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EDITORIALE
tratto dal n. 03 - 2001

Il Papa e l’Europa



Giulio Andreotti


Quando, agli albori del suo pontificato, Giovanni Paolo II affiancò Cirillo e Metodio a san Benedetto patrono d’Europa interpretò – con l’estensione alle regioni orientali – una aspirazione unitaria del continente diviso purtroppo dalla cortina di ferro, ad abbattere la quale avrebbe fortemente contribuito, proprio come ha significativamente ricordato nei giorni scorsi a Saint Vincent il generale Jaruzelski, affermando che va a Karol Wojtyla il merito storico di aver acceso il disco verde del cambiamento.
Ma sono state molte le occasioni nelle quali il Santo Padre ha portato la sua benedicente attenzione sull’Europa dei Trattati di Roma riprendendo e approfondendo tesi enunciate dai suoi predecessori.
Sottolineo specificamente un discorso del 17 dicembre 1984 su: “La divisione dell’Europa e la possibilità di superare tale situazione”.
L’ultima occasione è stata il 31 marzo scorso in una singolare udienza congiunta dei vescovi rappresentanti delle Conferenze dei quindici Stati dell’Unione e di quelle dei Paesi “candidati”. Ancora è viva la polemica per un mancato riferimento alla tradizione cristiana nella bozza ufficiale della Carta europea. L’omissione è stata deplorata da molti, a cominciare da Jacques Delors. Il Papa non ne ha fatto esplicito riferimento, ma ha parlato invece di una: «Rinnovata stagione missionaria che coinvolga tutte le componenti del popolo cristiano. La costruzione di una nuova Europa ha bisogno di uomini e donne dotati di umana saggezza, di un senso vivo del discernimento ancorato a una solida antropologia non disgiunta dall’esperienza personale della trascendenza divina».
Giovanni Paolo II ha ripreso un’efficace immagine da lui proposta nel passato: «L’Europa respira a due polmoni non soltanto dal punto di vista religioso, ma anche culturale e politico. Non ho mancato sin dall’inizio del mio ministero pietrino di sottolineare che la costruzione della civiltà europea deve fondarsi sul riconoscimento della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti fondamentali: l’inviolabilità della vita, la libertà e la giustizia, la fratellanza e la solidarietà».
È conosciuto il serpeggiante europessimismo di circoli che si dimostrano sensibili solo ai traguardi non raggiunti e alle difficoltà congiunturali tipo quote del latte e mucche pazze. Sembra una risposta a questi atteggiamenti quanto il Papa ha detto esplicitamente: «Il processo di integrazione europea, nonostante alcune difficoltà, prosegue il suo cammino […]. Quella che si sta consolidando non deve però essere solamente una realtà geografica ed economica continentale, ma deve proporsi innanzi tutto un’intesa culturale e spirituale, forgiata mediante un fecondo intreccio di molteplici e significativi valori e tradizioni. A così importante processo di integrazione la Chiesa continua ad offrire con animo partecipe il proprio specifico contributo».
Questi espliciti richiami spirituali sono tanto più necessari in quanto non perdono colpi gli indirizzi di neomaterialismo, in virtù dei quali la modernità sembra legata alle stravaganze e alle violazioni dell’ordine naturale. Persino dal congresso dei popolari a Berlino la distratta stampa internazionale ha ritenuto di cogliere un dato caratterizzante nel riconoscimento delle cosiddette coppie di fatto (senza dire della recentissima pubblicità data ai matrimoni olandesi unisessuali). Se dovessero essere queste le conquiste comunitarie i padri fondatori si rivolterebbero nelle tombe.
Dobbiamo essere grati al Papa per il contributo che continua a offrire al cammino europeo.


Per connessione di materia cito questo importante passo di una recente intervista della presidente del Parlamento di Strasburgo Nicole Fontaine: «L’ora della scelta sta per scoccare: o ci accontentiamo di un’Europa unita basata sull’economia e sul mercato comune o appoggiamo e sosteniamo la creazione di una Europa comunitaria che trovi il proprio vero collante nei valori e nella politica. Io sono per questa seconda ipotesi».


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