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ARGENTINA
tratto dal n. 01 - 2002

Intervista al presidente della Repubblica Argentina Eduardo Duhalde

Ricominciamo da produzione e lavoro


Intervista al presidente della Repubblica Argentina Eduardo Duhalde. Dopo il “decennio perduto” che ha portato al saccheggio della nazione, la via d’uscita dalla crisi passa per una nuova alleanza col mondo del lavoro e della produzione. «E lo Stato non può disinteressarsi dello sviluppo e lasciare in mano al mercato la distribuzione dei redditi e l’equità sociale»


di Gianni Valente e Davide Malacaria


il presidente argentino Eduardo Duhalde

il presidente argentino Eduardo Duhalde

Eduardo Duhalde è stato eletto presidente della Repubblica Argentina il 1° gennaio 2002. Il suo compito è quello di traghettare la nazione fuori dalla terribile crisi che attraversa. A sostenerlo nel Congresso è una larga alleanza che va dal Partito giustizialista, del quale è presidente dal 1998, al Partito radicale guidato da Raúl Alfonsín, il primo presidente eletto, nel 1983, dopo la fine della dittatura militare. Duhalde è stato vicepresidente della nazione nel 1989 e, nel 1991, è stato eletto governatore della provincia di Buenos Aires. Nel 2001 è entrato in Parlamento come senatore nazionale per la stessa provincia. Tra i vari titoli onorifici ottenuti, molti hanno a che vedere con il suo impegno nella lotta alla droga e al narcotraffico, come le lauree honoris causa conferitegli nel ’92 dall’Università di Genova e nel ’99 da due atenei argentini, l’Università Ebrea Argentina Bar Llán e l’Università del Salvador.

La crisi argentina ha tante cause, ma qual è stata, secondo lei, quella principale?

EDUARDO DUHALDE: Come ho detto in diverse occasioni, il nostro Paese è distrutto. Alla crisi economica e sociale si somma una penosa crisi di fiducia del popolo verso tutta la classe dirigente. Il governo ha davanti emergenze che devono essere affrontate con urgenza, perché il governo precedente, che ha rinunciato, ha lasciato il Paese con un tasso di disoccupazione del 20%, senza alcun piano alimentare per i più bisognosi e con una perdita di riserve per 20 mila milioni di dollari, cosa che ha provocato la sfiducia verso il sistema finanziario e il congelamento dei depositi dei risparmiatori.
Molte cause hanno prodotto questa crisi che non solo ha distrutto il valore della moneta, ma ha anche portato il Paese a subire quattro anni di recessione, e di conseguenza una caduta del prodotto interno lordo, una riduzione delle entrate fiscali e un aumento della povertà.
Secondo alcuni osservatori internazionali, gli anni Novanta sono stati il decennio perduto. Condivide questo giudizio?
DUHALDE: Analizzando in maniera dettagliata il decennio degli anni Novanta, constatiamo che un milione di argentini appartenenti alla classe media si è impoverito, per il crollo dei guadagni o per la perdita del lavoro ed è passato a ingrossare il numero dei poveri. Devo precisare che è stato lo stesso modello a portare alla fine della convertibilità, e non questo governo. Si è arrivati all’agonia di questa politica perversa quando è uscita fuori questa bomba a tempo che è il corralito, che impedisce alla gente di accedere ai risparmi depositati nelle banche. Per questo la nostra prima iniziativa è stata quella di verificare questa situazione, per poter cominciare a ricostruire il Paese.
Il modello che si è realizzato in Argentina in questi anni – lo affermo da prima dell’ultima campagna elettorale – era esaurito. Aveva portato alla disperazione la maggior parte del nostro popolo. Come conseguenza della depressione economica, la caduta di entrate per abitante è arrivata a toccare il 12%. Allo stesso tempo la disoccupazione è aumentata fino a superare tutti i valori che si erano registrati nella storia del Paese e l’indice di povertà è giunto a toccare il 40% della popolazione. Questo significa, né più né meno, che 15 milioni di argentini vivono al di sotto della soglia della povertà.
Questo modello, nella sua fase di agonia, ha spazzato via tutto. L’essenza stessa di questo modello perverso ha posto fine alla convertibilità, ha portato all’indigenza due milioni di compatrioti, ha distrutto la classe media argentina, le nostre industrie, ha polverizzato il lavoro degli argentini. Oggi la produzione e il commercio sono fermi, la catena dei pagamenti si è spezzata e non c’è circolazione monetaria in grado di mettere in marcia l’economia.
Per questo la mia decisione è stata quella di verificare la situazione e gettare le basi di un nuovo modello, capace di recuperare la produzione, il lavoro degli argentini, il suo mercato interno e promuovere una più equa distribuzione della ricchezza.
L’ideologia neoliberista ha presentato il modello economico basato sul libero movimento dei capitali finanziari come fonte di benessere per tutti. Cosa insegna, in questo senso, il caso argentino?
DUHALDE: Solo con la libertà economica e integrati con il resto del mondo possiamo uscire dalla nostra crisi. Però dobbiamo chiarire che all’inizio degli anni Novanta l’Argentina si è inserita pienamente dentro quel processo inevitabile che è la globalizzazione. In quel periodo sono state realizzate riforme economiche imprescindibili, che sono giunte con almeno dieci anni di ritardo. Il problema è che purtroppo siamo entrati in questo processo senza avere chiaro dove volevamo andare e attraverso quale percorso. Siamo stati colti di sorpresa dagli sviluppi di un processo in cui ci sentivamo scolari incitati a svolgere i compiti richiesti per entrare nel paradiso promesso (privatizzazioni, stabilità monetaria, apertura del mercato interno). Quel processo si è concluso con una situazione caratterizzata da una brutale diseguaglianza nella distribuzione della rendita nazionale, da disoccupazione, da esclusione e dalla perdita di qualità istituzionale. La responsabilità, ora come allora, è nostra: perché non abbiamo definito un modello di Paese capace di integrarsi con il mondo.
Questa bancarotta ha contribuito alla distruzione della nostra comunità produttiva e si è impossessata di ampi settori del nostro mercato interno, che è il saldo iniziale con cui una nazione entra nei mercati internazionali di capitali, di tecnologia, di commercio e produzione. Quello che è successo negli anni Ottanta e Novanta ha cambiato la struttura sociale, economica e culturale dell’Argentina tradizionale. Ma allo stesso tempo ha lasciato profondi insegnamenti, tra i quali possiamo segnalare, solo come esempio:
Riguardo all’attuabilità, un’economia con istituzioni vecchie, burocratizzate, con profondi squilibri nei suoi conti pubblici, con una moneta volatile e svincolata dal mondo esterno, è un’economia impraticabile.
Riguardo ai conti: l’equilibrio o l’accrescimento delle variabili macroeconomiche non garantiscono maggiore sviluppo ed equità. Detto in altri termini: i conti macroeconomici possono andare bene e, simultaneamente, la gente può vivere sempre peggio.
sotto, sostenitori peronisti  festeggiano l’elezione del presidente davanti alla Casa Rosada; sopra, 
scontri notturni nel centro di Buenos Aires 
dopo un cacerolazo

sotto, sostenitori peronisti festeggiano l’elezione del presidente davanti alla Casa Rosada; sopra, scontri notturni nel centro di Buenos Aires dopo un cacerolazo

Riguardo allo Stato: esso non può disinteressarsi dello sviluppo e lasciare in mano al mercato la distribuzione dei redditi e l’equità sociale.
Rispetto ai mercati: la loro deificazione e quella del capitale finanziario vagante ha disarticolato il sistema produttivo nazionale, reso dipendenti dall’estero le banche, depresso le esportazioni, aumentato il deficit di competitività della nostra economia e portato al collasso le piccole e medie imprese.
Dove sono finiti i soldi dell’Argentina? Quali settori, e attraverso quali sistemi, hanno impoverito il Paese?
DUHALDE: Il nostro governo ha modificato l’alleanza che ha caratterizzato il Paese in questi ultimi anni. Siamo passati a una alleanza con la produzione e il lavoro. L’alleanza del governo con il settore finanziario e il settore bancario, che abbiamo subìto in passato, è quella che ci ha portato alla attuale situazione. Io stesso mi chiedo dove è finita la ricchezza degli argentini. Adesso va male a tutti: lavoratori, commercianti, produttori, professionisti, uomini di cultura. Ci sono 65.000 milioni tra pesos e dollari messi nel corralito che le banche hanno prestato a imprese, a famiglie o al settore pubblico. Ma adesso c’è stata una denuncia alla magistratura – di cui si è interessato il Congresso nazionale – circa il probabile illecito trasferimento all’estero di parte di quei fondi con una serie di operazioni. Appoggiamo con forza questa inchiesta della magistratura, perché ci sono sospetti molto seri e dobbiamo garantire che coloro che hanno rubato i soldi della gente e quelli che non hanno controllato siano assicurati alla giustizia.
Tutti i soldi che sono entrati nel Paese in questi anni, decine di migliaia di milioni provenienti dal Fondo monetario internazionale, non sono stati utilizzati per favorire le imprese nazionali, né la produzione: questo denaro è fuoriuscito dal Paese.
Tra gli osservatori internazionali si dice che l’Argentina passerà dalle “relazioni carnali” con gli Stati Uniti dell’era Clinton, alle “relazioni poligame”. Che vuol dire? In che modo la crisi modificherà le prospettive dell’Argentina sul piano geopolitico?
DUHALDE: La nostra maggiore sfida consiste nel ricreare le condizioni perché l’Argentina torni a investire nelle attività produttive. Dobbiamo ricostruire il corpo delle nostre imprese e delle industrie, settori che creano maggiore occupazione. Crediamo fermamente nella necessità di integrarci con il mondo mediante l’articolazione di alleanze commerciali partendo come base da un Mercosur forte e capace di propiziare accordi strategici con altri blocchi come l’Alca, l’Unione europea e altri mercati del mondo. Solo con la libertà economica e con l’integrazione con il mondo usciremo dalla nostra crisi; però abbiamo bisogno da parte dei nostri amici e alleati – tra i quali figurano gli Stati Uniti – di comprensione per l’attuale congiuntura e di aiuti concreti da parte degli organismi finanziari internazionali.
Continueremo a mantenere le nostre buone relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa, perché ciò è fondamentale per il nostro Paese. Tutti i Paesi chiedono di essere indipendenti e sovrani all’interno di una realtà interdipendente. Però se vogliamo essere così, naturalmente dobbiamo cambiare, dobbiamo presentarci con le nostre proposte, dobbiamo essere seri e dobbiamo, con tutti i mezzi, fare in modo di essere rispettati, perché noi siamo intenzionati a rispettare tutti i Paesi del mondo.
Lo sviluppo è crescita, migliore distribuzione dei redditi e progresso sociale, mete abbandonate da molto tempo, ma che costituiscono il vero obiettivo della comunità nazionale. Su questo cammino ci sono due compiti fondamentali: reimpostare le relazioni interne del potere in Argentina e formulare una nuova strategia di inserimento nel quadro regionale e mondiale. Vogliamo integrare nel sistema dei consumi milioni di argentini impoveriti ed esclusi.
Fila di risparmiatori davanti a una banca in attesa di ritirare il proprio denaro bloccato nei depositi bancari dalla legge del corralito

Fila di risparmiatori davanti a una banca in attesa di ritirare il proprio denaro bloccato nei depositi bancari dalla legge del corralito

Come considera le iniziative e i giudizi della Chiesa cattolica davanti alla crisi?
DUHALDE: Questa fase che ha inizio in Argentina conta su uno strumento strategico: la concertazione, che l’autorità morale della Chiesa rafforza. La proposta è stata accolta molto bene e credo che sarà di somma utilità per il Paese. Mi riferisco all’istituzione del Foro di dialogo, di discussione e di concertazione sociale al quale partecipano le forze politiche, sociali e spirituali per cercare un accordo sui cinque o sei temi sui quali noi argentini dobbiamo necessariamente trovare un consenso, per permettere al nostro Paese di superare la crisi in cui si trova.
Questo Foro di concertazione costituisce un asse portante per il nostro progetto, dentro l’ambito offerto dall’autorità morale della Chiesa – che ha più volte segnalato le deviazioni della classe politica in questi anni – puntellata in questo caso dall’organizzazione delle Nazioni unite, con la garanzia della sua esperienza internazionale.
Nel discorso inaugurale ho segnalato che la dottrina sociale della Chiesa è la nostra guida e, ancora di più, la nostra bussola. I suoi principi umanisti e cristiani saranno i pilastri sui quali appoggiare tutte le nostre azioni di governo.
I valori trascendenti che la Chiesa incarna sono i pilastri sui quali si regge la nostra visione dei diritti umani fondamentali che noi argentini dobbiamo recuperare, con il dialogo, con la solidarietà. Il nostro punto di partenza è un presente di grande esclusione sociale, di ingiustizie estreme. Nel nostro Paese la povertà ha assunto caratteristiche gravissime. Si sta attentando al diritto alla vita, alla salute, all’alimentazione, all’abitazione, all’educazione. Porre fine all’indigenza e all’ingiustizia e recuperare la mobilità sociale ascendente è l’obiettivo minimo di tutto il dialogo nazionale. Stiamo lavorando su questa base etica.
Il dialogo settoriale tra lavoratori, impresari, organizzazioni civili e lo stesso Stato sarà la base per affrontare il dramma della disoccupazione di massa e per ricreare una cultura del lavoro, e la Chiesa ci offre l’ambito per questo. Il dialogo, a sua volta, contribuisce a garantire la pace sociale, fin da ora.


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