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AFRICA
tratto dal n. 06 - 2004

VATICANO. Un intervento del segretario per i Rapporti con gli Stati

La possibile rinascita di un continente


L’Africa dei conflitti, delle epidemie, della fame è parte integrante della storia dell’umanità e attende che siano messe in evidenza anche le luci e le speranze per trasformarle in concrete iniziative


di Giovanni Lajolo


Rifugiati congolesi lasciano il loro Paese e si dirigono verso un accampamento dell’Unchr nel villaggio di Burundian di Rugombo, giugno 2004. Sono quasi 25mila le persone che hanno abbandonato la Repubblica Democratica del Congo rifugiandosi nel vicino Burundi

Rifugiati congolesi lasciano il loro Paese e si dirigono verso un accampamento dell’Unchr nel villaggio di Burundian di Rugombo, giugno 2004. Sono quasi 25mila le persone che hanno abbandonato la Repubblica Democratica del Congo rifugiandosi nel vicino Burundi

L’Africa è veramente un continente alla deriva? La corrente di pensiero che nasce da politici ed economisti e che va sotto il nome di “afropessimismo” sembra non avere dubbi in quanto gli obiettivi di sviluppo del millennio, ribaditi più volte dalle Nazioni Unite, difficilmente potranno essere realizzati entro il 2015.
Non è mia intenzione presentare, in questa sede, un quadro completo della situazione politica dell’Africa. Mi accontenterò di delineare alcune delle ombre e delle luci che attraversano il continente. Infatti – come ricorda il Sommo Pontefice – benché «in alcuni Paesi la situazione interna, purtroppo, non si sia ancora consolidata, e la violenza abbia avuto o abbia ancora talvolta il sopravvento, ciò non può dare luogo ad una condanna generale che coinvolga tutto un popolo o tutta una nazione o, peggio ancora, tutto il continente» (Ecclesia in Africa n. 39). Dopo questa prima riflessione, esporrò poi l’impegno del Pontefice e della Chiesa cattolica per l’Africa.


Le ombre

Molti Paesi dell’Africa hanno vissuto la devastante esperienza della guerra: casi emblematici rimangono il Ruanda e il Burundi, con 800mila e 300mila morti, rispettivamente. Tra i conflitti che ancora insanguinano il continente, particolarmente drammatici per la durata sono quelli in corso nell’Uganda del nord, nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sudan. A subire le conseguenze più gravi, patendo morte, soprusi e fame, è la gente. Si tratta di guerre caratterizzate da episodi di inaudita violenza e crudeltà.
Inoltre gli interessi economici per le risorse (soprattutto minerarie e petrolifere) del continente africano hanno scatenato un disordinato assalto da parte di coloro che, anche nei Paesi industrializzati, hanno interesse ad entrarne in possesso. Questa drammatica situazione politica e sociale è aggravata dal diffondersi di nuove e antiche epidemie, dall’alta percentuale di mortalità infantile e dal debito estero. Nonostante l’iniziativa per il condono del debito estero di alcuni Paesi, l’Africa resta il continente più indebitato in relazione al suo reddito nazionale lordo. Purtroppo ingenti capitali sono spesi per l’acquisto di armi. Un vero scandalo! Pensiamo alle armi per la guerra fra l’Etiopia e l’Eritrea.

L’Africa soffre di grave carenza di cultura politica, che sta alla base del fallimento di molti processi democratici nel continente. A giudizio di molti la società civile ha delegato troppe responsabilità alla classe politica, che ha concesso, a sua volta, troppo spazio al potere esecutivo, il quale ha gestito lo Stato con il partito unico, espressione del presidente. La personalizzazione del potere ha avuto ed ha esiti nefasti in Africa. Una delle sfide dell’Africa si chiama cittadinanza: è necessario cioè trasformare i sudditi in cittadini.

Questi drammi si consumano nella indifferenza quasi generale, da cui ci si risveglia quando ci sono di mezzo cittadini o interessi del nord del mondo. Ne è la riprova il fatto che il Programma alimentare mondiale è costretto ad una continua opera di sensibilizzazione nei confronti dei Paesi donatori affinché garantiscano gli aiuti per la sussistenza a decine di milioni di africani, altrimenti destinati alla morte per fame.

Dopo l’ignobile attacco terroristico subito dagli Usa, l’11 settembre 2001, le condizioni di vita di molti Paesi africani sono decisamente peggiorate. L’area subsahariana è la regione del mondo che paga il prezzo più caro con i suoi milioni di poveri e l’assenza di una efficace rete di assistenza.

Profughe sudanesi, provenienti dalla regione di Darfur, attendono in fila il proprio turno davanti a una pompa d’acqua nel campo profughi di Mornay. In Sudan sono più di 80mila i profughi che hanno raggiunto questa città per sfuggire ai massacri effettuati dalle milizie filogovernative nella regione di Darfur

Profughe sudanesi, provenienti dalla regione di Darfur, attendono in fila il proprio turno davanti a una pompa d’acqua nel campo profughi di Mornay. In Sudan sono più di 80mila i profughi che hanno raggiunto questa città per sfuggire ai massacri effettuati dalle milizie filogovernative nella regione di Darfur

La situazione dell’Africa va letta, oggi più che mai, all’interno di questi ultimi drammatici avvenimenti. Alla luce di quanto accaduto sembra quanto mai necessario creare condizioni che evitino il determinarsi di tensioni, contrapposizioni tra aree sviluppate, aree che arrancano per uscire dalla propria condizione di precarietà economica e aree di fame e miseria. Il mondo occidentale deve essere consapevole che i popoli “esclusi”, se non si imboccherà la strada di un autentico sviluppo, finiranno col credere di non avere altra scelta che quella del terrorismo. E questo potrebbe diventare un nuovo modo di fare la guerra.
Non va infatti sottovalutata la diffusione del fondamentalismo islamico nella regione del Sahel, del Sahara e dell’Africa orientale.
L’Africa dei conflitti, delle epidemie, della fame è parte integrante della storia dell’umanità e attende che siano messe in evidenza anche le luci e le speranze per trasformarle in concrete iniziative.


Le luci


L’Africa è la culla dell’umanità. Questo ci porta a ricordare che il continente è disseminato di siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco in quanto riconosciuti ufficialmente come un valore da ammirare, da custodire, e come beni che appartengono non solo agli africani, ma all’umanità intera. Inoltre, nel maggio 2001 l’Unesco ha compilato un elenco dei capolavori da tutelare in quanto appartenenti al «patrimonio orale e immateriale dell’umanità». Tra le forme di espressione culturale selezionate come «fattori vitali per l’identità culturale, la promozione della creatività e la preservazione della diversità culturale, che giocano un ruolo essenziale nello sviluppo nazionale e internazionale, nella tolleranza e nell’interazione armoniosa fra le culture» (così recita la motivazione dell’Unesco) figura la tradizione orale e artistica inerente all’insieme della società gelede (in Benin, Nigeria e Togo).

Nella società africana esistono segnali positivi, che lo storico burkinabé Joseph Ki Zerbo riconosce nella gioventù, nei sindacati, nell’impegno della donna, nell’economia popolare, nell’eroismo di certi gruppi sociali, e che hanno qualcosa da dire anche agli altri popoli. Non va sottovalutato poi lo stretto legame che la religione ha con la vita (anche politica) di ogni giorno. La gente non ha difficoltà ad invocare l’aiuto di Dio con la preghiera nelle più svariate occasioni. Dovunque c’è vita esiste un rapporto con ciò che trascende la vita stessa. Questa capacità africana di esprimere la propria fede in ogni aspetto della vita sociale è un valore che noi occidentali abbiamo perso e che l’Africa può orgogliosamente riproporre al mondo intero.
I leader dell’Africa, a seguito dell’indipendenza politica, hanno dato vita, nel 1963, all’Organizzazione per l’unità africana (Oua), fondata sul principio della «non ingerenza negli affari interni dei singoli Stati». Tale principio, a giudizio degli stessi interessati, è diventato sinonimo di indifferenza, prima, e di immobilismo, poi, nella politica panafricana.
Somministrazione del vaccino antipolio ai bambini di una scuola di Lagos, in Nigeria

Somministrazione del vaccino antipolio ai bambini di una scuola di Lagos, in Nigeria

Gli avvenimenti socio-politico-economici sono accaduti come se l’Oua non esistesse.
L’11 luglio 2001, dopo 38 anni di “onorato” servizio, l’Oua si è trasformata in Unione africana (Ua). Il documento finale del 37° e ultimo vertice dell’Oua ha un titolo emblematico: “Nuova iniziativa africana”. In esso si dichiara che l’obiettivo è quello di affrontare i mali endemici del continente: dalla risoluzione dei conflitti, allo sviluppo economico, allo sradicamento della povertà e delle malattie, prima fra tutte l’Aids.
I leader africani sono convinti che le “battaglie” vanno combattute insieme, non tanto con le parole, ma con i fatti. L’idea è quella di gettarsi alle spalle l’era della decolonizzazione e aprire una fase di ricostruzione, dotando gli Stati dell’Africa di strumenti e strategie comuni sul modello europeo, quali una commissione esecutiva, un parlamento, una banca centrale e, in prospettiva, una moneta unica.

Lo scorso 18 marzo la signora Gertrude Monella, 59 anni, di origine tanzaniana, è stata eletta presidente del primo Parlamento panafricano. Si tratta certamente di un segno di maturità democratica e di un concreto esempio di promozione di uguaglianza tra i sessi. Inoltre, ogni Stato dovrà presentare almeno una donna tra i cinque membri del Parlamento.

Merita di essere ricordata anche la “New Economic Partnership for Africa’s Development” (Nepad), un programma di sviluppo ideato da africani per gli africani. I progetti di sviluppo del passato hanno fallito perché imposti dall’esterno, perché gli africani non se ne sentivano responsabili e perché l’uomo africano non era stato posto al centro di tali programmi. Se un progetto non decollava la colpa veniva data ai periti bianchi. Con la Nepad gli africani hanno deciso di assumersi la responsabilità per la riuscita dei propri progetti, fatti su misura.

Da ultimo vorrei ricordare che in questi ultimi anni numerosi Paesi africani hanno celebrato il primo centenario dell’inizio della loro evangelizzazione. In effetti l’annuncio sistematico del Vangelo è cominciato nel XIX secolo, grazie all’impegno di grandi apostoli e animatori della missione africana. Tra i santi che l’Africa moderna ha donato alla Chiesa ricordiamo i santi martiri dell’Uganda, canonizzati dal papa Paolo VI, e santa Giuseppina Bakhita, canonizzata da Giovanni Paolo II.
Particolare menzione meritano i catechisti Jildo e Daudi, originari del nord dell’Uganda e beatificati nell’ottobre del 2002. Essi costituiscono un modello «di responsabilità, perdono e pacificazione» per tutti gli africani.
La fioritura della santità è un chiaro segno che il continente africano possiede in sé potenzialità e ricchezze tali da favorire la rinascita dell’Africa.
Da quanto sommariamente esposto appare evidente che l’Africa, come sottolineavano i vescovi americani nel 2001, non è un continente di disperati, ma una terra popolata da persone che combattono per superare vecchi problemi e sfide attuali, in modo da costruire un futuro pieno di speranza e di opportunità. Non è un continente immobile, ma in cammino.

La Chiesa e l’Africa
Preparativi per la visita di Giovanni Paolo II ad Abuja, in Nigeria, nel marzo 1998. Dice Lajolo: «Il Pontefice ha dimostrato e dimostra un’attenzione privilegiata per il continente africano»

Preparativi per la visita di Giovanni Paolo II ad Abuja, in Nigeria, nel marzo 1998. Dice Lajolo: «Il Pontefice ha dimostrato e dimostra un’attenzione privilegiata per il continente africano»



Partendo da questa lettura realista della situazione è possibile presentare la sollecitudine del papa Giovanni Paolo II e della Santa Sede in favore dell’Africa e l’opera della Chiesa cattolica nel continente.
Giovanni Paolo II e l’Africa
Si può affermare che il Pontefice ha dimostrato e dimostra un’attenzione privilegiata per il continente africano. I discorsi tenuti – nel corso dei numerosi viaggi pastorali nel continente, ai vescovi in visita ad limina, agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, al corpo diplomatico –, le lettere a responsabili politici, i messaggi inviati in occasione di anniversari, ricorrenze e celebrazioni, gli appelli alla comunità internazionale costituiscono, se così posso dire, il ponderoso magistero pontificio “africano”, al quale prestare ascolto e dal quale partire per ogni discorso sul futuro dell’Africa.
Una menzione particolare merita la celebrazione del Sinodo africano del 1994, definito nella esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Africa «un momento storico di grazia, un avvenimento provvidenziale» (n. 9). Infatti l’assemblea sinodale, prendendo in esame cinque temi chiave (l’annuncio della buona notizia della salvezza, l’inculturazione, il dialogo, la giustizia e la pace, i mezzi di comunicazione sociale), ha prefigurato l’architettura della Chiesa africana del terzo millennio.
E proprio con lo sguardo illuminato dalla speranza, il Pontefice, lo scorso anno, rivolgendosi al corpo diplomatico e sottolineando alcuni progressi del continente africano allora in atto, poteva affermare: «Anche l’Africa ci offre oggi l’occasione di rallegrarci: l’Angola ha cominciato l’opera di ricostruzione; il Burundi ha intrapreso il cammino che potrebbe condurre alla pace e attende dalla comunità internazionale comprensione e aiuti finanziari […]; il Sudan ha ugualmente dato prova di buona volontà, anche se il cammino verso la pace è lungo e arduo».
Se poi le speranze sono state in gran parte deluse, rimane il fatto positivo di un cammino intrapreso per raggiungere la riconciliazione e la pace.
E nel discorso del 10 gennaio 1998 diceva: «Gli africani non devono aspettare tutto dall’aiuto esterno. Tra di loro, molti uomini e donne hanno tutte le capacità umane e intellettuali per accogliere le sfide della nostra epoca e per gestire adeguatamente la società. Ma occorrerebbe più solidarietà “africana” per sostenere i Paesi in difficoltà e anche perché non siano loro imposte misure o sanzioni discriminatorie… Occorre che i Paesi del continente favoriscano la pacificazione e la riconciliazione, se ci fosse bisogno per mezzo di forze di pace composte di soldati africani. Allora la credibilità dell’Africa sarebbe più reale agli occhi del resto del mondo e l’aiuto internazionale si farebbe senza dubbio più consistente, nel rispetto della sovranità delle nazioni. È urgente che le questioni territoriali, le iniziative economiche e i diritti dell’uomo mobilitino le energie degli africani per le soluzioni giuste e pacifiche che mettano l’Africa in condizione di affrontare il XXI secolo con maggiori opportunità».
Questa prospettiva è ormai diventata patrimonio degli africani. Il presidente dell’Ua e del Mozambico, Joaquim Chissano, nel corso della sua recente visita in Italia (15-17 aprile), ha ringraziato l’Europa per gli aiuti devoluti all’Africa, ma poi ha precisato: «Ma saranno le nostre risorse quelle fondamentali perché vogliamo un modello di sviluppo politico, sociale, economico nostro, un progetto per tutto il continente. Perché se sei un padre di famiglia non vuoi che siano altri a dire come educare i tuoi figli». Questa legittima aspirazione perché diventi realtà necessita di buon governo, democrazia e cambiamenti strutturali.
La Santa Sede e l’Africa
Giovanni Paolo II in udienza con il presidente del Mozambico Joaquim Chissano, il 17 aprile 2004. L’arcivescovo Lajolo nel suo intervento afferma che sono in corso trattative per l’accordo diplomatico tra Mozambico e Santa Sede, sulla scia di quello firmato col Gabon nel 1997

Giovanni Paolo II in udienza con il presidente del Mozambico Joaquim Chissano, il 17 aprile 2004. L’arcivescovo Lajolo nel suo intervento afferma che sono in corso trattative per l’accordo diplomatico tra Mozambico e Santa Sede, sulla scia di quello firmato col Gabon nel 1997

La Santa Sede non ha perso e non perde occasione per ricordare ai governi dei Paesi industrializzati e alle organizzazioni internazionali che la situazione di numerosi Paesi è così faticosa da non consentire atteggiamenti di indifferenza e di disimpegno. In occasione delle conferenze e dei forum globali, delle riunioni che si svolgono a New York, Ginevra, Vienna, Strasburgo e in altre sedi, inviati e osservatori pontifici chiedono da tempo di ridisegnare l’architettura finanziaria globale, di facilitare l’accesso delle esportazioni africane al mercato globale, eliminando i sussidi ai prodotti agricoli nei Paesi industriali, riducendo il divario delle tecnologie digitali, favorendo e rafforzando programmi e istituzioni che permettano ai Paesi africani di ottenere risorse sufficienti e di accedere ai beni e ai servizi globali.
Inoltre, la Santa Sede ha manifestato concretamente il suo interesse per l’Africa firmando, nel dicembre del 1997, il primo accordo-quadro sulle relazioni Chiesa-Stato con il Gabon. In effetti, sembra opportuno che la presenza della Chiesa in Africa non riposi più sulla buona volontà dei responsabili politici, ma all’interno di un quadro giuridico stabile e chiaro che assicuri alla Chiesa locale la libertà di organizzazione e di movimento, nonché la possibilità di continuare le sue opere educative e di carità al riparo da ogni arbitrio. Attualmente la Segreteria di Stato ha intrapreso trattative con altri due Paesi africani (Etiopia e Mozambico) per pervenire ad accordi analoghi.
La Chiesa cattolica in Africa I cattolici in Africa sono circa 137 milioni su 830 milioni di abitanti e rappresentano il 16,6% della popolazione. La Chiesa cattolica è presente in tutti i Paesi dell’Africa, ponendosi a fianco degli oppressi, facendosi voce dei senza voce, schierandosi senza compromessi dalla parte dei poveri e lavorando per lo sviluppo integrale della persona, per la pace, per la giustizia e per il miglioramento delle condizioni di vita.
Le cifre parlano da sole: 85mila centri pastorali; 5mila ospedali e cliniche; 500 case di accoglienza per persone portatrici di handicap; 13 milioni di bambini che senza distinzioni religiose, etniche, economiche ricevono un’educazione di base; 3mila scuole primarie che accolgono 10 milioni di alunni;7mila scuole secondarie scolarizzano circa 2 milioni di giovani; diverse le istituzione educative a livello superiore che accolgono circa 30mila studenti.
Inoltre la Chiesa ha offerto un pesante contributo di vite umane all’Africa: vescovi, tra i quali un nunzio apostolico, sacerdoti, missionari, religiosi, religiose, fedeli laici sono stati brutalmente perseguitati e uccisi.
Si può quindi affermare a ragione che l’aiuto della Chiesa all’Africa è stato ed è incalcolabile e che senza l’evangelizzazione la situazione del continente si presenterebbe ancora più problematica. Infatti la Chiesa non si è solo impegnata in iniziative di promozione umana, ma con l’annuncio del Vangelo ha liberato dalla paura, ha proclamato la dignità della persona, ha insegnato l’amore per il lavoro e la solidarietà.
Non meraviglia allora che la Chiesa si sia meritata l’amore delle popolazioni africane. L’uomo africano, infatti, è attaccato alla Chiesa che percepisce come la sola istituzione che lo ama per se stesso. E per lui amare la Chiesa significa amare il Papa che ha attraversato il loro continente, che tanti hanno visto da vicino grazie ai numerosi viaggi apostolici.
La Chiesa si è meritata non solo l’amore delle popolazioni africane, ma anche l’apprezzamento e la stima della comunità degli Stati. Sono sempre di più i governi, le istituzioni internazionali che chiedono la collaborazione della Chiesa cattolica/Santa Sede per realizzare progetti di sviluppo in Africa e che riconoscono il ruolo delle Chiese locali nella prevenzione di conflitti e nei processi di pacificazione.
Tali “riconoscimenti” derivano dal fatto che la Chiesa ha come sua prima preoccupazione la formazione di tutta la persona. È consapevole che “dare senza educare non basta”. Di conseguenza pone al centro dei propri programmi di sviluppo non un uomo astratto, ma l’uomo africano. E questo spiega perché i suoi interventi hanno inciso ed incidono sulla società.
Giovanni Paolo II nella enciclica Redemptoris missio scrive: «Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalla strutture tecniche, bensì dalla maturazione della mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro e la tecnica. La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano ma non conoscono… Ecco perché tra annuncio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione» (nn. 58-59).
Concludendo, vorrei riproporre a questa assemblea l’invito alla speranza rivolto da Sua Santità agli uomini e alle donne dell’Africa, il 7 ottobre 2000: «Dans les situations difficiles que vous vivez, les rayons de lumière ne manquent pas, le Seigneur ne vous a pas abandonnés! Pour construire le monde réconcilié auquel tous aspirent, c’est d’abord aux africains eux-mêmes qu’il revient de prendre en mains l’avenir de leurs nations» (Message du Sceam, n.5).

Il testo dell’arcivescovo Giovanni Lajolo, pubblicato in queste pagine con quache piccolo ritocco di aggiornamento appositamente apportato per 30Giorni, è stato pronunciato il 21 maggio nel corso della giornata di studio e riflessione su “Sviluppo economico e sociale dell’Africa in un’era di globalizzazione”, organizzata in Vaticano dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.


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