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DE GASPERI
tratto dal n. 01 - 2004

Storia di una vita


La mostra dedicata allo statista democristiano ha lasciato Roma per approdare a Milano. Ciò che maggiormente colpisce, visitandola, e che può appassionare le giovani generazioni, è la vicenda umana di De Gasperi. Dal suo rapporto con la moglie e le figlie alla laicità del suo agire politico


di Emma Fattorini


Un’immagine della mostra “Alcide De Gasperi. Un europeo venuto dal futuro” presso il complesso del Vittoriano a Roma

Un’immagine della mostra “Alcide De Gasperi. Un europeo venuto dal futuro” presso il complesso del Vittoriano a Roma

Che si può dire di nuovo sulla bella mostra dedicata alla figura di Alcide De Gasperi che si è chiusa a Roma il dicembre dello scorso anno?
Che riusciva ad essere avvincente, mai noiosa pur essendo approfondita, ricca di informazioni, spunti, documenti, con un apparato di fonti montato in modo veramente intelligente, utilizzando le strumentazioni più diverse, senza nulla concedere a compiacimenti facili, a quei fuochi di artificio, utilizzati in tante occasioni nella comunicazione mediatica per fare digerire un argomento o un personaggio storico che altrimenti potrebbe apparire indigesto e difficile.
L’immagine più interessante che si traeva da quella mostra, e che può appassionare le giovani generazioni, è la storia concreta di una vita, di una persona. Certo, una persona che ha avuto un ruolo importantissimo, una funzione storica, quasi una istituzione, e che lo è stata non anche, ma soprattutto in virtù della sua identità di persona piena, intensa, ricca, autentica. Prima ancora di essere un grande personaggio del Novecento italiano.
Credo che restituire alla loro concretezza esistenziale, unica e irripetibile, figure del nostro cattolicesimo, non studiandole solo per il ruolo che hanno ricoperto – come si è sempre fatto nella nostra storiografia etico-politica –, aggiungerebbe una grande ricchezza ad analisi altrimenti astratte ed asettiche, in cui, per l’appunto, non c’è la vita vissuta delle persone.
Cogliere solo gli aspetti “intellettuali”, di cultura politica o teologica finisce con l’impoverire quella ricchezza carismatica che è peculiare del nostro cattolicesimo nazionale e che bene si coglie solo se non si mortificano i vissuti concreti, le testimonianze, le esperienze di vita.
La bella mostra che si è tenuta al complesso del Vittoriano rendeva vivo tutto ciò.
Ora, più che ripercorrerne i vari temi e aspetti, vorrei approfondirne solo due su cui poco e distrattamente si sofferma la storiografia ufficiale, pur essendo tutt’altro che secondari. E dunque, fedele al criterio soggettivo di cui parlavo, due temi a me particolarmente cari.

1. Mi ha sempre colpito moltissimo il rapporto di De Gasperi con il femminile, il suo rapporto con la moglie e le figlie.
Le lettere alla moglie Francesca Romani, ora riedite dalla Morcelliana a cura e con una bella prefazione della figlia Maria Romana, non sono solo un eccezionale documento biografico, ma una straordinaria pagina di quella storia della famiglia e dei sentimenti così trascurata nella storia italiana novecentesca.
Si respira una profondità e un sentimento che accomuna le altre grandi coppie costruite su sodalizi morali e spirituali del primo Novecento: Ada e Piero Gobetti, Giulia e Antonio Gramsci. È come se le differenze ideali e biografiche, con esse, invece che creare dei solchi finissero per esaltare le ragioni comuni delle emozioni e delle idealità.
De Gasperi e Francesca Romani ai tempi del loro fidanzamento

De Gasperi e Francesca Romani ai tempi del loro fidanzamento

Un rapporto tra destini individuali e responsabilità storica, tra senso del sacrificio e rifugio nel nucleo familiare come sollievo e ricarica, non vissuto quale altro compito sacrificale (ciò che avviene nella famiglia delle società secolarizzate). Una conclamata differenza di identità di genere maschile e femminile e di corrispettivi ruoli, pubblici e privati, volto paradossalmente a fare della donna una compagna alla pari, ancorché da proteggere. «Ti amo come si ama la donna del cuore, ma soprattutto ti amo come si ama l’ideale dello spirito… Tu non sarai solo la regina della mia casa, ma sarai – e sono lieto che tu mi abbia detto di volere essere – l’amica del mio pensiero. M’ha fatto così bene il sentirmi chiedere dei libri che ti avvicinino alle cose mie!… Un giorno ti scrissi che amo le mie idee sovra ogni cosa e creatura. Ma non esiste più né una sovrapposizione né una subordinazione. Tu mi ami con le mie idee e per il mio ideale…», le scrive nel 1921 in una delle tante, bellissime lettere del periodo del fidanzamento, come in un’altra dello stesso anno: «Francesca, ti ringrazio perché mi comprendi. Ti voglio libera compagna, amica di pari iniziativa e indipendenza, e nulla mi ripugna di più che farti da maestro e di frugare nella tua coscienza». O, ancora: «Io sento che quando ti abbraccio sarebbe troppo limitata fortuna se stringessi il tuo bel corpo e non abbracciassi anche l’anima. Quante volte ti ho ripetuto questo concetto?».
L’aspirazione al rapporto paritario, ancorché idealizzato nella comune idealità, è la stessa che si legge nelle prime lettere di Gramsci a Giulia, appena conosciuta nel sanatorio moscovita, durante la sua prima visita in Russia. Nel loro caso questa parità resterà però più un’aspirazione che una vera realizzazione. In primo luogo perché il rapporto non potrà mai veramente essere vissuto e non solo per le condizioni carcerarie di Gramsci, ma per un rapporto sempre subalterno di Giulia, la quale, per complicate vicende psicologiche e politiche, finirà con il sottrarsi, con il nascondersi e negarsi.
Due relazioni opposte, dagli esiti tanto diversi, ma accomunate dalla medesima irruzione della storia nei sentimenti e nelle emozioni.
Il sacrificio di una vita coniugale, che conosce lunghi momenti di separazione ben diversi nei due casi, è comunque motivato dal servizio verso una causa collettiva. Nel luglio del 1922 De Gasperi scrive: «Sai, molti mi dicono: povera mogliettina! Perfino Sturzo mi dice: falla venire a Roma, poverina! Con questo caldo! E poi io gli faccio gli elogi della tua pazienza. Sono orgoglioso d’aver sposato un cuore fermo che sa anche il sacrificio. Non ne abuserò». Il 27 giugno del 1923 lamenta: «La battaglia è aspra, sotterranea, feroce. Di’ a Marcella che preghi e un pochino prega anche tu, mio amore, perché Dio mi tragga salvo e coll’onore da tale burrasca». Di fronte al precipitare degli eventi – di cui peraltro De Gasperi ancora non intuisce la portata – nel gennaio del 1925 scriverà: «Non credo al bluff allarmistico… sono convulsioni preagoniche superabili con la prudenza e la fermezza. Mi rincresce di non poterti riabbracciare ma per il resto sono tranquillo e ottimista». Di fronte a questo precipitare, dicevo, si intravede comunque un senso meno assoluto e definitivo della storia rispetto agli esiti individuali e familiari di quanto non avvenga nelle sorti di alcune grandi coppie comuniste (oltre a quella di Gramsci penso a quella degli Amendola).
Non c’è nessun compiacimento eroico ma un desiderio di normalità in questa coppia cattolica: «Che possa riabbracciarti in pace e guardando la vita serenamente, come la vedevamo l’anno scorso – ti ricordi? – e come la rivedo sempre, malgrado i guai della politica, quando sono vicino a te», scrive sempre nel giugno del 1923.
In quella aspirazione a una vita tranquilla e ordinata non mi pare si possa intravedere una rinuncia. Non credo si tratti di dosi superiori di generosità e abnegazione dalla parte dei comunisti e dall’altra, invece, di un maggiore intimismo cattolico, credo che anche nell’amore e negli affetti familiari giocasse un diverso rapporto tra persona e storia, tra individuo e politica, una soggettività mai comunque riducibile a un progetto storico, fosse anche il più nobile. Come se la straordinarietà di una esistenza si potesse giocare in ultima istanza sempre e solo all’interno di un disegno divino, nel quale l’impegno nella storia poteva essere una delle forme ma non l’unica né la privilegiata.
Le quattro figlie: dall’alto in basso, Maria Romana, Lucia,  Cecilia e Paola

Le quattro figlie: dall’alto in basso, Maria Romana, Lucia, Cecilia e Paola

I grandi eventi condizionano i sentimenti in misura non superiore alle vicende umane più “normali”, come il senso di morte per la malattia di Miglioli, il leader popolare dell’estrema sinistra. Pensa che possa essere successo qualcosa alla sua Francesca in questa lettera del febbraio del 1922 e ne spiega il motivo: «Ma questa sera la mente ci corre forse perché sto sotto l’impressione delle gravi notizie sulla malattia di Miglioli che si teme precipiti nella catastrofe. Volevo bene a quell’anima ardente che bruciava d’altruismo: agli uomini che non cercano nulla per sé, ai fanatici delle idee e della solidarietà umana, perdono anche delle follie e degli errori. Basta, speriamo in Dio».
Che è restato di queste intense intese spirituali negli anni della secolarizzazione fino ai nostri giorni? Qui si aprirebbe tutto un altro capitolo. La diversa funzione della donna nella società ne ha cambiato anche l’identità all’interno della famiglia, una percezione di sé prima ancora che di ruoli concreti, la separazione tra sessualità e procreazione ha ancora di più interiorizzato queste modificazioni, l’identità maschile si è sempre più infragilita con effetti devastanti sulla coppia e sulla educazione dei figli. Potremmo continuare, ma credo che pochi cenni bastino per capire che la storia di questi cambiamenti non sia meno interessante di quella avvenuta nella sfera politica e istituzionale. A quando, allora, una storia dei sentimenti e delle relazioni d’amore tra la prima e la seconda Repubblica?
2. Dopo queste riflessioni sull’importanza dei sentimenti, vorrei tornare ai temi della “grande politica”, uno dei quali, sempre citato, è assai poco approfondito. Mi riferisco al rapporto di De Gasperi con il mondo germanico. La lezione di laicità che egli ha ricavato dalla storia del cattolicesimo politico tedesco si dà sempre per scontata, senza coglierne spesso la vera portata, la profondità di quella influenza. E sul perché di questa rimozione e sottovalutazione ci sarebbero alcune osservazioni preliminari da ricordare. Come quella di un certo provincialismo della nostra cultura politica e di una nostra storiografia sul movimento cattolico, tutta concentratasulle vicende interne. Hanno pesato le difficoltà linguistiche, ma anche una distanza culturale dall’Europa alla cui costruzione e definizione De Gasperi e Adenauer hanno dato un contributo tutt’altro che irrilevante e senz’altro assai anticipatore e lungimirante.
Ebbene, nel 1928 e nel 1929 De Gasperi pubblica sulla Rivista internazionale di scienze sociali e di discipline ausiliari alcuni saggi molto acuti sulla storia e la natura del partito cattolico tedesco del Zentrum.
Ricordiamo gli avvenimenti: siamo in pieno Kulturkampf. Il Zentrum, guidato dal suo prestigioso leader Windthorst, difende la Chiesa senza opporsi alla Costituzione, una linea premiata nelle elezioni del 1874 quando i cattolici otterranno novanta seggi. Bismarck teme che il conflitto, sempre più acuto, soprattutto in Prussica, possa essere troppo pericoloso e cerca da una parte l’alleanza del Zentrum contro i socialisti e dall’altra di scavalcarlo, tentando un rapporto diretto con il Vaticano.
Il partito cattolico rifiuterà questa ingerenza della Chiesa di Roma e rifiuterà di votare il bilancio di spese del settennato militare di Bismarck – era questa la richiesta che il cancelliere aveva fatto esplicitamente alla Santa Sede – ma nonostante le forti pressioni di Leone XIII sul partito cattolico, il Zentrum, con un atto clamoroso, il 14 gennaio 1887 sceglierà di votare contro il settennato.
Questo episodio assurgerà a modello nella storia del rapporto tra partiti cattolici e fedeltà a Roma. Opponendosi all’egemonia prussiana di Bismarck e allo strapotere delle Chiese evangeliche, scriverà De Gasperi, «il Zentrum faceva una politica liberale contro la maggioranza che era reazionaria: ma già allora questa maggioranza si chiamava “nazional-liberale” e i centristi venivano detti “clericali”».
Effettivamente l’obiettivo del partito cattolico era proprio quello di difendere le libertà della Chiesa senza però contrattare mai la libertà costituzionale del partito.
«È su questa linea di manovra» scrive ancora De Gasperi «che i due caratteri fondamentali assunti fin dall’origine dal centro – costituzionale e aconfessionale – benché partito di difesa religiosa, dimostreranno la loro efficacia funzionale».
Una foto di gruppo di studenti italiani a Innsbruck del 1° luglio 1905 (secondo da sinistra De Gasperi, secondo da destra Cesare Battisti

Una foto di gruppo di studenti italiani a Innsbruck del 1° luglio 1905 (secondo da sinistra De Gasperi, secondo da destra Cesare Battisti

L’opposizione del Zentrum alle leggi di spesa militare – in cambio di un voto favorevole, Bismarck sarebbe stato disposto a sopprimere le leggi restrittive – testimonia esemplarmente l’autonomia del partito cattolico dalla Chiesa di Roma, che infatti ne sconfessa la politica. “La legge della pace” dell’aprile del 1887, quella che porrà fine al Kulturkampf, verrà trattata direttamente dal Vaticano con il governo di Bismarck e passerà senza il voto ma solo con l’astensione del Zentrum.
Lo scontro sulle leggi militari manifesterebbe inequivocabilmente secondo De Gasperi: «Che il partito cattolico tedesco non è un partito confessionale ma politico…». E sempre lui ricorda con compiacimento le parole allora pronunciate da Windthorst in quella occasione: «“Saluteremo con un Te Deum l’accordo con Roma, ma per quel che riguarda la nostra condotta politica, agiremo secondo la nostra intima convinzione”».
Anche su questo terreno – quello dell’aconfessionalità e della laicità della politica – ci viene una lezione quanto mai attuale se pensiamo alla regressione della cultura politica cattolica dei nostri giorni che, diametralmente all’opposto, si muove e si definisce in funzione di quello che riceve, in una assai triste trattativa di scambio di interessi.


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