo. È questa la sola strada che può far diventare i poveri e gli emarginati protagonisti reali di ogni vertice dei cosiddetti Grandi.
Æa Congregazione ha pubblicato da poco una istruzione sull’invio e la permanenza all’estero di sacerdoti del clero diocesano dei territori di missione. Qual è la gravità e l’estensione del fenomeno?
SEPE: In qualche modo, si può vedere la “globalizzazione” anche da fenomeni come quelli segnalati dall’istruzione. Anche nel campo ecclesiale c’è una maggiore mobilità. Ma gli obiettivi di questa mobilità sono e devono restare di natura ecclesiale. La preoccupazione è quella di aiutare le Chiese e soprattutto le Chiese e i Paesi più poveri. Lo spirito dell’istruzione non è altro che questo.


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