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BRASILE
tratto dal n. 10 - 2002

Il fenomeno Lula spiegato da un leader storico del Partido dos trabalhadores

«La speranza ha vinto la paura»


Così il leader della sinistra brasiliana ha commentato la sua schiacciante vittoria sul candidato del presidente uscente Cardoso. Dopo dieci anni di illusioni neoliberiste, a capo del governo ci sarà un operaio, che vuole lavorare «per un Paese decente»


di Roberto Rotondo


Lula  festeggia la sua elezione a presidente del Brasile il 28 ottobre

Lula festeggia la sua elezione a presidente del Brasile il 28 ottobre

«Il Brasile ha votato senza paura di essere felice: la speranza ha vinto la paura» . Con questa frase il leader della sinistra brasiliana, Luiz Inácio “Lula” da Silva, ha commentato la sua elezione a presidente della Repubblica il 28 ottobre. Lula, con il 63 per cento dei consensi, ha riportato al ballottaggio una vittoria schiacciante sul suo rivale, il socialdemocratico José Serra, candidato del presidente uscente Cardoso. Così, dal primo gennaio, Lula sarà il primo operaio a sedere sulla poltrona dorata che fu di Pedro II e in seguito di 16 presidenti del Brasile, tutti provenienti dall’alta borghesia. Lula, invece, ha un’altra storia, un’infanzia poverissima, un mestiere da tornitore, una vita da leader sindacalista, una visione economica keynesiana molto più che comunista. Il suo è un altro Brasile. È stato eletto a furor di popolo, da un popolo che ha subìto molto più che goduto della ricetta ultraliberista imposta all’America Latina negli ultimi dieci anni. «Per un Brasile decente» è stato uno degli slogan più riusciti del pragmatico Lula che, come prima iniziativa da presidente, ha annunciato un piano contro la fame. Cosa significhi per il Brasile la svolta Lula, i riflessi che avrà nel resto dell’America Latina e nei rapporti con gli Usa, l’abbiamo chiesto a Ricardo Zarattini, uno degli uomini più stimati e conosciuti del Partido dos trabalhadores. Cinquanta anni di militanza e di battaglie politiche per la giustizia sociale, Zarattini porta ancora addosso i segni delle torture subìte durante la dittatura militare: «La vittoria di Lula» spiega «è anche la vittoria del capitalismo produttivo su quello puramente finanziario e speculativo. “Dobbiamo dare una ragione ad ogni dollaro investito nel Paese” ha detto più volte Lula. Ed è così, dobbiamo riprendere a produrre e a creare nuovi posti di lavoro. Non ci interessano quei capitali che transitano in maniera fittizia nel Paese e in pochi minuti vengono opportunamente trasferiti all’estero».

Signor Zarattini, Lula definì già il risultato della prima tornata elettorale «la più grande vittoria della sinistra nel continente americano». Ma il maggior settimanale del Brasile, Veja, ha scritto che, per ironia della sorte, Lula vince nel momento in cui le sinistre nel mondo sono in crisi di identità. Che tipo di sinistra è quella vincente del Partido dos trabalhadores (Pt)?
RICARDO ZARATTINI: Il Pt, sin dalla nascita, si è subito diversificato dagli altri partiti tradizionalmente comunisti. Il Pt è nato sostanzialmente dall’unione di forze appartenenti alla Chiesa cattolica progressista con forze provenienti dal movimento sindacale dei metalmeccanici. Questi sono stati i grandi affluenti che hanno formato il grande fiume del Pt.
Ma storicamente c’è anche un’ala radicale nel Pt, tanto che, quando il Partito è passato a posizioni più moderate, è stato notato da tutti. Come è avvenuto questo passaggio?
ZARATTINI: Guardando alla propria esperienza il Pt è arrivato alla conclusione che senza alleanze con forze diverse da sé, non solo non avrebbe mai potuto conquistare il potere, ma non avrebbe mai potuto governare. Governare implica tener conto delle esigenze di tutti e operare una mediazione. Inoltre fin dagli inizi della sua storia il Pt si è sviluppato ed istituzionalizzato all’interno di una visione di sinistra, ma senza compromettersi con nessuna tesi legata al comunismo tradizionale. Il Pt ha sempre avuto una caratteristica di sinistra democratica.
Si possono tracciare delle similitudini tra Pt e altri partiti di sinistra?
ZARATTINI: In America Latina si possono incontrare alcune somiglianze con le ali centriste, moderate del Partito socialista cileno, ma il Pt è un’esperienza unica, non assimilabile ad altri partiti di sinistra, né a quelli usciti dalla corrente stalinista né a quelli appartenenti al ramo socialdemocratico europeo.
Il Pt però non è un partito omogeneo, e molti si chiedono come farà Lula a non essere travolto dall’ala radicale del partito…
ZARATTINI: Il Pt non è omogeneo ma è democratico. All’interno del Pt ci sono fazioni con tendenze trotzkiste, ma sono molto minoritarie. La maggioranza dei deputati segue le direttive stabilite dallo stesso Lula e dalla direzione nazionale del Pt. Comunque, la questione fondamentale è la strategia di alleanze necessarie per governare oggi il Brasile.
Il successo di Lula arriva in un momento in cui anche premi Nobel statunitensi per l’economia, come Stiglitz, riconoscono che il processo di globalizzazione, come è stato concepito finora, ha fallito, e ha creato un mondo in cui i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Il successo di Lula si spiega anche con questa presa di coscienza a livello mondiale? Il Brasile, inoltre, ha un forte peso all’interno del movimento “No Global”. Il “Social Forum” è nato proprio qui, a Porto Alegre…
ZARATTINI: Ho partecipato anch’io alla seconda edizione della conferenza del “Social Forum”, a Porto Alegre. Certo, è ormai internazionalmente riconosciuto il disastro politico, sociale ed economico provocato dal neoliberismo e dai processi di globalizzazione finalizzati al mantenimento e all’allargamento dell’egemonia economica degli Stati Uniti. Ma in Brasile, diversamente da altri Paesi, questa consapevolezza è emersa dal popolo, non in alcuni gruppi o in alcune élites. Qui è il popolo, composto da gente che ha tante convinzioni, stili di vita, tradizioni diverse, che ha votato contro la politica del governo del presidente Fernando Henrique Cardoso, che era totalmente asservito al capitale finanziario e agli interessi degli Stati Uniti. Oggi il mondo intero deve stare con gli occhi puntati sul Brasile, in quanto qui c’è stata la prima vittoria di quelle forze che si sono opposte a questo tipo di globalizzazione iniqua. È stata la vittoria di un popolo che ha subìto il neoliberismo e che vuole cambiare strada.
La ricetta Lula potrebbe essere esportabile in altri Paesi dell’America Latina?
ZARATTINI: No. Credo che difficilmente quest’esperienza potrà essere esportata: ogni popolo ha il suo cammino.
Il primo discorso di Lula è stato rivolto alle banche e alle multinazionali. Lula ha rassicurato i mercati sul nuovo corso del Paese. Gli stessi Usa non sembrano molto preoccupati, anzi tra i primi messaggi al neopresidente c’è stato quello di Bush…
ZARATTINI: In questo continente abbiamo avuto ultimamente diversi esempi di capovolgimenti politici avvenuti democraticamente come in Cile. Altre nazioni si sono incamminate verso regimi più popolari e democratici per altre vie, come il Venezuela con Chávez. Quest’ultimo, nonostante abbia inizialmente raggiunto il potere attraverso un golpe militare, si è dimostrato più democratico di quanto si poteva immaginare. Chávez è stato successivamente eletto presidente e ha sottoposto la nuova Costituzione a plebiscito popolare, dando prova di responsabilità e moderazione. Anche le innovazioni di politica economica volute da Chávez sono meno radicali di quelle previste dal piano di Lula per il Brasile. Eppure la reazione dell’imperialismo è stata brutale. Ma, quando un Paese è ricco di petrolio, i problemi si moltiplicano e si complicano. Anche il Brasile è un paese “problematico”, a cui l’imperialismo certamente non darà tregua. Quando il governo Lula, pur all’interno di una linea moderata e realista, comincerà a far pesare la sovranità e l’indipendenza del Paese, entrerà in rotta di collisione con i grandi interessi internazionali. Vedrete che quando tenterà di rimuovere un po’ dei grandi privilegi che hanno le multinazionali e le grandi corporazioni finanziarie, specie quelle nordamericane, inizieranno i problemi.
Primo piano di Lula

Primo piano di Lula

Lula è un sindacalista e il suo mondo è quello degli operai. Oggi al suo fianco, per motivi diversi, ci sono anche industriali e finanzieri. Come è conciliabile l’esigenza degli operai e degli industriali di proteggere la produzione interna con quella dei finanzieri che non vogliono barriere e frontiere alla libera circolazione dei capitali?
ZARATTINI: Quello che ha chiesto Lula a tutti i brasiliani è la partecipazione a un patto sociale per riattivare l’economia del Paese. Aderiscono a questo patto settori della società che hanno interessi anche in aperto contrasto tra loro, ma che ritengono che il bene comune si raggiungerà attraverso il lavoro, lo sviluppo e una maggiore produzione. Il progetto che accomuna milioni di brasiliani salariati e determinati settori industriali è quello di riprendere la produzione, creare nuovi posti di lavoro. Oggi fare questo in Brasile è fondamentale. Se non si creeranno nuovi impieghi, inevitabilmente non si potranno fare grandi cambiamenti strutturali nella società brasiliana, come ad esempio la riforma agraria, che resta una priorità per il nostro Paese.
E la temuta interruzione degli investimenti che venivano dall’estero?
ZARATTINI: Gli investimenti che abbiamo sempre avuto vengono dal risparmio interno. Questa storia che gli investimenti vengono dall’estero, come si dice in Brasile, è “un discorso per fare dormire un bue”. Né gli americani, né gli europei sono venuti in Brasile per investire. Hanno invece comprato un prezioso parco industriale, hanno acquistato e privatizzato preziose aziende dello Stato come l’Eletrobrás, il sistema telefonico, quello idroelettrico e una importante industria siderurgica. Tutto è stato venduto a un prezzo ridicolo. Oltre tutto i compratori stranieri hanno ricevuto prestiti vantaggiosi per ampliare le loro attività dalla Bnds, una banca statale brasiliana. Una vera assurdità. Le grandi imprese brasiliane, invece, hanno investito negli Stati Uniti nell’edilizia civile. Hanno dissanguato il popolo brasiliano.
Eppure sembra che i nomi che formeranno l’équipe economica di Lula provengano tutti da grandi istituti bancari come Itaú, Bradesco, Udameris…
ZARATTINI: Guardi, questi banchieri, inclusi quelli nazionali, non sono interessati a riattivare la produzione, ma ai tassi di interesse. Ci sono anche molte multinazionali e corporazioni estere che sono saltate sul carro del nuovo corso ma solo perché vedono la possibilità di ampliare i loro mercati. Tutta gente che non è interessata a creare nuovi posti di lavoro, ma solo a produrre denaro.
Cardoso, prima di lasciare la presidenza, ha aumentato il tasso d’interesse dal 18 al 21%: come si potranno incentivare gli investimenti con questi tassi?
ZARATTINI: In nessun modo.
E come potrà farlo Lula?
ZARATTINI: Ci riuscirà. Loro pensano che gli interessi alti sono necessari per contenere l’inflazione. Ma l’inflazione non si combatte così, si contrasta con l’aumento della produzione e della produttività. Solo questo incentiverà lo scambio dei prodotti e riattiverà l’economia. Non certamente con altre formule, come quella della parità tra moneta nazionale e dollaro, che ha portato al disastro l’Argentina.
Il governo Lula adotterà nuove posizioni con il Fondo monetario internazionale?
ZARATTINI: Penso che all’inizio non ci saranno grandi cambiamenti. Dopo, una volta rinforzata la produzione interna, si affronterà il problema dei rapporti con il Fondo monetario, ma all’inizio non accadrà nulla.
Ma Lula riuscirà ad avere un certo margine di manovra, di trattativa con il Fmi? Non dimentichiamo che siamo in una situazione paradossale: l’ultimo prestito del Fmi in realtà è servito a salvare alcune banche americane presenti in Brasile che si erano indebitate sino al collo e il cui debito era agganciato al debito estero del Brasile…
ZARATTINI: Non sono in grado di rispondere, ma Lula dovrà affrontare il problema del debito estero. Credo, comunque, che il grande capitalismo finanziario, che molte volte non può non definirsi imperialista, finirà per sedersi ad un tavolo e negoziare con il governo Lula.
All’inizio dell’intervista lei ha detto che la Chiesa cattolica è stata un fattore determinante nella nascita del partito. E oggi?
ZARATTINI: Non ha più quella forza propulsiva progressista che aveva alcuni anni fa, ma resta un punto di riferimento molto importante. Per esempio la Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani ha recentemente promosso un’ottima campagna contro l’Alca, il trattato di libero commercio delle Americhe, voluto dagli Usa.
Nei rapporti tra Conferenza episcopale e governo Lula peseranno le diverse posizioni su temi come l’aborto?
ZARATTINI: Non credo. Un certo fondamentalismo su questi temi interessa solo alla destra.
Oggi la Chiesa cattolica come guarda al Pt?
ZARATTINI: La maggioranza l’ha sempre appoggiato.
le baracche di una favela  a Salvador de Bahia

le baracche di una favela a Salvador de Bahia

Anche durante quest’elezione?
ZARATTINI: Sì anche adesso.
Quindi l’elettorato cattolico ha votato Pt?
ZARATTINI: Non ne farei una questione confessionale e religiosa. Sia evangelici che cattolici votano Pt. Si vota in base alla situazione economica. L’85% dell’elettorato brasiliano è formato da persone il cui guadagno mensile va da zero a seicento reais (170 dollari). Indipendentemente dall’essere cattolico, evangelico o sincretista, quello che manca sulla tavola dei brasiliani è il pane e, come si dice qui da noi, nella casa dove manca il pane si discute sempre, ma nessuno ha mai ragione.
Ci sono dei nomi nel mondo cattolico brasiliano, anche del passato recente, ai quali si sente particolarmente legato?
ZARATTINI: Dom Hélder Câmara e dom Paulo Evaristo Arns. Sono figure molto importanti.
Il crimine organizzato, il narcotraffico è sempre più inarrestabile. Il gruppo di narcotrafficanti “Comando Vermelho”, una settimana prima del ballottaggio, ha scorrazzato liberamente mitragliando e lanciando granate nelle strade di Rio de Janeiro; uno degli obiettivi colpiti è stato il Palazzo del Governo. Queste operazioni paramilitari – secondo il vicedirettore della polizia federale di Rio de Janeiro, Alvaro Urbano – sono un cambiamento strutturale del narcotraffico brasiliano, il quale si starebbe organizzando secondo un modello paramilitare colombiano. Lei cosa ne pensa?
ZARATTINI: Il narcotraffico si reprime agendo dove si forma il potere economico dei narcotrafficanti, ossia con il lavaggio del denaro sporco. In Brasile abbiamo una legge contro il riciclaggio che non è applicata. In questo Paese non si perseguono i colletti bianchi che fanno transazioni miliardarie con i soldi dei narcotrafficanti. Basti pensare che nessuna banca denuncia depositi superiori ai 10mila reais (2300 dollari).
Lei è stato imprigionato e torturato dai militari durante la dittatura. Ultimamente Lula ha avuto dei forti consensi tra i militari. E il leader del Pt ha detto che i militari anche durante il periodo del generale Emílio Garrastazu Médici (1969-74), hanno sempre pensato le loro strategie all’interno di un progetto nazionale. Come si sente lei in relazione a queste dichiarazioni?
ZARATTINI: Lula non ha elogiato il governo Médici né il governo militare. Loro hanno tolto la libertà a milioni di brasiliani; hanno distrutto un’intera classe politica, hanno assassinato e torturato. Ma Lula ha osservato che i militari hanno almeno difeso il patrimonio nazionale e non l’hanno consegnato alle grandi corporazioni straniere come ha fatto il governo Cardoso, il quale in più aveva eliminato tutte le leggi a favore dei lavoratori.

(Ha collaborato
Giuseppe Bizzarri)


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