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RUSSIA
tratto dal n. 02 - 2002

Il Papa a Mosca? «Non è opportuno se non può abbracciare Alessio II»


Intervista con il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: i difficili rapporti con il Patriarcato di Mosca dopo la decisione del Vaticano di trasformare in diocesi le quattro amministrazioni apostoliche in territorio russo


di Gianni Valente


Pietro e Andrea, icona regalata dal patriarca di Costantinopoli Atenagora a Paolo VI in ricordo del loro incontro a Gerusalemme il 5 gennaio 1964

Pietro e Andrea, icona regalata dal patriarca di Costantinopoli Atenagora a Paolo VI in ricordo del loro incontro a Gerusalemme il 5 gennaio 1964

Èýl’ennesima gelata di primavera, quella che ha di nuovo interrotto le tradizionali vie di comunicazione tra Roma e Mosca, dopo la trasformazione in diocesi delle quattro amministrazioni apostoliche cattoliche in territorio russo, e la nomina del primo arcivescovo cattolico nella capitale dell’ex impero sovietico. I toni ripetitivi della nuova querelle non devono trarre in inganno. Tra le pieghe della vicenda, numerosi indizi sembrano confermare il nuovo corso dell’atteggiamento vaticano nei confronti delle Chiese sorelle d’Oriente. E in particolare del Patriarcato di Mosca.
La prassi tradizionalmente cauta dell’epoca storica dell’ecumenismo postconciliare sembra ormai un ricordo. Dopo i lunghi anni di stallo seguiti al collasso dei regimi dell’Est, negli ultimi tempi la Santa Sede sembra aver imboccato una linea decisionista. Una “politica dei fatti compiuti” che si è manifestata anche lo scorso giugno nella visita papale in Ucraina, la prima trasferta pontificia avvenuta contro il volere delle gerarchie della comunità ecclesiale maggioritaria, rappresentata in loco dalla Chiesa autonoma ortodossa ucraina, sottoposta all’autorità del Patriarcato di Mosca.
Il nuovo modus operandi suscita nervosismo nelle leadership ortodosse dell’Est europeo.
30Giorni
ne ha parlato col cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

Il nuovo casus belli col Patriarcato di Mosca ha causato l’annullamento di una sua visita in Russia, programmata da tempo. Non le è venuto da chiedersi come mai l’annuncio delle nuove diocesi è stato dato proprio adesso?
WALTER KASPER: L’elevazione di una amministrazione apostolica a livello di diocesi è un atto amministrativo ordinario, un normale procedimento di perfezionamento. L’argomento compete alla Segreteria di Stato. Il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani era stato informato. Ma la questione non rientrava nei temi che avremmo dovuto trattare negli incontri previsti a Mosca. Piuttosto, nell’agenda figuravano i temi dell’uniatismo e del proselitismo, su cui gli ortodossi continuano a insistere.
Si tratta di questioni ancora da discutere?
KASPER: Sull’uniatismo i termini della questione sono chiari, e i nostri interlocutori lo sanno. Per la Chiesa cattolica l’uniatismo non è un metodo da seguire né per il presente né per il futuro. È un modello che storicamente ha avuto delle applicazioni, ma che non vogliamo ripercorrere. Le Chiese orientali cattoliche hanno diritto di esistere. Alcune di esse, come ad esempio la Chiesa greco-cattolica ucraina o quella romena, hanno molto sofferto e meritano pertanto rispetto.
Comunque, non c’era mai stato finora un arcivescovo cattolico a Mosca così come non è mai stato nominato un vescovo ortodosso titolare della sede di Roma. Non si è stati poco attenti nel valutare in questo caso l’impatto anche simbolico di quelle che lei ha definito ordinarie procedure amministrative?
KASPER: Effettivamente non c’era mai stato un arcivescovo cattolico di Mosca e non c’è neppure adesso. Ma c’era già stato un arcivescovo cattolico per tutti i territori dell’Impero russo, a partire dal 1782, per volontà di Caterina II. Da allora, tante cose sono cambiate. In seguito alle deportazioni di massa avvenute durante e dopo la seconda guerra mondiale, oggi ci sono comunità cattoliche sparse in tutta la Russia, formate da cittadini russi. La Chiesa cattolica ha il dovere di occuparsi di loro. E Mosca è la capitale della Russia. La scelta di chiamare le nuove diocesi non con il nome delle città, ma con i titoli delle rispettive chiese cattedrali cattoliche, mi sembra una sfumatura importante per indicare che non c’è alcuna volontà di costituire una struttura parallela.
Una sfumatura che non è stata molto presa in considerazione, in campo ortodosso.

KASPER: Eppure ci sono molti casi analoghi. A Gerusalemme ci sono quattro patriarchi di Chiese cristiane, ad Alessandria tre. Quattro patriarchi portano il titolo della sede di Antiochia. Purtroppo, questa moltiplicazione di vescovi titolari della stessa sede è una conseguenza dolorosa e inevitabile che deriva dalla situazione di scisma. Il criterio dell’unità del territorio canonico, secondo cui in ogni sede episcopale dovrebbe esserci un solo vescovo, può valere solo tra Chiese che sono in piena comunione. Ad esempio, all’interno della comunione delle Chiese ortodosse. Del resto, anche gli ortodossi russi hanno istituito diocesi in sedi come Berlino, Vienna e Bruxelles, fuori dai territori canonici dell’ortodossia. L’unica via per superare queste situazioni sta nel riprendere il cammino verso la comunione piena.
Secondo lei, ci sarebbero problemi ad avere un vescovo ortodosso nella sede di Roma?

KASPER: Penso di sì. Perché la sede di Roma ha un ruolo particolare, che Mosca non ha, per tutto il mondo cristiano.
Alessio II

Alessio II

Al di là degli aspetti simbolici, nella nota vaticana diffusa per motivare l’erezione delle diocesi in Russia, per la prima volta si riconosce che tali strutture servono alla cura pastorale anche dei russi convertiti in tempi recenti al cattolicesimo. Sembrerebbe un cambiamento di prospettiva.

KASPER: Non mi sembra che ci sia un cambiamento del genere. Le nuove strutture diocesane servono alla cura pastorale dei fedeli cattolici. Certo, nessuno può escludere che un qualche membro della Chiesa ortodossa voglia farsi cattolico. Ma si tratta di rarissimi casi di coscienza, che nessuno può ostacolare. E riguardano per lo più individui che vengono da una condizione di miscredenza, e che non appartenevano più alla Chiesa ortodossa. Ma anche questo è inammissibile per molti ortodossi che pensano quasi che un russo abbia incorporata per nascita, meccanicamente, l’appartenenza alla fede cristiano-ortodossa. Il ritenere che una persona sia cristiana perché appartiene a una certa stirpe, a un determinato gruppo etnico o ambiente culturale, è un criterio che sfocia facilmente nell’eresia.
Rimane l’impressione di un cambiamento. La prospettiva ecumenica invitava a favorire le Chiese sorelle nella loro missione di evangelizzazione, piuttosto che intraprendere strategie missionarie negli ambienti e nei Paesi storicamente segnati dalla loro presenza.

KASPER: Ma questo permane, come criterio prioritario. Vogliamo per prima cosa sostenere e favorire la Chiesa ortodossa in Russia nella sua missione; soprattutto perché riconosciamo la Chiesa ortodossa russa come vera Chiesa, con sacramenti validi, efficaci per la salvezza, e una valida successione apostolica. Dal punto di vista di queste cose essenziali non c’è ragione che un ortodosso si faccia cattolico. E ripeto che questo avviene in casi rarissimi, da parte di persone che avevano perso il legame con la tradizione ortodossa. Del resto, questi passaggi si verificano anche in direzione inversa. Se si guardano i nomi dei preti che in Germania o in Italia appartengono a comunità ortodosse, si noterà che ci sono molti tedeschi e italiani, che in origine non appartenevano certo ad ambienti e a famiglie di tradizione ortodossa.
Quando collassò il sistema sovietico, congregazioni, istituzioni e movimenti cattolici fecero a gara nell’istituire proprie basi operative nei territori dell’ex impero. Gli ortodossi lamentano che da allora i territori segnati per tradizione dalla loro presenza vengono considerati come una sorta di deserto spirituale da colonizzare. Ci sono stati, in questo tempo, atteggiamenti aggressivi da parte cattolica?

KASPER: Le persecuzioni hanno fatto sì che in Russia ci fossero pochissimi sacerdoti cattolici. L’arrivo quasi spettacolare al quale lei fa riferimento voleva assicurare una presenza di prima necessità. Ci sono anche singoli “zelanti”, nella nostra Chiesa, come nelle altre. Ma questa non è la strategia della Santa Sede, e neanche dei vescovi cattolici in Russia. Nessuno accarezza disegni d’espansione. Abbiamo una presenza cattolica così proporzionalmente esigua in quel grande Paese… Piuttosto, la sospensione dei rapporti tra il Patriarcato e la Santa Sede può favorire proprio i gruppi di zelanti, confermandoli nell’idea che il dialogo ecumenico è inutile e che bisogna portare avanti i propri progetti, senza inutili concertazioni. Mentre un dialogo aperto col Patriarcato di Mosca potrebbe anche aiutare a canalizzare meglio, e in espressioni più caute e rispettose, le energie di questi gruppi, spesso animati da un entusiasmo in sé positivo.
Comunque, il cattolicesimo in Russia ha finora mantenuto un profilo segnato dalle proprie origini polacche, o lituane, o tedesche.

KASPER: Sì, ma anche i cattolici sono cittadini russi, parlano russo, vengono influenzati dalla cultura e dall’ambiente in cui vivono. Col passare delle generazioni la prospettiva sarà sempre più quella di una Chiesa cattolica locale russa, di rito latino. Una realtà piccola, che possa convivere fraternamente con la Chiesa ortodossa maggioritaria, come avviene in molti Paesi del Medio Oriente, ad esempio la Siria.
E i vescovi? Continueranno ad essere, come ora, o polacchi o tedeschi?

KASPER: Monsignor Kondrusiewicz è cittadino russo. Credo che, per il futuro, ci si orienterà appena possibile per scegliere anche i vescovi tra i preti cattolici locali, che già ci sono, ma sono ancora troppo pochi.
Nel momento della polemica, la sala stampa vaticana ha ricordato i 17 milioni di dollari versati alla Chiesa ortodossa russa da associazioni assistenziali cattoliche e dalla Santa Sede. Si è trattato di un rinfaccio?
KASPER: Si tratta dei dati, parziali, che sono stati pubblicati su un settimanale cattolico di Mosca da una delle organizzazioni di aiuto. Mi è sembrato che si volesse ricordare che le nostre intenzioni di collaborazione a tutti i livelli, compreso quello economico-materiale, hanno già avuto realizzazioni pratiche. Senza voler condizionare nessuno.
Secondo alcuni, la stabilizzazione della struttura diocesana cattolica avrebbe anche l’effetto di facilitare il viaggio papale in Russia. Si potrebbe ripetere qui la sequenza già vista in Ucraina, con il Papa che visita la nazione per incontrare i fedeli cattolici pur senza il consenso della Chiesa locale maggioritaria. Secondo lei andrà così?
Una chiesa cattolica russa

Una chiesa cattolica russa

KASPER: Io non ho mai sentito cose del genere. Non sono io che decido, ma non vedo l’opportunità che il Papa si rechi in Russia senza avere la possibilità di abbracciare il patriarca Alessio II. C’è una grande differenza tra l’Ucraina e la Russia. Lì ci sono cinque milioni di cattolici di rito orientale e un milione di cattolici di rito latino. C’è una Chiesa cattolica forte, che ha sofferto, con una lunga tradizione. In Russia, lo ripeto, la Chiesa cattolica è una realtà molto piccola.
Il governo russo ha riconosciuto le nuove diocesi cattoliche?

KASPER: La Federazione Russa ha sottoscritto i trattati internazionali, dove si afferma il diritto alla libertà religiosa, che implica la possibilità di ogni Chiesa o comunità ecclesiale di organizzarsi e amministrarsi secondo le sue proprie regole. Il governo è stato informato dell’elevazione a diocesi delle precedenti amministrazioni apostoliche. Per il funzionamento concreto delle diocesi non c’è bisogno di un riconoscimento governativo.
Si dice spesso che le beghe e i conflitti inter-ortodossi complicano anche il rapporto della Sede apostolica con la comunione ortodossa. Lo si è visto nel viaggio papale in Ucraina, dove gli incontri papali coi leader di realtà ortodosse scismatiche hanno suscitato ulteriori polemiche.

KASPER: Il Santo Padre, durante la sua visita in Ucraina, si è incontrato con il Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose. I membri di detto Consiglio, che hanno partecipato a questo incontro, rappresentavano le proprie Chiese e organizzazioni religiose con lo stesso status con il quale esse partecipano ai lavori del Consiglio stesso. Pertanto la Santa Sede non ha riconosciuto nessuno dei gruppi considerati scismatici. La politica della Santa Sede è quella di avere rapporti ufficiali solo con le Chiese che sono riconosciute dall’intera comunione ortodossa. La presenza di alcuni rappresentanti di gruppi considerati scismatici in occasione di un incontro organizzato dal governo ucraino non può essere interpretata come un riconoscimento canonico di quelle realtà.
Il metropolita Kirill di Smolensk ha insinuato che ci sarebbero manovre vaticane contro la costruzione della chiesa ortodossa russa sul Gianicolo. Le risulta?

KASPER: Niente affatto. Io ero presente alla cerimonia che si è tenuta a villa Abamelek per la posa della prima pietra. Anche se, ci tengo a sottolinearlo, pure in questo caso nessuno ha informato in precedenza la Santa Sede dell’intenzione di procedere a questa costruzione, né tanto meno le è stato chiesto il consenso.
Non trova paradossale che nella polemica tra Chiese sorelle sul caso delle diocesi cattoliche in Russia si ricorra al linguaggio dei diritti civili e delle libertà garantite dai trattati internazionali?
KASPER: Il rispetto dei diritti umani è fondamentale, per vivere in un mondo plurale come il nostro. Lo capiranno anche i nostri fratelli ortodossi russi, il cui governo sembra molto interessato a un legame sempre più stretto con l’Europa. Detto questo, è ovvio che i nostri rapporti con la Chiesa ortodossa non possono limitarsi a questo livello. Abbiamo un tesoro comune nella fede, nei sacramenti, nell’eucaristia, nella successione apostolica. Per questo io mi rammarico molto dei problemi che ci sono adesso su cose che in fondo sono secondarie.



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