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CONCISTORO
tratto dal n. 04/05 - 2001

Uniti sull’essenziale, incerti sulle prospettive ecclesiastiche


«Porto con me tutte le voci ascoltate in Concistoro e ci vado riflettendo. Spero che maturi in me la comprensione della situazione. Fino ad ora resto, come dire, un po’ diviso. Anche perché in molti interventi ho intravisto degli spunti di verità, ma non è scattata alla fine un’adesione totale». Intervista con il cardinale Adrianus Simonis, arcivescovo di Utrecht


di Giovanni Cubeddu


Nei giorni del Concistoro i giornali, riprendendo alcune parole del cardinale Lorscheider, hanno parlato della “solitudine” del Papa, attorniato dai suoi fedelissimi e lontano dalla base ecclesiale…
ADRIANUS SIMONIS: Guardi, vi è stato anche chi, invece, ha reclamato un “papato forte”. Mi ritrovo più in questa seconda opzione…
L’attuale pontificato sembra già forte di per sé…
SIMONIS: Non dico che debba essere più forte. Ad esempio, la Curia romana esiste come strumento per il papa e per i vescovi, ma innanzitutto per il papa che, in quanto vescovo di Roma, è il pastore dei pastori. Certo, si può immaginare un modo in cui i vescovi partecipino al governo della Chiesa col papa, che so, tramite una loro rappresentanza che venga periodicamente a Roma a deliberare insieme al pontefice. Tale sistema comporterebbe però continue e previe consultazioni tra i vescovi, per stendere di volta in volta degli ordini del giorno concordati in vista dell’appuntamento vaticano, distogliendoli dalla cura pastorale delle diocesi. Peraltro, io non vivo la Curia romana come strumento di oppressione – se è posto così è un falso problema –, anzi, la Curia deve servire, come infatti serve, noi vescovi.
Sul “papato forte” le cito una frase del cardinale König: «Fa impressione vedere che oggi l’opinione generale è che la Chiesa la faccia il Papa… visto come un grande stratega religioso che elabora e persegue una strategia con i suoi collaboratori, e la Chiesa è vista come il prodotto di questa strategia. Ma tutta la Tradizione non insegna questo riguardo a Pietro e ai successori. Non sono loro che fanno la Chiesa». A tale citazione il cardinale Arns ha risposto: «Ciò che ci fa Chiesa è il battesimo vissuto. Tutto il resto sono solo ministeri e servizi».
SIMONIS: Il giudizio di Arns è assolutamente vero. La Chiesa è fatta dai battezzati e non dal papa. Ma la Tradizione insegna che fra i battezzati esiste un solo Spirito, una sola fede. Guardiamo la realtà. In un mondo individualista come il nostro, ogni battezzato finirebbe per seguire una sua chiesa. Allora, è per mantenere una unità di fede, di dottrina e di disciplina nella carità che il papa deve essere forte, in questo senso.
Durante il Concistoro sono stati affrontati temi che potremmo definire di riforma della Chiesa, con un’espressione in questo ultimo ventennio non più di moda. Per esempio, il passaggio da una diocesi all’altra da parte di un vescovo…
SIMONIS: Le dico subito che il cardinale Ratzinger stesso su questa prassi è stato molto chiaro. E anche il mio pensiero è che un vescovo possa cambiare diocesi solo se è necessario. Vorrei però accennare a una possibile eccezione, partendo dalla mia personale esperienza. Io sono diventato vescovo a soli 39 anni, e ho sempre amato il mio lavoro pastorale. E posso dire che un trasferimento dopo dieci o quindici anni che si è in una diocesi viene vissuto come una novità, per se stessi e per i fedeli. Almeno a me è capitato così, quando fui spostato da Rotterdam a Utrecht dopo circa 13 anni. Se mi avessero fatto vescovo a 53 anni, l’età che avevo appena arrivato a Utrecht, direi senza alcun dubbio che in ogni caso non deve esserci più alcuno spostamento fino al momento della pensione. Ma è umano che si possa spostare un vescovo nominato a 39 anni…
Il cardinale Gantin ha affermato che sarebbe bene tornare alla regola dei primi secoli sull’inamovibilità dei vescovi, per evitare arrivismi e carrierismi, soprattutto verso sedi cardinalizie…
SIMONIS: Sono completamente d’accordo. Però se l’istituto del cardinalato esiste ancora, lo si può in qualche modo salvaguardare. Mi spiego. Sappiamo che vi sono grandi città dove il vescovo titolare è di solito un cardinale, cioè un consigliere speciale del papa. Il papa, quando nomina in queste sedi un vescovo trasferendolo da un’altra, ha modo di conoscere meglio chi può diventare suo consigliere, se egli è un uomo prudente e affidabile. E la libertà di crearlo o no cardinale resta, perché comunque non esiste uno scatto automatico di carriera. Ad esempio, il mio trasferimento ad Utrecht avvenne perché il Papa voleva lì un vescovo che avesse partecipato al Sinodo particolare, era una ragione motivata non certo dal desiderio di far fare carriera a Simonis. Tutti i sistemi sono perfettibili, certo, questo come quello della elezione dei vescovi. Dico che l’attuale è solo il migliore dei sistemi cattivi. Si può cambiare. Forse quel giudizio del cardinale König che lei prima citava si riferisce a tempi precedenti il Concilio Vaticano II…
No, il giudizio di König riguarda l’attualità.
SIMONIS: In Olanda si usa schernire qualcuno dicendo che “è il pappagallo del papa”. Ma allora le dico che io non sono in nessun modo il pappagallo del papa, ma sto dalla stessa sua parte riguardo alla verità, alla rivelazione, alla fede. Io dico sempre che una cosa non è vera perché la dice il papa… ma il papa la dice perché è vera.
Ritorniamo al Concistoro. A cosa è servito stare tre giorni e mezzo in Vaticano?
SIMONIS: Il primo obiettivo, nell’intenzione del Santo Padre, dopo la creazione di tanti nuovi cardinali, è stato quello di farci conoscere, radunando vecchi e nuovi cardinali e permettendoci di parlare liberamente tra noi dei problemi della Chiesa. Il che è avvenuto soprattutto all’interno dei circuli minores. È altresì chiaro che ci sono stati affidati dal Papa degli argomenti sui quali non vi è stato l’approfondimento necessario. Perciò in molti abbiamo pensato da un lato che sarebbe stato utile stare insieme per un tempo più lungo, quanto quello di un Sinodo, dall’altro che sarebbe stato ancora più complicato disdire tutti gli impegni già presi nelle nostre diocesi. Come migliorare questa formula di riunione cardinalizia? Ne ho parlato una volta con il cardinale Schotte, discutendo del meccanismo dei sinodi. Ma non è facile trovare soluzioni…
Il cardinale Lustiger ha introdotto i lavori, il primo giorno, all’insegna dell’utopia e dell’ottimismo, affermando che dopo duemila anni siamo solo all’inizio del cristianesimo. Lei cosa ne pensa?
SIMONIS: Ho pensato che in quelle parole c’era forse qualcosa di vero, ma non la realtà. Sia perché abbiamo un’eredità grande di duemila anni, ma anche perché nella Chiesa di oggi ci sono anche molti problemi. Dire soltanto che siamo all’inizio è parziale…
Si è detto che il Papa abbia voluto questa riunione anche nella prospettiva di un futuro conclave. Dopo aver ascoltato gli interventi, è stato possibile delineare una sintesi, arrivare a un consenso sul futuro della Chiesa?
SIMONIS: Tre giorni sono troppo pochi, a mio avviso. Si doveva discutere di più per conoscere le idee di tutti. L’intervento di Lorscheider sul centralismo è rimasto solitario, anche perché non si è capito bene che cosa ne pensasse davvero l’uditorio. Personalmente ho portato con me tutte le voci ascoltate e ci vado riflettendo. E spero che maturi in me la comprensione della situazione. Fino ad ora resto, come dire, un po’ diviso. Anche perché in molti interventi ho intravisto degli spunti di verità, ma non è scattata alla fine un’adesione totale.
Anche altri colleghi cardinali sono tornati a casa con questa incertezza…
SIMONIS: Ma una sintesi c’è certamente nella fede. E anche nella Dominus Iesus e cioè che esiste un modo chiaro di annunciare la verità.
Al Concistoro ha ascoltato più interventi conservatori o progressisti?
SIMONIS: Ho sentito soltanto interventi veramente cattolici. In queste altre categorie non mi ritrovo, perché a mio parere il problema del mondo moderno è l’alternativa tra l’ortodossia della fede e un “liberalesimo” che conduce al nulla. È la mia esperienza personale di trent’anni come vescovo. E quando ho ascoltato in Concistoro Lorscheider – che conosco molto bene, avendo pure visitato quando ne era vescovo la sua diocesi di Fortaleza in Brasile – mai, mai ho pensato di ascoltare un eretico. Lui ha vissuto pienamente la stagione del Concilio Vaticano II, ed è più che comprensibile che parli appassionatamente di collegialità…
Sul Concistoro ha aleggiato la proposta di tenere un nuovo concilio ecumenico.
SIMONIS: L’idea ha raccolto due sostenitori. La stragrande maggioranza secondo me dice no. Ci si è orientati piuttosto a migliorare il funzionamento dei sinodi, dando in futuro più spazio a una vera deliberazione. Certo è che ognuno di noi, vescovo per diritto divino, quando si tiene un Sinodo vuole dire sempre qualcosa (magari anche solo per finire sui giornali del suo Paese che aspettano un intervento). E come ciò si concili con un migliore funzionamento del Sinodo… non lo so. Se poi a Roma si riunisse, come dicevo prima, una delegazione di vescovi per deliberare col papa, come far funzionare efficacemente tale meccanismo, in cui la Curia si ridurrebbe solo a strumento di esecuzione? In cui i vescovi delegati dovrebbero mantenere un costante contatto con le loro conferenze episcopali? Per quanto mi riguarda, non posso starmene a Roma per due mesi all’anno. C’è una soluzione?
Forse la soluzione può essere suggerita da quanto diceva Arns: «Ciò che ci fa Chiesa è il battesimo vissuto. Tutto il resto sono solo ministeri e servizi»…
SIMONIS: Infatti, in quest’ottica la Curia – il “centralismo” – non è un problema. E riprendendo il cardinale Arns anche sull’importanza del battesimo vissuto, aggiungo che è esperienza comune quella in cui tante volte la nostra Chiesa è fatta di volontari. Uso questo termine eliminando un’interpretazione equivoca. Volontario è ogni battezzato che con gratuità dà il suo tempo e la sua energia alla Chiesa. Ad esempio come coadiutore nel governo della parrocchia, cantando nel coro, facendo le pulizie, o come da me a Utrecht, prendendosi cura di portare fiori sempre freschi in chiesa. Si tratta di opere di carità e ci sono tante persone semplici che le fanno. A loro non interessa molto chi amministra la Chiesa, i fatti di Curia, o cosa accade nell’entourage del Papa. È questa una visione troppo semplice della Chiesa? Allora è tutto perfetto in Vaticano? No. È solo il migliore dei cattivi sistemi.
Lo stesso dico circa l’elezione dei vescovi. Rispetto al sistema in uso nel mondo ortodosso, credo sia migliore il nostro, anche a proposito del carrierismo dei vescovi. Di nuovo, il nostro è soltanto il migliore dei cattivi sistemi, però garantisce riservatezza alla persona e libertà di scelta al Santo Padre. Se ad esempio si vuole che altri organismi intervengano nella procedura probabilmente non avremo più riservatezza, a danno degli stessi candidati vescovi: se un sacerdote non diventa poi vescovo, sarà facile additarlo come uno peggiore degli altri…
Sul celibato dei sacerdoti non si è detto nulla?
SIMONIS: No! Ma forse ne hanno parlato mentre dormivo, perché confesso che in aula la stanchezza accumulata a volte l’ha avuta vinta… Di recente ho parlato con l’arcivescovo della Chiesa veterocattolica di Utrecht, che ha settemila membri e ammette sia il matrimonio dei sacerdoti che le donne-sacerdote, e mi diceva ad esempio che in Svizzera le vocazioni sono drammaticamente in calo. Ed ancora, in Olanda un portavoce dell’Unione delle Chiese protestanti – dove vi sono pastori sposati e pastori-donne – ha dichiarato che senza un nuovo afflusso di studenti in teologia il futuro delle loro Chiese sarà nero. Allora? Non cerchiamo nel celibato l’alibi della crisi attuale della Chiesa! Che non si ami più la verginità consacrata a Gesù è solo un sintomo. La ragione vera è che talvolta nella Chiesa non si conosce più la persona di Gesù Cristo, vero Figlio di Dio fatto uomo.


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