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PAPI DEL '900
tratto dal n. 12 - 2001

Brani del radiomessaggio di Pio XII del Natale 1951

«La chiesa non è una sorta di impero mondiale»


Brani del radiomessaggio di Pio XII del Natale 1951



Il cardinale Spellman e Pio XII

Il cardinale Spellman e Pio XII

La Chiesa è tutta di Cristo
La presente condizione di cose richiede da noi un giudizio sui fatti franco e sincero. Ma questi fatti sono giunti a un tal grado di acutezza da obbligarci a vedere il mondo scisso in due campi opposti, l’umanità stessa divisa in due gruppi così nettamente separati, che sono difficilmente disposti a lasciare ad alcuno o in alcuna maniera la libertà di mantenere tra le parti avverse un atteggiamento di neutralità politica.
Ora quelli che a torto considerano la Chiesa quasi come una qualsiasi potenza terrena, come una sorta d’impero mondiale, sono facilmente indotti ad esigere anche da essa, come dagli altri, la rinunzia alla neutralità, la opzione definitiva in favore dell’una o dell’altra parte. Tuttavia non può per la Chiesa trattarsi di rinunziare ad una neutralità politica per la semplice ragione che essa non può mettersi al servizio di interessi puramente politici.
Né si pensi che ciò sia un puro giuoco di parole e di concetti. Basta avere una nozione elementare del fondamento, su cui la Chiesa come società riposa, per comprenderci senza bisogno di più ampie spiegazioni. Il divin Redentore ha fondato la Chiesa, affine di comunicare mediante lei all’umanità la sua verità e la sua grazia sino alla fine dei tempi. La Chiesa è il suo «corpo mistico». Essa è tutta di Cristo, Cristo poi di Dio (cfr. 1 Cor 3,23).
Uomini politici, e talvolta perfino uomini di Chiesa, che intendessero fare della Sposa di Cristo la loro alleata o lo strumento delle loro combinazioni politiche nazionali ed internazionali, lederebbero l’essenza stessa della Chiesa, arrecherebbero danno alla vita propria di lei; in una parola, l’abbasserebbero al medesimo piano, in cui si dibattono i conflitti d’interessi temporali. E ciò è e rimane vero anche se avviene per fini ed interessi in sé legittimi.
Chi dunque volesse staccare la Chiesa dalla sua supposta neutralità, o premere su di lei nella questione della pace, o menomare il suo diritto di determinare liberamente se e quando e come voglia prendere partito nei vari conflitti, non faciliterebbe la sua cooperazione all’opera della pace, perché una tale presa di partito da parte della Chiesa, anche nelle cose politiche, non può mai essere puramente politica, ma deve essere sempre «sub specie aeternitatis», nella luce della legge divina, del suo ordine, dei suoi valori, delle sue norme.
Non è raro il caso, in cui potenze e istituti puramente terreni si vedono uscire dalla loro neutralità, per schierarsi oggi in campo, domani forse nell’altro. È un giuoco di combinazioni, che può spiegarsi col fluttuare incessante degl’interessi temporali. Ma la Chiesa si tiene lontana da simili mutevoli combinazioni. Se giudica, non è per essa uscire da una neutralità fino allora osservata, perché Dio è non mai neutrale verso le cose umane, dinanzi al corso della storia, e perciò non può essere tale neppure la sua Chiesa. Se parla, è in virtù della sua divina missione voluta da Dio. Se parla e giudica sui problemi del giorno, è con la chiara coscienza di anticipare, nella virtù dello Spirito Santo, la sentenza che alla fine dei tempi il suo Signore e Capo, Giudice dell’universo, confermerà e sanzionerà.
Tale è la funzione propria e sovrumana della Chiesa riguardo alle cose politiche. Che cosa vuol dire dunque quella vuota frase circa una neutralità a cui la Chiesa dovrebbe rinunziare?
Altri, al contrario, vogliono la neutralità della Chiesa nell’interesse della pace. Ma anche questi non hanno una giusta idea del posto che ha la Chiesa nel corso dei grandi avvenimenti mondiali.
Essa non può discendere dall’alta sfera soprannaturale che non conosce neutralità politica, – nel senso in cui questo concetto si applica alle potenze terrene –; il che non esclude, anzi approfondisce la parte che essa prende alle angosce e ai travagli dei suoi membri divisi nell’uno e nell’altro campo, e l’affanno che essa prova per il contrasto di opinioni e di desideri nelle sue proprie file. La Chiesa non può consentire a giudicare secondo criteri esclusivamente politici; non può legare gl’interessi della religione a indirizzi determinati da scopi puramente terreni; non può esporsi al pericolo che si dubiti fondatamente del suo carattere religioso; non può dimenticare, neppure per un momento, che la sua qualità di rappresentante di Dio sulla terra non le permette di rimanere indifferente, anche un solo istante, fra il «bene» e il «male» nelle cose umane. Se ciò le venisse chiesto, essa dovrebbe rifiutarsi, e i fedeli dell’una e dell’altra parte dovrebbero, in virtù della loro soprannaturale fede e speranza, comprendere e rispettare tale suo atteggiamento.

L’influsso della grazia di Cristo
Lo Stato, la Società degli Stati con la sua organizzazione sono dunque – per loro natura, secondo l’indole sociale dell’uomo, e nonostante tutte le ombre, come attesta l’esperienza storica, – forme dell’unità e dell’ordine fra gli uomini, necessarie alla vita umana e cooperanti al suo perfezionamento. Il loro concetto stesso dice la tranquillità nell’ordine, quella «tranquillitas ordinis», che è la definizione che sant’Agostino dà della pace: esse sono essenzialmente un ordinamento di pace.
Con esse, come ordinamento di pace, Gesù Cristo, Principe della pace – e con Lui la Chiesa, nella quale continua a vivere, – è entrato in nuovo intimo rapporto di vitale elevazione e conferma. Tale è il fondamento del singolare contributo che la Chiesa dà alla pace per natura sua, vale a dire quando la sua esistenza e la sua azione fra gli uomini hanno il posto che loro compete.
E come si effettua tutto ciò se non mediante il continuo, illuminante e confortante influsso della grazia di Cristo sull’intelletto e sulla volontà dei cittadini e dei loro capi, affinché essi riconoscano e perseguano gli scopi assegnati dal Creatore in tutti i campi della convivenza umana, si studino di dirigere verso questi fini la collaborazione degl’individui e dei popoli, ed esercitino la giustizia e la carità sociale nell’interno degli Stati e fra loro?
Se la umanità, conformandosi alla volontà divina, applicherà quel sicuro mezzo di salvezza che è il perfetto ordine cristiano del mondo, vedrà ben presto praticamente dileguarsi fin la possibilità della stessa guerra giusta, che non avrà più alcuna ragione di essere dal momento che sarà garantita l’attività della Società degli Stati come genuino ordinamento di pace.

L’ordine cristiano ordine di libertà
Ma essa urta qui in una difficoltà particolare, dovuta alla forma delle presenti condizioni sociali: la sua esortazione in favore dell’ordine cristiano, in quanto fattore principale di pacificazione, è al tempo stesso uno stimolo alla giusta concezione della vera libertà. Perché infine l’ordine cristiano, in quanto ordinamento di pace, è essenzialmente ordine di libertà. Esso è il concorso solidale di uomini e di popoli liberi per la progressiva attuazione, in tutti i campi della vita, degli scopi assegnati da Dio all’umanità. È però un fatto doloroso che oggi non si stima e non si possiede più la vera libertà. In queste condizioni la convivenza umana, come ordinamento di pace, è interiormente snervata ed esangue, esteriormente esposta ogni istante a pericoli.
Coloro, per esempio, che nel campo economico o sociale vorrebbero tutto riversare sulla società, anche la direzione e la sicurezza della loro esistenza; o che attendono oggi il loro unico nutrimento spirituale quotidiano, sempre meno da loro stessi, – vale a dire dalle loro proprie convinzioni e conoscenze, – e sempre più, già preparato, dalla stampa, dalla radio, dal cinema, dalla televisione; come potrebbero concepire la vera libertà, come potrebbero stimarla e desiderarla, se non ha più posto nella loro vita?
Essi cioè non sono più che semplici ruote nei diversi organismi sociali; non più uomini liberi, capaci di assumere e di accettare una parte di responsabilità nelle cose pubbliche. Perciò, se oggi gridano: Mai più la guerra!, come sarebbe possibile fidarsi di loro? Non è infatti la loro voce; è la voce anonima del gruppo sociale, nel quale si trovano impegnati.
Questa è la condizione dolorosa, la quale inceppa anche la Chiesa nei suoi sforzi di pacificazione, nei suoi richiami alla consapevolezza della vera libertà umana, elemento indispensabile, secondo la concezione cristiana, dell’ordine sociale, considerato come organizzazione di pace. Invano essa moltiplicherebbe i suoi inviti a uomini privi di quella consapevolezza, ed anche più inutilmente li rivolgerebbe ad una società ridotta a puro automatismo.
Tale è la pur troppo diffusa debolezza di un mondo che ama di chiamarsi con enfasi «il mondo libero». Esso si illude e non conosce se stesso: nella vera libertà non risiede la sua forza. È un nuovo pericolo, che minaccia la pace e che occorre denunziare alla luce dell’ordine sociale cristiano. Di là deriva altresì in non pochi uomini autorevoli del cosiddetto «mondo libero» una avversione contro la Chiesa, contro questa ammonitrice importuna di qualche cosa che non si ha, ma si pretende di avere, e che, per uno strano invertimento di idee, si nega ingiustamente proprio a lei; vogliamo dire la stima e il rispetto della genuina libertà.
Ma l’invito della Chiesa trova anche minor risonanza nel campo opposto.
Il muto olocausto
Noi ben sappiamo e deploriamo con cuore profondamente afflitto che il nostro invito alla pace, in vaste regioni del mondo, non giunge che ammortito ad una «Chiesa del silenzio». Milioni di uomini non possono professare apertamente la loro responsabilità dinanzi a Dio per la pace. Nei loro stessi focolari, nelle loro chiese, perfino l’antica tradizione del presepio, così intima e familiare, è stata sterminata dal dispotico arbitrio di potenti. Milioni di uomini non sono in grado di esercitare il loro influsso cristiano in favore della libertà morale, in favore della pace, perché queste parole – libertà e pace – sono divenute l’usurpato monopolio di perturbatori di professione e di adoratori della forza.
Nondimeno pur con le braccia legate, con le labbra chiuse, la «Chiesa del silenzio» risponde eccelsamente al nostro invito. Essa addita con lo sguardo i sepolcri ancora freschi dei suoi martiri, le catene dei suoi confessori, nella fiducia che il suo muto olocausto e le sue sofferenze siano il più valido sussidio alla causa della pace, perché sono la più alta invocazione e il più potente titolo per ottenere dal Principe divino della pace, grazia e misericordia nel compimento della sua missione. Da pacem Domine, in diebus nostris!


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