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SATANISMO
tratto dal n. 02 - 2002

Intervista con Krzysztof Zanussi

«Jacob Frank? Un soggetto affascinante»


«Su Jacob Frank volevo addirittura girare un film. La presenza dei frankisti nella vita culturale polacca rimane sempre enorme. E nell’ambito cattolico i frankisti sono moltissimi». Il regista amico del Papa con disarmante sincerità si confronta con le pagine di Cronache dell’anticristo di Maurizio Blondet


di Paolo Mattei


Jacob Frank

Jacob Frank

La critica cinematografica lo iscrive nel novero dei cineasti che "fanno cinema dell’inquietudine morale". Riguardando certi suoi film, come La struttura del cristallo (1969), Illuminazione (1973), Constans (1980), Imperativo (1982), in cui la cinepresa è allo stesso tempo scandaglio nelle profondità dell’anima umana e cronista vigile nel raccontare problemi sociali e politici, risulta facile farsi un’immagine un po’ particolare del loro autore, magari un uomo austero, schivo, silenzioso. Krzysztof Zanussi, come spesso accade quando ci si imbatte nell’artista dopo che si sono conosciute le sue opere, capovolge, anche solo con il tono vivido della voce, quell’immagine. Nato a Varsavia 62 anni fa, è uno dei più celebri registi polacchi, appartenente alla generazione del cosiddetto "terzo cinema" che negli anni Sessanta annoverava nelle sue file Andrzej Wajda, Roman Polanski, Jerzy Skolimowski e Krzysztof Kieslowski. Artisti che, con Zanussi, rinnovarono la scena cinematografica della loro patria ricevendo un unanime riconoscimento internazionale.
Grande amico di Wojtyla, nel 1981 Zanussi portò sul grande schermo una pellicola ispirata alla vita dell’attuale Papa, Da un paese lontano, e nel 1995 realizzò Non abbiate paura. Storia di un Papa, film in cui si ripercorrono le vicende della giovinezza e del pontificato del Papa polacco. "Karol Wojtyla da giovane era un bravo attore" ha detto Zanussi qualche tempo fa. "Aveva una impostazione della voce professionale. Non è una cosa spontanea, occorre studio. Questa voce, da buon attore, gli è rimasta". Bravo attore, ma anche bravo drammaturgo, visto che Zanussi nel 1997 ha diretto Fratello del nostro Dio, film costruito sui dialoghi dell’omonimo dramma scritto dal giovane Wojtyla.
Il regista polacco ha da pochissimo terminato il suo ultimo film, Il supplemento, di cui sta aspettando l’uscita nelle sale. Intanto, al Teatro Eliseo di Roma è in scena il grande classico di Jean Cocteau I parenti terribili, di cui Zanussi è regista.
Dei "parenti terribili" del cattolicesimo polacco, i frankisti descritti da Maurizio Blondet nel suo libro Cronache dell’anticristo 1666-1999 (Effedieffe, Milano 2001; cfr. anche D. Malacaria, Jacob Frank, il messia militante, intervista con Maurizio Blondet, in 30Giorni, n. 12, dicembre 2001, pp. 86-88), abbiamo dialogato con Krzysztof Zanussi, che spiega a 30Giorni come Jacob Frank sia "un soggetto molto affascinante, sul quale volevo addirittura fare un film. La presenza dei frankisti nella vita culturale polacca rimane sempre enorme. E nell’ambito cattolico i frankisti sono moltissimi". Abbiamo parlato di questo, oltre che, naturalmente, della sua storia di regista e del suo amore per il cinema. Usando come sfondo squarci di storia polacca degli ultimi cinquant’anni.

Un paio di anni fa, nel suo intervento al Giubileo degli artisti, lei ha affermato che i grandi autori cristiani del cinema sono scomparsi…
KRZYSZTOF ZANUSSI: Sì, ho detto che registi cristiani come Dreyer, Bergman, Pasolini, Fellini e Tarkowskij non ci sono più. Ai nostri giorni torna di moda una spiritualità più vicina alla New Age che al Vangelo.
Pasolini e Fellini registi cristiani, dunque?
ZANUSSI: Certo. Mi sembra ovvio che il Pasolini di Teorema ha una prospettiva spirituale che può essere accettata come la profonda riflessione di un cristiano. Le notti di Cabiria e La strada di Fellini sono film in piena sintonia con lo spirito del cattolicesimo. Credo che oggi guardando un film considerato una volta scandaloso come La dolce vita, si colga in esso il grande grido di sete metafisica, pure nel tragico suicidio dell’intellettuale disperato amico del protagonista.
E cosa pensa dell’ultima produzione "fantastica"? Mi riferisco ad Harry Potter, Il signore degli anelli, Il favoloso mondo di Amélie
ZANUSSI: Sono film prodotti con un "linguaggio" molto accademico pur appartenendo alla cultura popolare. Non sono pellicole molto raffinate. Tentano di riempire questo diffuso vuoto esistenziale in un modo piuttosto pagano. Ma, perlomeno, non materialista.
Lei si è formato professionalmente nella Scuola nazionale di cinema, teatro e televisione di Lodz.
ZANUSSI: Sì, certo. Tutti i registi della mia generazione escono da lì. Io però sento di appartenere alla storia del cinema polacco più che ad una particolare scuola di cinematografia. Oggi abbiamo due altri istituti, c’è più scelta. Ma ciò che conta è l’identità del cinema polacco che prescinde dalle provenienze scolastiche.
Alla fine degli anni Sessanta la Scuola di Lodz aveva già un’enorme importanza, riconosciuta da molti anni. La purga di Gomulka nel ’68 l’ha definitivamente distrutta. Da allora non si è più ripresa, non ha più brillato come prima. Il valore di questa Scuola ebbe origine nel lavoro degli intellettuali polacchi di sinistra di prima della seconda guerra mondiale. Essi investirono molte energie nel cinema, crearono delle cooperative, valorizzarono un certo tipo di opere socialmente e culturalmente impegnate. Tutte cose molto positive. Ricordo che i registi più influenti e noti tenevano anche i corsi nella Scuola. È un aspetto piuttosto singolare, perché normalmente gli insegnanti in questo tipo di istituti di cinematografia sono quelli che hanno fallito nel cinema, sono nella maggioranza dei casi dei frustrati.
Nel libro di Maurizio Blondet si parla della Scuola di Lodz e dei personaggi che la frequentarono. Un paragrafo è dedicato a Roman Polanski, autore di molti film sul satanismo…
ZANUSSI: Senza dubbio in Polanski si avverte un fascino per l’oscurità del mondo, si percepisce una ricerca in questo senso. Anche la sua vita testimonia questo fascino e questa ricerca. D’altronde, uno che da ragazzo ha vissuto l’epoca dell’Olocausto, ha tutto il diritto di vedere le cose in una maniera molto tragica e scura, e quindi di trasformare le sue ansie e le sue paure nel linguaggio del cinema popolare. Io e Polanski siamo stati colleghi per un breve periodo. Quando io entravo nella Scuola di Lodz lui era in procinto di uscirne. Siamo comunque molto amici e ne ho una grande stima personale. Di lui purtroppo circola un’immagine pubblica completamente distorta. Lo conosco bene e so con certezza che è un uomo profondo, sofferente. Un uomo serio, nel vero senso della parola.
Amico di Roman Polanski fu anche lo scrittore polacco Jerzy Kosinski, autore di best-sellers come The painted bird del 1965. Come Polanski, visse molti anni negli Stati Uniti. Là divenne famoso e là morì suicida nel 1991. James Parker Sloan, suo biografo americano, ne traccia un profilo molto preciso e racconta del suo rapporto con Wojtyla. Lei lo conobbe?
La cavalleria polacca durante la seconda guerra mondiale che divenne simbolo del sacrificio della

La cavalleria polacca durante la seconda guerra mondiale che divenne simbolo del sacrificio della

ZANUSSI: Ho conosciuto personalmente Jerzy Kosinski. Non è facile raccontare la sua vicenda. Era un ragazzo di Lodz molto ambizioso, con molto talento. Emigrò in America negli anni Cinquanta e intraprese una carriera che definirei "socio-letteraria" perché fu soprattutto una carriera in società più che una carriera letteraria pura. Subì l’accusa di aver creato un’"industria" della narrativa, nella quale lavoravano molti autori che scrivevano i suoi romanzi. Era sicuramente un uomo che cercava sempre l’eccesso. Morì in condizioni misteriose, e se si tratti di suicidio o no non lo sappiamo con certezza. Era un ragazzo sopravvissuto all’Olocausto, e il suo modo di vivere rappresentò una reazione sfrenata di fronte al consumismo estremo con cui venne a contatto. Volle vivere tutte le esperienze estreme, dal sesso alla violenza alla droga. Però era un uomo interessante e profondo, non era sicuramente un superficiale. E non credo che la sua letteratura renda con evidenza la complessità della sua personalità. Perché Kosinski era uno speculatore. Speculava sul gusto del pubblico snob di massa e questo suo atteggiamento credo che un po’ sporchi il suo lavoro letterario. Ma soprattutto era un uomo di grandissimo talento e di grandissima vitalità. Con Wojtyla posso dire che forse ebbe un rapporto di conoscenza, ma non parlerei di amicizia.
In un altro passaggio del testo di Blondet vengono delineate le vicende del Sessantotto polacco di cui furono protagonisti anche vari allievi della Scuola di Lodz.
ZANUSSI: Guardi, posso solo dirle che per noi polacchi il Sessantotto ha un significato del tutto diverso da quello che gli si dà nel resto dell’Europa. Per noi è il marzo del ’68, non il maggio. Altro mese, altro significato. Da noi gli studenti combatterono in difesa dei professori, a Parigi i docenti furono attaccati. Il nostro marzo fu orchestrato e ispirato dalla corrente comunista, probabilmente a sua volta ispirata direttamente dall’Urss. I servizi segreti russi, nella storia, anche prima della Grande Guerra, hanno sempre sfruttato il "falso nazionalismo" polacco. Definisco "falso nazionalismo" quello riemerso in seno al Partito comunista polacco nel ’68, che era soprattutto antisemita, xenofobo, un nazionalismo della folla. Non era il nazionalismo dei patrioti polacchi. Nella tradizione polacca, il nostro pensiero nazionale è sempre stato condiviso dagli ambienti intellettuali ebrei.
Ebrei che furono in quegli anni oggetto di una grande purga…
ZANUSSI: Questo accadde quando Gomulka cominciò a perdere il controllo del Partito. Ma Gomulka stesso all’epoca era sposato con una ebrea. Era inoltre molto legato ai suoi vecchi compagni ebrei del periodo antecedente la seconda guerra mondiale, quando il Partito comunista era composto soprattutto da persone di origine ebrea i quali, temendo quel "falso nazionalismo" antisemita di cui ho parlato, avevano aderito al Partito comunista e avevano guardato con speranza all’Urss.
Quali rapporti aveva Karol Wojtyla con gli intellettuali sessantottini polacchi?
ZANUSSI: Molti, e molto buoni. Era molto legato ai movimenti degli intellettuali e dei politici che protestarono contro questa ondata di nazionalismo polacco antisemita. Era con quelli che cercarono di smascherare tutto questo finto nazionalismo orchestrato dall’"altro" potere, che voleva creare una cortina di ferro tra la Polonia e l’Occidente.
Lei e il giovane Wojtyla scrivevate nella celebre rivista cattolica di orientamento progressista, Tygodnik Powszecny.
ZANUSSI: Sì, esiste ancora oggi. In quegli anni era il solo settimanale veramente indipendente di tutto il mondo comunista. Io vi ho scritto molte volte.
Su quella rivista scriveva anche l’intellettuale cattolico Jerzy Turowicz, il "Nestore della Polonia", di cui Blondet ricorda le origini frankiste e l’amicizia con l’attuale Pontefice…
ZANUSSI: Sì, certo, Wojtyla lo conosceva e lo conoscevo personalmente anch’io. È morto nel ’99.
Nel nazionalismo polacco, quello che lei definisce genuino e patriottico, c’è una grande componente messianica. Adam Mickiewicz, il vate del vostro risorgimento nazionale, inventa le idee della Polonia come "nazione martire" e "Cristo delle nazioni"…
ZANUSSI: Questa componente messianica ha le sue radici nel pensiero polacco. È conosciuta come uno dei suoi concetti estremi, esasperati, ma non privi di senso, che nasce inizialmente dalla nostra tragica disfatta del 1785, quando perdemmo l’indipendenza dello Stato.
In Polonia attualmente c’è ancora questa componente. Io, essendo lontano dalla tradizione romantica polacca, non la condivido, non mi ritrovo tanto in questo filone. Posso quindi parlare con una certa obiettività. Dico allora che ci sono anche degli elementi ragionevoli e completamente spiegabili: abbiamo perso la libertà, abbiamo perduto tanto sangue nella seconda guerra mondiale e, alla fine, siamo stati semicolonizzati dalla Russia sovietica per le decisioni prese a Yalta, con la piena accettazione di esse da parte dei poteri occidentali. Allora nasce il sentimento amaro di essere stati traditi. Quando combattemmo per salvare l’Inghilterra nella battaglia di Londra, i nostri piloti caddero in un numero sproporzionato, dando la vita per la causa europea che era la nostra vera causa. Ma subito dopo la guerra scoprimmo che Churchill a Yalta concedeva la Polonia a Stalin. Allora si cercò il modo di sopravvivere a questa sconfitta, a questa ingiustizia. E si trovava questa giustificazione: forse la nostra sofferenza serve a qualcosa. Questo è un pensiero profondamente cristiano.
La scena del film  Da un Paese lontano di Zanussi in cui il cardinale 
Adam Sapieha ordina sacerdote
il giovane Karol Wojtyla

La scena del film Da un Paese lontano di Zanussi in cui il cardinale Adam Sapieha ordina sacerdote il giovane Karol Wojtyla

Insomma, non condivide in tutto le osservazioni di Blondet…
ZANUSSI: Questo saggio sorprende per il numero dei dettagli, ma anche delle inesattezze, a cominciare dai nomi che sono quasi tutti sbagliati. Il nome del nostro attuale presidente è tutto un errore, sembra si parli di una persona che non esiste. Il nome di Adam Mickiewicz è scritto con un grande errore di ortografia. Il numero di dettagli dà l’impressione che si tratti di un lavoro molto preciso. Ma, al medesimo tempo, gli errori nel testo suggeriscono un giudizio diverso, cioè che sia un lavoro compiuto molto emotivamente. Blondet ignora poi molte cose che in Polonia sono note. Parlando ad esempio della famiglia Toeplitz, non riporta importanti informazioni su Cristoforo Toeplitz e sulla sua polemica relazione con lo scrittore americano David Halberstam, premio Pulitzer nel ’64, che pubblicò nel New York Times i materiali che denunciavano l’antisemitismo in Polonia, mentre Toeplitz, da ebreo, testimoniava l’assenza di antisemitismo nella nostra nazione.
È, insomma, una ricostruzione un po’ frammentaria, pure se moltissime cose sono interessantissime.
Cosa pensa dell’analisi sul frankismo operata da Blondet?
ZANUSSI: Conosco benissimo la figura di Jacob Frank. È un soggetto molto affascinante, sul quale volevo addirittura girare un film. La presenza dei frankisti nella vita culturale polacca rimane sempre enorme. E nell’ambito cattolico i frankisti sono moltissimi. Non possiamo produrre statistiche, perché sarebbe razzista indagare sulla eventuale matrice ebraica di ogni cattolico polacco… Ma è vero che questa minoranza frankista ha accettato il cristianesimo, e l’ha accettato profondamente, contribuendo poi a infondere nel cattolicesimo polacco grandi valori. Questo è fuori dubbio. Interessantissimo è anche il processo di conversione al cattolicesimo dei frankisti, che durò vent’anni. Il dialogo di Frank coi Domenicani, i passi compiuti per arrivare alla conversione… Sono tutti elementi storici avvincenti e ancora da approfondire. La conversione dei frankisti al cattolicesimo nel XVIII secolo non mi sembra per niente un atto superficiale o falso. Mi pare invece il risultato di un grandissimo dibattito teologico, durato due decenni, durante il quale questo gruppo di ebrei ha accettato il parere dell’avversario. È una cosa affascinante come processo intellettuale. E le sue conseguenze culturali ovviamente esistono ancora oggi. Io, come artista, sono molto affascinato dall’immaginare come avrebbero reagito i Domenicani nell’ipotesi in cui, durante questo dialogo, si fossero trovati senza più argomenti da opporre a quegli avversari… Chissà se anche loro sarebbero stati pronti ad accettare le argomentazioni sostenute dagli ebrei… Questa disposizione d’animo in un dialogo è indispensabile. È un rischio mettere in conto l’ipotesi che il mio avversario abbia ragione. Tutto ciò, ripeto, è affascinante.
E che cosa pensa degli elementi di gnosi aberrante e delle derive sataniste che informerebbero il frankismo?
ZANUSSI: Non ci credo per niente. Per quello che sappiamo dei frankisti, niente di tutto questo è accertato. Si tratta di ornamenti letterari. Scientificamente, da tutto quello che ho letto sul frankismo, posso trarre la conclusione che sia un’interpretazione un po’ parziale.


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