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CINA
tratto dal n. 02 - 2003

Gli interventi del presidente Giulio Andreotti e del cardinale Roger Etchegaray alla presentazione del libro di 30 Giorni

Il tesoro che fiorisce


La presentazione, alla Pontificia Università Urbaniana, del libro fotografico sui cattolici cinesi edito da 30Giorni. Pubblichiamo gli interventi del presidente Giulio Andreotti e del cardinale Roger Etchegaray


di Giulio Andreotti e di Roger Etchegaray


L’aula magna della Pontificia Università Urbaniana durante la presentazione che si è svolta il 12 dicembre 2002

L’aula magna della Pontificia Università Urbaniana durante la presentazione che si è svolta il 12 dicembre 2002

Intervento del Presidente Andreotti

Questa pubblicazione intitolata Il tesoro che fiorisce, che grazie al corredo fotografico e all’impaginazione originale ha un suo fascino non solo di contenuto ma anche visivo, è partita dall’entusiasmo di un giovane, Gianni Valente, con il concorso professionalmente molto valido di Massimo Quattrucci. È partita con l’intento di conoscere e di far conoscere un po’meglio la Cina sotto il profilo particolare della vita delle comunità cattoliche cinesi. Anche sul contesto trattato in questo libro, ossia la vita dei cattolici nella Cina attuale, e sul rapporto tra la nazione cinese e la Chiesa cattolica, vorrei rifarmi a una piccola formula che appartiene al linguaggio matematico. Quando eravamo a scuola ci insegnavano il massimo comun divisore e il minimo comune multiplo. Certo, nella vita, quando si procede idealmente e si cerca per rigidità logiche di affermare le proprie idee, è un po’ come puntare al massimo comun divisore. Ma spesso quello che aiuta a costruire è la ricerca del minimo comune multiplo. Cioè la ricerca, in tutte le cose, di un aspetto se si vuole piccolo, se si vuole potenziale, sul quale si possa però costruire una previsione di miglioramento, di evoluzione, una previsione di sviluppo.
Lo scorso anno ci si è dedicati molto al quarto centenario dell’arrivo a Pechino del missionario Matteo Ricci anche perché era una occasione per porre questo problema nella giusta prospettiva. Tutto lo sforzo di Matteo Ricci, e non solo il suo, inserito tra l’altro nella metodologia di preparazione dei Gesuiti, fu quello di dedicare anni alla conoscenza della lingua e dei costumi dei cinesi, fino ad apparire come uno di loro, proprio per non essere visto come uno che tentava di esportare un prodotto dall’Occidente. Qui sta tutta la storia che poi non riguarda soltanto la Cina ma ha a che fare anche con le tensioni e i problemi del mondo contemporaneo. Con questo timore che attraversa diversi Paesi nei confronti del predominio dell’Occidente. Un predominio sul piano economico che si tenta di correggere con le politiche di cooperazione allo sviluppo. Che tuttavia non riescono a intaccare il dato secondo cui il 20% dell’umanità gode dell’80% delle risorse globali del mondo. Ora, di questa diffidenza nei confronti dell’Occidente, diffusa in varia misura a seconda della storia di ciascun Paese, si deve tener conto.
Lo si è visto anche nelle polemiche scoppiate nel 2000, quando la canonizzazione di più di cento martiri cinesi fu celebrata il 1� ottobre, lo stesso giorno in cui si tiene la festa nazionale della Cina popolare. Sfortunata coincidenza, che fu presa dai responsabili politici cinesi come un affronto. Lo commentai, in forma bonaria: ma voi immaginate addirittura che la Chiesa sia molto più perfida di quella che è, se pensate che abbia scelto quel giorno per farvi un dispetto. In verità la svista è stata originata dal fatto che, non avendo la Santa Sede rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese, la ricorrenza della nascita della Cina popolare non è inserita nel calendario dei ricevimenti diplomatici a cui partecipano anche i rappresentanti vaticani presso le ambasciate dei diversi Paesi in occasione delle rispettive feste nazionali.
Comunque, se guardiamo alla complessa storia del Novecento, si intuisce la necessità di superare, magari anche attraverso incidenti di percorso come quello occasionato dalla canonizzazione dei martiri cinesi, questo senso di diffidenza e di non amicizia istituzionale e istintiva nei confronti dell’Occidente.
I fatti del Novecento sono stati fatti terribili. È uscito di recente un libro dell’Istituto storico della Marina che racconta proprio gli interventi delle flotte militari di vari Paesi occidentali, compreso il nostro, contro la Cina tra Ottocento e Novecento. In alcuni casi, come dopo la rivolta dei Boxer, quegli interventi si presentavano come reazioni davanti a fatti gravi e sanguinosi che suscitavano grande impressione nell’opinione pubblica internazionale. Ma si avverte, in quelle vicende storiche, anche tutta la pretesa di un certo tipo di mondo occidentale di voler dominare, di voler umiliare la Cina e farla da padroni, fino a imporre all’Impero cinese dei lucrosi traffici mercantili che non erano certamente encomiabili, come quelli che hanno scatenato le cosiddette guerre dell’oppio. Dico questo perché anche oggi mi sembra diffuso l’equivoco che porta a confondere il contrasto nord-sud del mondo, questo contrasto economico e sociale, con un contrasto di carattere religioso. È un equivoco che non viene diffuso solo riguardo alla Cina, ma, se allarghiamo l’orizzonte, vale anche per l’islam, che è più al centro dell’attenzione per le disgraziatissime vicende degli ultimi anni. Sotto questo aspetto, la piccola vicenda dei cristiani in Cina raccontata in questo volume mostra in maniera avvincente come le tracce di un antico lavoro, come quello operato dai missionari del tempo di Matteo Ricci, sono tracce che non si sono spente, ma hanno fermentato e anche oggi, nella situazione presente, hanno la possibilità di essere di nuovo ravvivate.
Giulio Andreotti

Giulio Andreotti

Certo, la Cina vive un momento particolare, che presenta per loro anche dei rischi. Perché la modernizzazione è intesa spesso come la possibilità di fruire di maggiori opportunità di vita, ma soprattutto come disponibilità di certi strumenti con i quali viene identificato il progresso. Su questo, io stesso ammetto di aver fatto qualche volta l’esame di coscienza. Per molti anni, nelle campagne elettorali qui in Italia, per dimostrare i miglioramenti e dire che le cose andavano bene prendevo come criterio l’indice della motorizzazione privata. E dicevo: guardate, le statistiche dicono che sul Lungotevere prima della guerra passavano tante macchine in due anni quante adesso ne passano in un solo pomeriggio. Ma sono criteri che occorre usare con circospezione. Oggi in Cina vi è questa possibilità, da un lato positiva. Se si guardano i documenti politici programmatici, si vede bene quanto siano lontani i tempi di Mao. Adesso è il governo stesso che indirizza i cittadini a perseguire un buon livello di vita, quello che viene tradotto come il "piccolo benessere". E anche qui si assiste alla messa in opera di un immenso programma di motorizzazione, di infrastrutture pubbliche, con prospettive che aprono a un tipo di società non più monocolore, come era la società cinese di prima. Certo, tutto questo processo sta cambiando un Paese enorme, un Paese con un numero immenso di abitanti appartenenti a una grande quantità di etnie, e questo comporta una serie di problemi. Quando andammo con Craxi da Deng Xiaoping, siccome tutti i capi di governo occidentali seguivano una sorta di scaletta che prevedeva anche una predica con esortazioni sul rispetto dei diritti umani, Deng ascoltò con molta attenzione, imperturbabile, anche le raccomandazioni del presidente del Consiglio italiano su questo punto. A un certo momento disse: "Guardi, presidente, io non so se lei in Italia ha il 99% dei consensi. Se anche io avessi il consenso del 99% dei miei connazionali, mi rimarrebbero comunque undici milioni di persone da convincere, provi un po’ a metterle una dietro l’altra... Tenete conto anche di questo, quando giudicate la nostra situazione". Del resto, poco tempo prima, alla vigilia degli incontri internazionali di Ginevra sul tema delle libertà e dei diritti umani, anche il presidente George Bush aveva telefonato a Deng, per raccomandargli un gesto che stemperasse le ricorrenti critiche alla Cina su questo punto. Deng gli rispose: "Guardi, uno dei diritti umani fondamentali è quello di non morire di fame, e per adesso siamo riusciti a garantire a tutti i cinesi questo diritto. Un altro diritto è quello di non dover per forza vestire tutti allo stesso modo. E anche questo obiettivo lo abbiamo raggiunto. Poi io ho istituito un gruppo di lavoro, ed è uscito fuori che lei, presidente, ci potrebbe aiutare in questo: se gli Stati Uniti accogliessero trecento milioni di cinesi, aiutereste noi a garantire agli altri un miglioramento più rapido delle condizioni di vita…".
Perché ricordo adesso questo? Io credo che da un lato noi dobbiamo porre il problema religioso nel quadro dei diritti umani, quei diritti che la società internazionale dovrebbe sempre di più riconoscere. Questo come criterio generale. Poi, nelle situazioni concrete, una rifioritura dipende anche dalla vitalità nostra che può esprimersi in forme diverse. Una decina di anni fa, monsignor Aloysius Jin Luxian, il vescovo di Shanghai riconosciuto dal governo, mi raccontò di aver preso un’iniziativa interessante. In Cina il sistema scolastico è solo statale, e lo Stato fissa gli orari di apertura delle scuole. Ma le attività scolastiche si protraggono solo fino a una certa ora del pomeriggio. Allora il vescovo Jin aveva chiesto di aprire una scuola serale professionale, usufruendo delle strutture delle scuole statali. L’iniziativa non era "contro" nessuno, non ci furono obiezioni e quindi arrivò il permesso delle autorità e la scuola serale cominciò a funzionare. È una goccia d’acqua in un oceano. Ma indica una prospettiva interessante. Noi dobbiamo cercare di evidenziare questa capacità positiva dell’apporto della religione, e in questo caso noi parliamo della religione cattolica, allo sviluppo globale del Paese, evidenziando l’assoluta assenza di secondi fini. Si spiega in questa luce il passo del messaggio che il Santo Padre mandò nell’ottobre 2001 ai partecipanti al convegno su Matteo Ricci, svoltosi alla Pontificia Università Gregoriana, in cui si prendeva atto anche degli errori compiuti in passato, come la commistione che c’è stata tra l’attività missionaria e le strategie coloniali delle potenze straniere. Magari era impossibile fare altrimenti, magari senza salire sulle navi dei portoghesi o degli spagnoli, in Cina non si sarebbe neanche arrivati. Ma è chiaro che questa commistione alla fine alimentava degli equivoci nei confronti dell’iniziativa missionaria.
Ora, di questa diffidenza nei confronti dell’Occidente, diffusa in varia misura a seconda della storia di ciascun Paese, si deve tener conto. Lo si è visto anche nelle polemiche scoppiate nel 2000, quando la canonizzazione di più di cento martiri cinesi fu celebrata il 1º ottobre, lo stesso giorno in cui si tiene la festa nazionale della Cina popolare. Sfortunata coincidenza, che fu presa dai responsabili politici cinesi come un affronto. Lo commentai, in forma bonaria: ma voi immaginate addirittura che la Chiesa sia molto più perfida di quella che è, se pensate che abbia scelto quel giorno per farvi un dispetto
Adesso, si può cercare di cooperare col loro sviluppo, nelle forme in cui è possibile e opportuno farlo. Ad esempio, aiutandoli a comprendere che il processo di questa modernizzazione economica, che assumerà ritmi sempre più accelerati, può essere senza dubbio un bene agli effetti della vita materiale. Ma può produrre problemi e sofferenze, se non ha dei riferimenti, se non tiene conto di criteri in cui il dato religioso, a mio avviso, può svolgere un ruolo di orientamento positivo. Un dato religioso che, anche qui, deve indicare dei "minimi comuni multipli", nel campo dell’etica naturale, nel campo di certe determinate regole essenziali.
A me pare che un tale approccio costruttivo possa avere risvolti incoraggianti anche sul piano dei rapporti tra Cina Popolare e Santa Sede. Non è un tema che si possa affrontare diffusamente stasera, ne conosco bene tutte le complicazioni. Ma è di certo anomalo che presso il Vaticano ci siano rappresentanze diplomatiche di quasi tutte le nazioni, e manchi quella di un Paese così rilevante.
Oggi c’è anche un fattore, che può influire in maniera propizia: in molti Paesi c’è la preoccupazione per l’attività delle sette, che sono di varia natura, talvolta hanno una fisionomia complessa, e non a caso qualche anno fa in Vaticano ci fu un sinodo che si occupò di questo fenomeno. Molti Paesi, compresa la Cina, seguono con preoccupazione anche la politicizzazione che segna il profilo di alcune di queste sette. Ma proprio questo allarme verso le sette potrebbe invece ispirare in questi Paesi un atteggiamento di minore diffidenza nei confronti delle religioni tradizionali, una disponibilità a poterle recepire e ascoltare.
Ci pensavo la mattina di domenica scorsa, quando alla Casa di Dante ho assistito alla lettura del ventesimo canto del Paradiso, dove Dante parla anche di quelli che non hanno avuto la possibilità di conoscere Gesù Cristo, di coloro per i quali non è praticabile questo diritto di accesso. È un grosso problema di carattere teologico. Noi vediamo che in questo mare magnum della Cina, con salti di secoli, ci sono state delle piccole presenze cristiane. Abbiamo ricordato Matteo Ricci, e i martiri cinesi. Quest’anno, in occasione del terzo centenario della Pontificia Accademia Ecclesiastica, io stesso ho ricordato il francescano Giovanni da Montecorvino, che già nel 1294 era giunto in Cina come ambasciatore straordinario del Papa. Ma si è trattato sempre di qualche cosa di estremamente sproporzionato rispetto alle dimensioni della Cina. Per il futuro, vedo che ci potranno essere nuove circostanze propizie. Ad esempio quella delle Olimpiadi del 2008 a Pechino, la cui organizzazione dovrà garantire anche i servizi religiosi per gli atleti, ma soprattutto quella dell’Esposizione universale che si terrà a Shanghai nel 2010. In quell’occasione, il padiglione della Chiesa cattolica potrà essere strutturato proprio in modo da poter offrire un’immagine schietta del volto della Chiesa, che esprima anche l’estraneità della Chiesa rispetto ad ogni secondo fine e a ogni strumentalizzazione politicizzata. È un appuntamento che va preparato per tempo. Se da un lato si proseguirà per alcune delle vie tracciate anche all’ultimo Congresso del Partito comunista cinese dello scorso novembre, e se dall’altro potranno essere coltivate ulteriormente alcune iniziative, ci potranno essere sviluppi positivi.
È vero che per una civiltà millenaria come quella cinese, come del resto per la Chiesa cattolica, i tempi sono dilatati e non vanno misurati a legislature, come tocca in sorte a noi poveretti che facciamo vita politica. Però non dobbiamo abbandonare questo approccio costruttivo. Guai a pensare che tutto sia indifferenziato e che tutte le situazioni si equivalgano. Guai, anche per riguardo nei confronti dei poveretti che soffrono, a non riconoscere che ci sono ancora delle sofferenze, delle difficoltà. Ma occorre anche lavorare sempre cercando un possibile risvolto di segno positivo.
Noi pensiamo che la Chiesa possa sempre arrecare alle società un apporto vantaggioso. Che poi permanga in qualche parte una forte diffidenza nei confronti della Chiesa… beh, anche come italiano io non posso dimenticare che, dopo la Prima guerra mondiale, gli altri Paesi non erano contrari alla partecipazione della Santa Sede alla conferenza di Versailles, e chi si oppose fu il governo italiano di quel momento. C’è stata anche da noi in Italia tutta una lunga tradizione, in parte a causa del temporalismo, ma non solo per questo, che considerava la Chiesa addirittura come qualche cosa di ostile, di estraneo. Quindi non siamo noi a poter puntare troppo il dito sulle incomprensioni che permangono da parte di altri Paesi. Noi possiamo suggerire certamente degli indirizzi, ma cercando di favorire sempre le aperture di dialogo, possibili in ogni occasione. Un dialogo comprensivo, rispettoso, costruttivo.
E oggi sono lieto che ci sia qui anche il cardinale Roger Etchegaray. Un giorno mi sono trovato a parlare col patriarca di Mosca Alessio II di un’altra situazione controversa in cui permangono degli attriti, quella dei rapporti tra Santa Sede e patriarcato russo. Proprio Alessio II, dopo avere elencato tutte le difficoltà, mi confidò: però io non posso dimenticare che il cardinale Etchegaray mi invitò e mi ospitò quando era ancora a Marsiglia, e io mantengo nei suoi confronti una grande devozione e una grande stima.

Il cardinale Roger Etchegaray

Il cardinale Roger Etchegaray

Intervento del Cardinale Etchegarray
Sono stato molto lieto di ascoltare l’onorevole senatore Giulio Andreotti e padre Angelo Lazzarotto. Ringrazio 30Giorni, specialmente Gianni Valente, che mi permette stasera di infilarmi nella scia di due grandi amici della Cina. E mi dà l’occasione di far sentire la mia voce piccola, ma spero calorosa. Sì, perché anch’io amo il popolo cinese. Direi appassionatamente. Non è una dichiarazione d’amore che faccio adesso, a ottant’anni. Potevo dirlo già a vent’anni, che amavo il popolo cinese. Sono nato in un piccolo villaggio basco francese, di meno di duemila abitanti, e la mia casa natale dista appena cento metri da quella dove è nato un missionario, Armand David, che intorno al 1870 ha scoperto il famoso panda gigante, e così è diventato illustre per tutta la Cina, e lo è ancora oggi. Ma stasera, grazie a questo libro fotografico di Gianni e di Massimo Quattrucci, posso dirlo con una forza ancora più grande: io amo il popolo cinese.
La Cina deve essere capita a partire da se stessa. Il popolo cinese, così fiero della sua nobile cultura, ha una memoria fine e dolorosa che pesa sulla situazione attuale, ma è un popolo realista per natura e per esperienza. Dal tempo di Matteo Ricci, la Cina, come pure la Chiesa, ha conosciuto delle trasformazioni profonde
Il fascino di questa opera viene certo dal racconto svelto di un viaggio, ma soprattutto dalle immagini che lo illustrano. Di fatto, quando si tratta di Dio o dell’uomo, si può dire che è attraverso il suo volto, la sua faccia che si rivela il suo cuore. Dimmi qual è il tuo volto, e ti dirò chi sei. E questo è vero in questo volume. Perché questi volti di fanciulli, di adulti, di anziani, e di un vescovo, mi hanno fatto entrare nel mistero di un popolo, bisogna confessarlo, molto lontano. Non solo geograficamente, ma soprattutto culturalmente. Durante il mio ultimo viaggio in Cina, due anni fa, nel corso dell’anno giubilare, ero con padre Lazzarotto, e un sociologo dell’Accademia delle scienze di Pechino mi spiegava la forza d’urto dei simboli nel Paese degli ideogrammi. Poi, ho meditato la verità del salmo che per esprimere una grande distanza tra due punti dice semplicemente: sono tanto lontani come lo è l’Occidente dall’Oriente. E che dire dell’Estremo Oriente… Non ho mai dimenticato lo shock che ho avuto più di ventidue anni fa, quando andai a Pechino la prima volta, dopo la Rivoluzione culturale, e fui il primo vescovo straniero, e probabilmente lo sono ancora, ad essere ricevuto ufficialmente dall’Assemblea nazionale di Pechino. In quell’occasione il famoso dirigente mongolo Ulanfu mi presentò – e questo mi colpì, perché voleva usare espressioni riguardose nei miei confronti – come "un alto funzionario di una religione occidentale". Il cristianesimo è solo un puro prodotto dell’Occidente, appena tollerato tra le religioni orientali? Di fatto in Cina, molto più che altrove, Gesù Cristo sopravviene come uno straniero. E le vicissitudini della storia hanno complicato le condizioni di incontro e di accoglienza tra il Vangelo e l’anima cinese.
Questo libro, che si apre con un’interessante prefazione del senatore Andreotti e poi, nella parte finale, contiene anche una bella storia per accenni delle vicende della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, dice chiaramente dove siamo oggi ma anche dice dove vogliamo andare. Da parte mia, vorrei riprendere ciò che avevo detto al colloquio su Matteo Ricci, svoltosi nell’ottobre 2001 alla Pontificia Università Gregoriana, e lo ripeto stasera con la stessa sincerità e convinzione: la Cina deve essere capita a partire da se stessa. Il popolo cinese, così fiero della sua nobile cultura, ha una memoria fine e dolorosa che pesa sulla situazione attuale, ma è un popolo realista per natura e per esperienza. Dal tempo di Matteo Ricci, la Cina, come pure la Chiesa, ha conosciuto delle trasformazioni profonde. Sappiamo che un grande popolo ha bisogno di portare avanti la modernizzazione sulle basi della propria identità riconosciuta e rispettata. È su tali fondamenta che deve riprendere e svilupparsi un dialogo del quale entrambe le parti avvertono un bisogno pressante. Lo spirito di Matteo Ricci, Li Madou, sia con noi, per guidarci malgrado tutte le intemperie che persistono. Possa questo fraterno incontro serale accelerare, direi quasi al galoppo (in Cina siamo nell’anno del cavallo!), la nostra marcia affinché la Chiesa in Cina sia pienamente cattolica e pienamente cinese. Amen.






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