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PAPI DEL '900
tratto dal n. 12 - 2001

Il radiomessaggio del Natale 1951

L’imparagonabile differenza


Nel 1951 il mondo è diviso in due blocchi. La guerra fredda è resa incandescente sui campi di battaglia della Corea. Pio XII, pur riconoscendo il muto olocausto della Chiesa del silenzio, non accetta di identificare la Sposa di Cristo con il cosiddetto mondo libero


di Gianni Valente


A sinistra, Pio XII il giorno di Natale del 1951

A sinistra, Pio XII il giorno di Natale del 1951

Il contesto
Quando, nel Natale del ’51, Pio XII pronunciò il radiomessaggio che viene riportato in gran parte in queste pagine, c’era la guerra. Nel giugno 1950, la Corea del Nord controllata dai sovietici aveva invaso la Corea del Sud protetta dagli Stati Uniti. L’ordine mondiale provvisorio sancito a Yalta sembrava sul punto di infrangersi nell’apocalisse nucleare. Per questo, anche allora, i soldati statunitensi e i loro alleati erano schierati su un ignoto fronte orientale, con la consegna di difendere la civilizzazione occidentale dalla barbarie. L’intervento militare era scattato su mandato dell’Onu, che lo aveva decretato “approfittando” dell’assenza del rappresentante sovietico. Il conflitto si sarebbe concluso fissando la divisione delle due Coree lungo il 38 parallelo, nel ’53, dopo aver coinvolto cinque milioni di soldati di 16 Paesi diversi e causato due milioni di morti.

La guerra e le Chiese

Nelle parole dei circoli direttivi d’Occidente, il passaggio della guerra fredda alla sua fase militare assumeva i contorni di una lotta apocalittica contro il male. Proprio in concomitanza con la guerra di Corea, si accentua nell’amministrazione Usa l’alta considerazione del «fattore religioso» nella battaglia planetaria contro l’espansione comunista, come è ben documentato nelle carte di Myron Taylor, rappresentante personale del presidente Usa (prima di Roosvelt e poi di Truman) presso il Papa, pubblicate da Ennio Di Nolfo (Vaticano e Stati Uniti 1939-1952, Milano 1978). Nel luglio del ’50, Truman spedisce Taylor in Europa. Gli assegna una missione precisa, contando sulle sue buone entrature tra i capi delle Chiese cristiane, anche se il suo ex rappresentante presso il Papa non riveste più incarichi diplomatici ufficiali avendo lasciato la sua carica da alcuni mesi: «Andrete senza rango e senza alcuna commissione ufficiale, come un cittadino americano di buona volontà che cerca di collegare leader religiosi di varia e variabile obbedienza nella ricerca per la pace». Per questo Taylor percorre senza sosta mezza Europa, fissa pranzi e appuntamenti coi capi della Comunione anglicana, delle Chiese ortodosse, delle comunità protestanti. Ovviamente, si auspica anche un coinvolgimento fattivo del Papa. Nella lettera che invia a Pio XII datata 20 giugno 1951, Taylor si rifà alle parole che lo stesso Pacelli gli aveva detto in un precedente incontro avvenuto a New York nel lontano 1936. Scrive: «Non tento nemmeno di illustrare la dichiarazione fattami, tra le altre che Vostra Santità mi fece in quell’occasione, ma in sostanza, come io la ricordo, essa diceva che sarebbe venuto il tempo in cui tutti gli uomini e le donne di tutte le religioni avrebbero dovuto associarsi per combattere e resistere alle malefiche tendenze del comunismo. […] L’ultima grande risorsa che rimane è di legare tutti gli uomini di fede in Dio e nella libertà umana, tutti insieme in un grande e continuo sforzo per risvegliare i loro simili in tutte le terre, rinnovare la loro fede e ispirare la loro resistenza». Per acquistare il Papa alla causa, Taylor lascia balenare la possibilità che a Pio XII venga riconosciuta dalle potenze mondane la guida spirituale del mondo libero. Scrive: «Può ben essere che se i nascosti eventi del futuro si svilupperanno, possa giungere un giorno in cui vostra Santità trovi opportuno assumere la guida di una causa così meritevole per salvare il nostro mondo civilizzato dalle prove più grandi».

A Est niente di buono
In quegli anni, Pio XII ha ben presente il volto violento del comunismo. La scia di sangue e le persecuzioni contro la Chiesa e i fedeli che hanno accompagnato l’espansione comunista fin dall’immediato dopoguerra sono per lui un tormento grande. La sequenza è stata paralizzante. «Polonia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Cecoslovacchia, Galizia. Il comunismo visto dal Vaticano appare come un nuovo islam, che col suo dominio elimina la vita cattolica in Paesi dove è radicata da secoli» (Andrea Riccardi). Una tragedia collettiva che si snoda intorno a casi simbolici come lo pseudosinodo di Leopoli, che nel ’46 ha eliminato la Chiesa greco-cattolica in Ucraina, annettendola forzatamente al Patriarcato ortodosso moscovita; o come gli arresti e i processi dei principi delle Chiese dell’Est: Stepinac, Mindszenty, Beran. Niente di strano, dunque, che l’ambasciatore francese D’Ormesson scriva dopo un incontro con Pio XII che il Papa si è lamentato con lui dell’eccessivo spazio concesso a Stalin negli accordi di Yalta.
In alcuni settori ecclesiali, si arriva ad accarezzare misure estreme. In Italia, nel ’48, La Civiltà Cattolica e il cardinal Ottaviani affermano che la “soluzione spagnola”, con la messa fuorilegge del Partito comunista, è conforme alla dottrina della Chiesa. Pio XII, dal canto suo, non è tentato da sbrigative vie autoritarie. Ma davanti ai fatti non teorizza neanche un moralistico distacco della Chiesa dalle convulsioni della storia. Riconosce con realismo la preminenza della potenza americana nello schieramento occidentale. Già in una lettera inviata a Truman il 19 luglio 1948, papa Pacelli aveva scritto: «È ormai un luogo comune che la civiltà cristiana sia oggi minacciata come quasi mai prima, nei duemila anni della sua storia. La vita pubblica, economica e sociale dell’Occidente è minata e qualora essa crollasse, darebbe luogo al caos e alla schiavitù. È nondimeno un luogo comune che sulla politica estera degli Stati Uniti d’America sia principalmente imperniato l’esito della fatale lotta tra ciò che rimane di un mondo libero e il totalitarismo senza Dio».

L’offensiva di Natale
Proprio nei mesi che precedono il Natale del ’51, la strategia dell’Amministrazione Usa per “stringere” sulle confessioni religiose registra un’escalation. In un discorso che rivolge il 28 settembre a un gruppo di ecclesiastici americani di diverse confessioni giunti in pellegrinaggio a Washington, Truman riafferma che nella nuova crisi internazionale, il popolo americano deve rispondere a gravosi imperativi morali: «Non si tratta solo di preservare la nostra eredità religiosa nelle nostre vite e nel nostro Paese. Il nostro problema è più grande. Si tratta di preservare una civilizzazione mondiale nella quale la credenza in Dio possa sopravvivere». Pochi giorni dopo, ad ottobre, sempre nello sforzo di rafforzare l’asse con la Santa Sede, Truman nomina un ambasciatore permanente presso il Vaticano. Sceglie per l’incarico il generale Mark Clark, noto agli italiani per essere stato il capo degli alleati che entrarono in Roma, il 5 giugno del ’44. Il cardinale di New York Francis Spellman dichiara la sua soddisfazione per il gesto del presidente. Ma le comunità protestanti statunitensi insorgono, accusando Truman di filopapismo e di aver tradito la laicità dello Stato. La levata di scudi protestante sarà indicata come la ragione ufficiosa delle premature dimissioni di Clark.
Un soldato americano conforta un compagno sconvolto dopo la battaglia

Un soldato americano conforta un compagno sconvolto dopo la battaglia

Messaggi incrociati
La notte di Natale, sia il presidente che il Papa si rivolgono agli uomini e alle donne di un’epoca tragica. Le parole sono simili. E non c’è dubbio che per il Papa, come per il presidente statunitense, il comunismo sia un totalitarismo sanguinario che minaccia i popoli del mondo. Eppure, in alcuni toni discordanti dei due messaggi paralleli riecheggia tutta la distanza che corre tra la semplicità della fede cattolica custodita dalla Tradizione e l’esaltazione di un principio religioso di identificazione culturale.
Il presidente Truman ricorre a toni ispirati. Ricorda «l’umile nascita del bambinello nella città di David, nella quale Iddio ha dato il suo messaggio d’amore al mondo», che si concretizza nello spirito di sacrificio dei soldati al fronte: «Il nostro cuore è rattristato in questo tempo di Natale dalla sofferenza e dal sacrificio dei nostri coraggiosi uomini e donne che si trovano in Corea. Ci mancano, i nostri ragazzi e le nostre ragazze. Loro stanno proteggendo noi e tutti gli uomini liberi dall’aggressione». Truman esalta le ragioni ideali dell’intervento in Corea («Le nazioni libere del mondo hanno guidato insieme un grande proposito. Non solo difendere se stessi, non solo vincere una guerra sanguinosa, se dovesse venire; ma creare una pace vera, una pace giusta e duratura»). E finisce identificando l’auspicato trionfo sul fronte coreano con la vittoria iniziata nel mondo con la nascita di Gesù: «Noi saremo forti solo se conserveremo la fede, la fede che può muovere le montagne e che, come dice San Paolo, è sostanza di cose sperate e evidenza di cose non vedute. La vittoria che raggiungeremo ci è stata promessa tanto tempo fa, nelle parole del coro degli angeli che cantavano sopra Betlemme: Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e sulla terra pace e buona volontà agli uomini».
ýDall’altra sponda dell’Atlantico, il Papa con gli occhiali affida le sue parole ai microfoni della Radio. Dice di voler dare un giudizio «franco e sincero» sui fatti. E la situazione di fatto da cui partire è la scissione del mondo in due campi opposti. Ma come si può constatare dai brani del radiomessaggio riportati in queste pagine, nonostante la tragica esperienza sofferta dalle comunità cattoliche Oltrecortina, anche in un tempo di contrapposizione così acuta Pio XII non identifica la missione della Chiesa con le ragioni del “mondo libero”. Nel passaggio centrale le sue parole sono inequivocabili: «Uomini politici, e talvolta perfino uomini di Chiesa, che intendessero fare della Sposa di Cristo la loro alleata o lo strumento delle loro combinazioni politiche nazionali ed internazionali, lederebbero l’essenza stessa della Chiesa, arrecherebbero danno alla vita propria di lei. In una parola, l’abbasserebbero al medesimo piano, in cui si dibattono i conflitti d’interessi temporali. E ciò è e rimane vero anche se avviene per fini ed interessi in sé legittimi».

Le reazioni
Nel clima da scontro finale che aleggiava sul mondo, le parole del Papa finirono triturate nei congegni delle contrapposte propagande. Il New York Times riconobbe che il messaggio papale «non risparmia critiche a tutti e due i fronti nell’attuale scontro tra est e ovest». Ma poi affidò l’interpretazione delle espressioni papali sull’erronea concezione di libertà del mondo occidentale ad anonimi “officiali vaticani”, i quali spiegavano che «nella visione della Chiesa è assurdo che un uomo possa godere di tanta libertà da poter fare propaganda per errori come il comunismo o, cosa avvenuta nella generazione precedente, il nazismo e il fascismo, così come, ad esempio, per la democrazia». Il Corriere della Sera sparò su cinque colonne il messaggio di Truman sulla pace durevole. Quello del Papa fu confinato in un articolo di spalla dove si metteva in rilievo il passaggio in cui il Papa avvertiva che il disarmo (allora parola d’ordine della propaganda comunista) non era sufficiente, bisognava abolire le armi dell’odio.
Secondo l’Unità, invece, le parole del Papa erano solo un bluff tattico. Esse esprimevano «la preoccupazione degli ambienti vaticani per il modo, troppo scoperto, con cui la Chiesa (e con essa il Papa che ne è capo e maestro) ha legato se stessa alla causa atlantica. Dinanzi alle pressioni che l’America esercita per una sempre più esplicita partecipazione del Vaticano (ovverosia del Papa) alla preparazione della guerra aggressiva». Insomma, nei commenti schierati di allora passò totalmente inosservata la cosa semplice ed essenziale che il Papa aveva ripetuto parlando attraverso la radio al mondo diviso. Non si trattava tanto di rivendicare una astratta neutralità. Piuttosto, stava a cuore ripetere che la Chiesa e la sua missione nella storia avevano una natura propria, imparagonabile rispetto agli ordinamenti civili e ai regni di questo mondo.


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