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EDITORIALE
tratto dal n. 04/05 - 2001

Il dottor Natta



Giulio Andreotti


Di Alessandro Natta, senza nulla togliere al suo ruolo politico, preferisco conservare il ricordo dell’uomo di una cultura fine, piacevole, attenta. In particolare rammento la comune partecipazione ad un incontro all’Università di Siena sull’umanesimo. Riuscimmo ad essere persino divertenti disputando sulla predilezione divina per chi muore giovane. Credette di cogliermi in errore, ma riuscii a citare in greco la paternità di Menandro. Anche nei discorsi parlamentari riservava una parte a suggestivi passaggi letterari, obbligando l’interlocutore alla massima concentrazione per non perdere colpi. Una volta dal banco del governo chiesi d’urgenza ai miei collaboratori di ricercarmi un passo di Metastasio per completare la citazione che Natta aveva brillantemente introdotto.
Molto bella fu anche la descrizione da lui fatta della morte di Togliatti in un volumetto dal titolo: Le ore di Yalta. Più tardi mi impressionò un suo articolo (Il partito tra Chiesa e Stato) impostato come reazione ad una svolta – forse enfatizzata – di Giovanni XXIII.
Meno facile è per me scrivere sul suo atteggiamento nella fase successiva ai governi che avevo presieduto con la loro non belligeranza e, da ultimo, con il voto favorevole. Serpeggiava un risentimento che esplose quando l’elettorato li penalizzò sensibilmente. Fu avanzato il sospetto di un voluto loro raggiro proprio per sfiancarli, laddove le scelte erano state concordi, motivate da drammatiche condizioni della nazione che solo insieme si potevano fronteggiare. L’accordo sottostante era stato del resto onorato: da parte loro votando a favore del Patto Atlantico e dell’Unione europea; per mio conto – superando manovrette e raggiri – andai a dimettermi quando loro ritirarono l’appoggio, provocando io stesso l’uscita dall’aula di due amici senatori per non avere la fiducia.
I comunisti si dedicarono alla "questione morale" non riuscendo a resistere alle provocazioni di altri. Entrai anche io nel mirino, iniziando un itinerario di quasi demonizzazione che avrebbe avuto poi singolari seguiti con le sassate processuali. Per comprendere il tutto occorre dire che i comunisti temettero di perdere il contatto con il popolo e corsero ai ripari prendendosela con noi. In particolare con il presidente Leone; alle ingiuste polemiche contro il quale si associarono, sotto l’impressione di una giornata referendaria punitiva (l’abolizione del finanziamento ai partiti e della legge Reale sul fermo di polizia fu respinta, ma con tanti milioni di italiani a favore, specie nelle grandi città).
Tutto questo è ormai alle nostre spalle. La serenità che si deve avere verso i morti toglie spazio a qualsiasi ricordo critico.
È triste che Natta sia scomparso senza aver potuto partecipare ad una solenne rievocazione – insieme ai pochi superstiti dei non molti italiani che nel campo di prigionia dei nazisti tennero duro fino all’ultimo, con coraggiosa fierezza. Il caso volle che Natta fosse stato accanto a Giovannino Guareschi, che pochi anni dopo sarebbe risultato determinante nella sconfitta del Fronte popolare. Credo che di quel lager si dovrà egualmente parlare. Anche ad onore di Alessandro Natta.



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