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IL GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO
tratto dal n. 12 - 2001

L’Armenia cristiana


Breve excursus storico sulla prima nazione che si convertì al cristianesimo 1700 anni fa. I santi, le principali feste liturgiche, la presenza cattolica tra gli armeni


di Giovanni Ricciardi


La cattedrale di Etchmiadzin, nell’attuale Repubblica Armena. È la sede del “catholicos di tutti gli armeni”, la massima autorità spirituale della Chiesa apostolica armena

La cattedrale di Etchmiadzin, nell’attuale Repubblica Armena. È la sede del “catholicos di tutti gli armeni”, la massima autorità spirituale della Chiesa apostolica armena

Ricorre quest’anno il XVII centenario della conversione del regno armeno al cristianesimo, avvenuta sotto il re Tiridate III nel 301, data che alcuni storici tendono oggi a spostare al 314-315. La conversione si deve all’opera di san Gregorio Illuminatore (Grigor Lusaworitch), missionario formato a Cesarea di Cappadocia e ordinato vescovo dall’esarca di Cesarea Leonzio. Da lui la Chiesa armena prende anche il nome di Chiesa gregoriana.
_uttavia, secondo un’antica tradizione, l’annuncio cristiano penetrò in Armenia già dall’età apostolica. Sarebbero stati gli apostoli Bartolomeo e Taddeo a far risuonare il nome di Cristo per la prima volta nel Paese, dove avrebbero anche subito il martirio. La missione di Bartolomeo in Armenia è citata nel Martirologio romano al 24 agosto. In ogni caso, una presenza cristiana è attestata in Armenia quasi certamente a partire dal II secolo.
Comunque sia, lungo il IV secolo, la liturgia armena, non esistendo un alfabeto per trascrivere l’armeno parlato, fu celebrata in greco o in siriaco. A un monaco armeno, san Mesrop Mashtots, si deve, nel 404, l’invenzione di un alfabeto specifico — e usato ancora oggi per la sola lingua armena — e una prima traduzione delle Sacre Scritture. Alla sua opera si deve anche la nascita di una "scuola" di scrittori e traduttori. Quest’evento segnò l’inizio di una lingua letteraria e di una produzione scritta che si articolò su due binari: quello delle traduzioni e quello della produzione originale.
Dopo la versione della Bibbia, definita "la regina delle traduzioni" per la bellezza del risultato e l’aderenza all’originale, questo gruppo di traduttori si mise all’opera per trasferire in armeno i testi dei Padri, i canoni dei Concili di Nicea ed Efeso e molti altri testi cristiani.
Il merito che i traduttori si acquistarono con la loro opera si riflette nella festa dedicata proprio ai "Santi Traduttori" dell’anno liturgico armeno. Grazie a loro si sono salvate in traduzione armena alcune opere oggi perdute nella lingua originale, come il
Chronicon
di Eusebio di Cesarea.
Il "battesimo
di sangue" del 451
Ma l’anno che segna più profondamente la cristianità armena è il 451. È l’anno del "battesimo di sangue", il martirio dei Vardanankh, narrato dallo storico Eghishe nella sua'Storia di Vardan e della guerra armenaË Vardan Mamikonean, comandante dell’esercito armeno, si ribella nel 451 alla decisione del re persiano Yazdegert II di convertire l’Armenia al mazdeismo. Vardan e i suoi soldati (chiamati col collettivo Vardanankh nella lingua armena) in netta inferiorità numerica, vengono sconfitti, nella battaglia di Avarayr, dopo un’eroica resistenza, riconosciuta come martirio: "Chi credeva che il cristianesimo fosse per noi come un abito" aveva detto Vardan alle truppe prima della battaglia "ora saprà che non potrà togliercelo come il colore della pelle" (Eghishe, Storia di Vardan, 5). Nonostante la vittoria, infatti, Yazdegert rinunciò al suo intento e gli armeni cominciarono una lunga e tenace resistenza fino a che, nel 485, non conclusero con la Persia il trattato di Nvarsak col quale ottennero la libertà religiosa e un governatore armeno, Vahan Mamikonean, nipote dell’illustre condottiero.

Una Chiesa
"precalcedonita"
Il 451 è anche l’anno del Concilio di Calcedonia, il quarto ecumenico per la cristianità occidentale e orientale, cui gli armeni non parteciparono e che in seguito, verso la metà del VI secolo, rigetteranno, dando vita a una Chiesa autocefala. Il motivo di questa separazione è dibattuto. Si è parlato di un isolamento del Paese, minacciato allora dalla potenza persiana — come documenta lo scontro di Avarayr — oppure di opposizione dottrinale, in base alla quale gli armeni, "monofisiti", non accolsero la definizione di "una persona in due nature, indivise e inconfuse" del Concilio. In realtà, si può dire che gli armeni non vi parteciparono per ragioni di "politica religiosa" in senso lato, impegnati come furono nei primi secoli di vita della loro Chiesa a salvaguardare se stessi e la propria individualità in mezzo a due imperi, Bisanzio a ovest e la Persia a est, e così come non aderirono a Bisanzio, allo stesso modo si tennero lontani dalla Chiesa di Persia, mantenendo una fisionomia distinta da entrambi ed incamminandosi, dopo la rottura tra il VI e il VII secolo con le altre Chiese caucasiche, su un percorso individuale.
Per questo la Chiesa armena è annoverata tra quelle "dell’antico Oriente cristiano", dette anche "precalcedonite" cioè quelle che accettano soltanto i primi tre Concili ecumenici. In realtà il carattere monofisita di questa Chiesa è più nominale che sostanziale.
Giovanni Paolo II ha recentemente riconosciuto che la dottrina cristologica degli armeni non comporta alcuna confusione delle due nature nell’unica persona di Gesù Cristo, firmando il 13 dicembre 1996 una dichiarazione cristologica congiunta con il catholicos di tutti gli armeni, Karekin I.

La Chiesa armena
apostolica
La Chiesa armena apostolica ha al suo vertice il "catholicos di tutti gli armeni" (catholicos Amenayn Hayotz), che risiede ad Etchmiadzin, la città santa degli armeni (il nome significa letteralmente: "È sceso l’Unigenito"), non lontano da Erevan, capitale dell’odierna Repubblica Armena.
Il catholicos di Etchmiadzin è riconosciuto da tutti gli armeni come il capo spirituale della loro Chiesa. Tuttavia, nel 1441, gli armeni di Cilicia, in seguito a divisioni interne alla Chiesa armena, crearono un altro catholicosato, che è oggi in comunione spirituale con Etchmiadzin ma amministrativamente indipendente. Esso ebbe sede a Sis, in Cilicia, finché, a causa del genocidio, la presenza armena in Anatolia fu praticamente annientata. Da allora il catholicos di Cilicia risiede in Libano, ad Antélias.
Negli ultimi anni i rapporti tra i due catholicosati si sono fatti più stretti, grazie soprattutto alla figura di Karekin I, che fu eletto catholicos di tutti gli armeni nel 1995 dopo aver ricoperto la carica di catholicos di Cilicia.
Oltre ai catholicosati, esistono due patriarcati, dipendenti da Etchmiadzin: quello di Gerusalemme — d’origine medievale, che la tradizione pone in rapporto con un’investitura civile risalente addirittura a Maometto — e quello di Costantinopoli, fondato nel XVI secolo all’indomani della conquista ottomana.
Il clero armeno è composto da sacerdoti sposati e celibi. Fino a pochi decenni fa nella Chiesa armena apostolica vi erano ancora delle suore. Ora sono quasi del tutto scomparse, mentre ve ne sono tra gli armeni cattolici, che costiuiscono la comunità cristiana più numerosa dopo la Chiesa apostolica.
Dal punto di vista liturgico, il rito armeno costituisce un ramo a sé stante tra i riti orientali, benché legato alla famiglia antiochena. Pur conservando tratti arcaici, nel corso dei secoli ha subito influssi gerosolimitani, bizantini e occidentali. Tra i caratteri più significativi possiamo enumerare: la celebrazione dell’Eucaristia con il pane azzimo, caso unico tra tutti i riti orientali, senza derivazione dal mondo latino; la consacrazione del vino eucaristico senza commistione di acqua; la celebrazione collettiva del Natale e dell’Epifania il 6 gennaio.
Le principali feste liturgiche sono cinque: Natale, Pasqua (celebrata assieme ai cattolici), Trasfigurazione, Assunzione, Esaltazione della Croce. Le feste dei santi non sono celebrate né di domenica, riservata al memoriale della Risurrezione, né di mercoledì o di venerdì, giorni consacrati alla penitenza e al digiuno. La Chiesa armena venera i santi della Chiesa universale dei primi cinque secoli, e altri santi solo armeni.
Tra i santi armeni più cari alla memoria della cristianità occidentale va ricordato san Biagio, vescovo di Sebaste in Armenia, martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano. Di lui si sa molto poco. Un episodio della sua vita ricordato dalla tradizione, secondo la quale egli guarì, mentre era in carcere, un ragazzo che aveva una lisca di pesce conficcata in gola, ha contribuito a diffondere il suo culto in Occidente come protettore dai mali della gola.


La Chiesa armena cattolica
Nel XII secolo, i crociati che andavano in Terra Santa si trovarono ad attraversare il regno armeno di Cilicia, uno dei rari regni che gli armeni hanno avuto nel corso della loro storia. Ne nacquero alleanze e relazioni con l’Occidente, e ciò favorì i contatti fra la Chiesa latina e quella armena. Nel 1198 tra le due Chiese fu sancito un accordo che terminò nel 1375 con la fine del regno, caduto sotto i colpi dei Mamelucchi.
Al Concilio di Firenze, nel 1439, fu promulgato un decreto di riunione, che non ebbe risultati immediati, tuttavia offrì in seguito la base per la formazione della Chiesa armena cattolica.
L’attività missionaria cattolica fra gli armeni fu iniziata dai Fratres unitores, comunità armena non più esistente, legata ai Domenicani e fondata nel 1320. Gli armeni cattolici continuarono a diffondersi nei secoli fino a quando, nel 1742, il papa Benedetto XIV creò una gerarchia armena cattolica eleggendo un precedente vescovo apostolico, Abraham Ardzivian, a patriarca degli armeni di Cilicia con sede in Libano, a Bzommar, e poteri religiosi sugli armeni delle province a sud dell’Impero ottomano. Questo patriarca prese il nome di Abraham Pietro I, e dopo di lui tutti i patriarchi cattolici ricevettero come secondo nome quello di "Pietro", a indicare la loro unione con Roma.
Un’altra tappa decisiva per la costituzione di un clero cattolico fu la decisione del governo ottomano di organizzare civilmente gli armeni cattolici, nel 1830, come millet (comunità) separato, con un proprio arcivescovo residente a Costantinopoli. Successivamente, quest’arcivescovo fu insignito anche di poteri civili e una ventina di anni più tardi conglobò, per così dire, in sé anche la sede patriarcale libanese. A seguito del genocidio, che non risparmiò i cattolici, dopo che la comunità di Costantinopoli si fu drasticamente ridotta, un sinodo armeno cattolico tenutosi a Roma nel 1928 decise di trasferire nuovamente la sede patriarcale in Libano.
Oggi, tra gli armeni, i cattolici costituiscono circa il dieci per cento.

Mechitar e i Mechitaristi
Nella laguna veneta sorge un’isola abitata esclusivamente da monaci armeni cattolici: l’isola di San Lazzaro. Qui, dopo la concessione ottenuta da parte della Serenissima, approdò nel 1717 un monaco armeno di nome Mechitar (1676-1749) insieme alla comunità da lui creata nel 1700 a Costantinopoli e che da lui prese il nome di Congregazione dei Padri Mechitaristi. Mechitar trovò qui — Venezia conosceva da secoli una forte presenza armena — il luogo propizio per fondarvi un monastero e svolgere la propria missione, che egli volle orientare soprattutto all’innalzamento culturale e spirituale del suo popolo. Mechitar individuò nella scuola e nella stampa i mezzi più adatti per procedere nel suo intento. E in questa direzione egli lavorò incessantemente, divenendo l’artefice di uno straordinario rinnovamento culturale, tanto che un famoso storico armeno, il Leo, definì il XVIII secolo come il secolo dei Mechitaristi.
Per dare alle stampe edizioni di testi armeni, Mechitar inviava i suoi monaci in Oriente alla ricerca di manoscritti, perché il testo pubblicato derivasse dalla collazione di fonti diverse, e fosse per questo il più possibile vicino all’originale. A San Lazzaro questa ricerca di codici portò alla formazione di una biblioteca di manoscritti armeni tra le più importanti del mondo. Tra i frutti dell’attività editoriale di Mechitar va ricordata la pubblicazione della Bibbia in armeno. Realizzata nel 1733, sostituì l’edizione precedente, edita ad Amsterdam nel 1666, che era divenuta introvabile.
Un’altra caratteristica dell’opera di Mechitar fu la sua dimensione ecumenica: in un momento di attrito fra i sostenitori dell’unione con Roma e quelli che vi si opponevano, Mechitar era convinto che non ci fossero ostacoli insormontabili ad una piena comunione di fede e di carità tra la Chiesa di Roma e quella armena, senza che questo significasse, per quest’ultima, la perdita delle proprie tradizioni e del proprio patrimonio linguistico e culturale.




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