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IL GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO
tratto dal n. 12 - 2001

La questione del riconoscimento internazionale del genocidio degli armeni

Un olocausto poco politically correct


La questione del riconoscimento internazionale del genocidio degli armeni


di Giovanni Ricciardi


Le immagini qui raccolte sono alcune delle 80 istantanee che l’ufficiale tedesco di sanità Armin T. Wegner scattò clandestinamente in Anatolia tra il 1915 e il 1916, accompagnandole con materiale documentario. Sono in pratica le uniche, eccezionali testimonianze fotografiche dellla deportazione e del genocidio degli armeni

Le immagini qui raccolte sono alcune delle 80 istantanee che l’ufficiale tedesco di sanità Armin T. Wegner scattò clandestinamente in Anatolia tra il 1915 e il 1916, accompagnandole con materiale documentario. Sono in pratica le uniche, eccezionali testimonianze fotografiche dellla deportazione e del genocidio degli armeni

«Noi crediamo che non ci sia un genocidio più “importante” e più “crudele” di un altro; tutti sono ugualmente gravi e terribili e andrebbero tutti denunciati e condannati allo stesso modo, per la semplice ragione che ovunque il sangue umano, soprattutto quello innocente, ha lo stesso colore e lo stesso valore davanti a Dio. Quello che conta è che nessun genocidio sia dimenticato e sottovalutato: questo, per il rispetto dei morti e per l’onore dell’umanità». Così conclude La Civiltà Cattolica l’articolo dedicato nel dicembre 2001 alla strage degli armeni nel 1915, risollevando la questione del riconoscimento internazionale di quel genocidio, che ancora oggi trova ostacoli nella comunità internazionale. E che ha una lunga storia.

Dopo la Grande Guerra

Alla fine della prima guerra mondiale le potenze vincitrici avevano spinto il governo turco a processare, per crimini di guerra, i leader dei Giovani Turchi, responsabili dello sterminio. Un tribunale militare li condannò alla pena capitale quando già avevano lasciato il Paese. Sulla via del loro esilio, trovarono comunque tutti la morte per mano di “giustizieri” armeni. Il 15 marzo del 1921 lo studente Soghomon Tehlirian assassinò a Berlino Talaat Pascià. Processato da un tribunale tedesco, fu poi assolto. Analoga sorte toccò a Djemal, il secondo dei “triumviri” autori del genocidio, raggiunto e giustiziato a Tbilisi, in Georgia, da un altro giovane armeno. E armeno era pure il comandante del reparto bolscevico che il 4 luglio 1922 uccise Enver Pascià, che capeggiava una rivolta turco-islamica contro i sovietici nella regione asiatica centrale di Buhara.
Nel frattempo, il trattato di Sévres del 1920 aveva previsto la costituzione di un’Armenia indipendente. Ma la situazione cambiò con l’avvento al potere in Turchia di Mustafa Kemal. Deciso a restituire al Paese la sua integrità territoriale, appoggiato dalle potenze europee che in lui vedevano un baluardo da opporre al bolscevismo russo, Kemal, nel settembre del 1920, assale le zone appena assegnate alla neonata Repubblica armena, rendendosi responsabile di nuovi massacri. L’incendio di Smirne, di poco successivo, rappresenta l’ultima tappa dell’eliminazione della presenza armena dal territorio turco.
Svanito il sogno di un’Armenia indipendente, il territorio dell’Armenia russa si costituisce nel 1921 in Repubblica annessa all’Unione Sovietica.
Frattanto, Mustafa Kemal aveva già disposto la cancellazione delle sentenze del 1919, determinato a negare a tutti i costi l’esistenza di una “questione armena”. Il trattato di Losanna nel 1923 sancisce di fatto questa “congiura del silenzio”. Nella costruzione della nuova Turchia, nazionalista non meno di quella dei Giovani Turchi, non c’è posto per un’imbarazzante ammissione di responsabilità.
La negazione del genocidio
Inizia così un lungo periodo di “negazione” del genocidio, orchestrata dalle autorità turche, con il tacito consenso delle potenze vincitrici. Anche nell’Armenia sovietica, il regime di Stalin non permette che sia sollevata la questione. Tra gli armeni della diaspora, i problemi della sopravvivenza e dell’adattamento hanno la precedenza. Il sorgere dei totalitarismi in Europa fa il resto.
In Turchia, Mustafa Kemal, chiamato ormai Atatürk, “padre dei Turchi”, fonda negli anni Trenta la Società turca di storia, con l’intento di sostenere una tesi “di Stato” che arriva a negare non solo la realtà del genocidio, ma la stessa identità etnica degli armeni.
Al termine della seconda guerra mondiale, in seguito alla tragedia del popolo ebraico, nel 1948 l’Onu sottopone agli Stati membri una Convenzione contro il crimine di genocidio. La Turchia vi aderisce, vigilando però affinché nel testo non si faccia menzione dello sterminio degli armeni.

La nuova fase
del riconoscimento

Una nuova fase si apre nel 1965. In seguito al nuovo corso sovietico voluto da Krusciov, il segretario del Partito comunista d’Armenia, Yacov Zarobian, ottiene da Mosca il permesso di celebrare pubblicamente, il 24 aprile di quell’anno, l’anniversario del genocidio. A Erevan, la folla che partecipa alla manifestazione è imponente. Tra loro, migliaia di giovani, a testimonianza che la memoria delle stragi non era affatto scomparsa dalla coscienza collettiva.
Tra gli armeni della diaspora inizia un’opera di ricostruzione storica che porta i primi frutti, mentre il governo turco rimane sulle sue posizioni.
Nel 1973 il rapporto della Sottocommissione Onu per i diritti dell’uomo dedica per la prima volta un paragrafo al genocidio armeno: «Passando all’epoca contemporanea, possiamo segnalare l’esistenza di una documentazione molto ricca relativa al massacro degli armeni, che è stato considerato come il primo genocidio del XX secolo». La delegazione turca si oppone tenacemente, fino ad ottenere, nel 1979, la soppressione del paragrafo.
Ma la questione ormai è approdata sulla scena internazionale. Negli anni Ottanta arrivano i primi riconoscimenti del genocidio: la risoluzione dell’Assemblea mondiale del consiglio delle Chiese (1983), il verdetto del Tribunale permanente dei popoli (1984), un nuovo rapporto della Sottocommissione Onu (1985), che ripristina il paragrafo soppresso nel 1979.
Il 18 giugno 1987 il Parlamento europeo riconosce ufficialmente la realtà del genocidio armeno e propone che la mancata ammissione del crimine da parte del governo turco costituisca un impedimento all’ingresso della Turchia nella Comunità europea.


La situazione attuale
Negli anni Novanta, la Repubblica sovietica d’Armenia ottiene l’indipendenza, entrando a far parte della Csi. L’azione diplomatica della neonata Repubblica, unita all’impegno degli armeni della diaspora, è coronata con il riconoscimento del genocidio da parte di numerosi Stati. Tra questi: Francia, Argentina, Russia, Grecia e Libano, che ospitano alcune tra le maggiori comunità armene. Ad essi si aggiungono, tra gli altri, Belgio, Cipro, Svezia, Bulgaria e Vaticano. Il Papa, nel corso del recente viaggio in Armenia, ha reso omaggio alle vittime dello sterminio. In Italia, sulla spinta di un movimento nato da numerosi comuni, una risoluzione della Camera dei deputati (17 novembre 2000) ha per la prima volta sancito la condanna del genocidio. La Francia nel 2001 ha approvato, caso ancora unico, una vera e propria legge con cui la Repubblica riconosce ufficialmente il genocidio armeno. Questo passo ha suscitato vivaci proteste diplomatiche da parte turca. Grandi assenti su questo terreno sono invece, tra gli altri, Germania, Israele, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Nel 2000 gli Stati Uniti erano a un passo dal riconoscimento, ma un intervento del presidente Clinton presso la Camera dei rappresentanti scoraggiò l’approvazione della risoluzione: «Prendere in considerazione la risoluzione in questo momento – scrive Clinton – potrebbe comportare, alla lunga, conseguenze negative per gli Stati Uniti. Abbiamo importanti interessi in questa tormentata regione del mondo: contenere la minaccia rappresentata da Saddam Hussein; lavorare per la pace e la stabilità in Medio Oriente e in Asia centrale; stabilizzare i Balcani e sviluppare nuove risorse energetiche. L’esame della risoluzione in questa fase delicata non solo comporterebbe effetti negativi su questi interessi, ma potrebbe rendere vani gli sforzi per incoraggiare migliori relazioni diplomatiche tra Armenia e Turchia, che è poi il reale obiettivo dei promotori della risoluzione». È chiaro che sul veto americano pesa la stretta alleanza politico militare con la Turchia. Comunque, il presidente Bush, durante la campagna elettorale, ha promesso alla consistente comunità armena americana di riprendere la questione. E un passo comune degli Stati Uniti e dell’Unione europea in questo senso darebbe un decisivo impulso a un riconoscimento anche da parte turca.
Ma cosa impedisce ancora oggi alla Turchia di ammettere la realtà del genocidio e la responsabilità dei Giovani Turchi nel crimine? «Il riconoscimento e dunque la condanna del genocidio» osserva lo storico armeno Claude Mutafian «chiamerebbe in causa tre regimi politici turchi successivi. Al massimo, si potrebbe accettare di infangare la memoria del “sultano rosso” [Abdul Hamid, responsabile dei massacri del 1894-96, ndr]. Ma i Giovani Turchi, loro, hanno, come si dice, “casa in città”: in particolare il principale responsabile, Talaat Pascià, che ha un viale intestato al suo nome nella capitale Ankara [...], riposa in un grande mausoleo, sulla “collina dei martiri” a Costantinopoli. Quanto al terzo regime politico, è la Repubblica turca fondata da Kemal [...]. Ma si sa che in Turchia mettere in discussione Atatürk è inimmaginabile, e perfino punito per legge».
Comunque «il processo di riconoscimento del genocidio potrà dirsi concluso» spiega Ghagik Bagdassarian, ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia «quando anche la Turchia lo ammetterà senza riserve. Noi non colpevolizziamo il popolo turco. I responsabili del genocidio furono i governanti turchi di quel periodo storico. Questo è importante precisarlo. Il giudizio storico va circoscritto a chi fu effettivamente responsabile dello sterminio, non a tutti indistintamente. E riconoscere il genocidio armeno rappresenterebbe per la Turchia un passo importante verso la completa democratizzazione del Paese. Io credo che se questo passo fosse compiuto, la Turchia guadagnerebbe moltissimo a livello di prestigio internazionale». E, in riferimento all’Italia, conclude: «Noi siamo lieti che la Camera dei deputati abbia votato la risoluzione di condanna del genocidio armeno nel novembre del 2000. Ci auguriamo che presto anche il Senato della Repubblica possa mettere all’ordine del giorno un simile pronunciamento».


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