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COMUNICAZIONI SOCIALI
tratto dal n. 09 - 2004

Un’apertura cordiale verso il mondo


Intervista con monsignor Renato Boccardo, segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, sul rapporto tra Chiesa e mass media


di Tommaso Marrone


Monsignor Renato Boccardo

Monsignor Renato Boccardo

«Il Santo Padre è uno straordinario comunicatore, per le sue doti personali e le sue qualità umane, ma anche per come, nonostante la fatica e la malattia, riesca ancora a interpretare magnificamente il suo ministero, facendosi forte del messaggio evangelico che porta in tutto il mondo».
Non ha dubbi sua eccellenza monsignor Renato Boccardo, da gennaio segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, da ormai alcuni anni prezioso organizzatore dei viaggi del Pontefice.
«Il ricordo di un Papa giovane e forte che saliva i gradini a tre a tre, e veniva soprannominato l’atleta di Dio, resta fortemente impresso nella memoria. Ma è ancora più significativo osservarlo adesso mentre continua la sua inarrestabile missione nonostante la fragilità della sua natura e il peso che deriva dai suoi problemi di salute. Nel 1997, durante la Giornata mondiale della gioventù a Parigi, un ragazzo francese mi disse: “Quando il Papa era giovane era normale che il suo messaggio fosse forte e provocatorio, eppure, adesso che è invecchiato, il messaggio continua ad arrivare con la stessa intensità. Finalmente ho capito che la forza è nel messaggio e non nel messaggero”. Tutto questo deve essere di insegnamento per la Chiesa per imparare a farsi piccola di fronte al messaggio evangelico di cui è portatrice». Con la guida e l’esempio di Giovanni Paolo II, monsignor Boccardo ha intrapreso con entusiasmo la sua nuova esperienza alla guida del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali: «Più che di bilancio di questi primi mesi, parlerei di un vero e proprio periodo di noviziato. Per i ministeri che mi erano stati affidati in precedenza avevo avuto molti contatti positivi nel mondo della comunicazione, sia per le Giornate della gioventù, sia per i viaggi del Santo Padre. Ma all’interno di questo dicastero sto scoprendo aspetti sempre nuovi sugli organi di comunicazione della Santa Sede. È importante mantenere contatti costanti con i diversi operatori della comunicazione esterni alla nostra realtà, come organismi e associazioni internazionali, stampa, radio e tv, con cui cerchiamo di tenere vivi tutti i rapporti istituzionali. A fine giugno ad Atene ha avuto luogo l’incontro con i portavoce di tutte le Conferenze episcopali d’Europa. È stato un momento di conoscenza reciproca e di riflessione sui grandi temi della comunicazione, che ha contribuito ad arricchire ulteriormente questo periodo di grandi scoperte».
Sul futuro il segretario sembra essere abbastanza deciso a intraprendere l’unica strada possibile da percorrere: «L’insegnamento del Papa al riguardo rimane un modello da tenere sempre presente. Occorre presentarsi con un atteggiamento di simpatia e cordialità nei confronti del mondo della comunicazione. La Chiesa e gli operatori della comunicazione possono collaborare benissimo tra loro alla luce di quel grande progetto che è la persona umana. Ci vuole informazione nella verità e nel rispetto della persona e del suo santuario interiore. Insieme è possibile promuovere la vita umana in tutti i suoi aspetti. Tutti coloro che fanno comunicazione devono trovare nella Chiesa e nelle sue istituzioni un atteggiamento di apertura, collaborazione e cordialità, nella verità. Anche la Chiesa, però, ha il dovere di richiamare costantemente i principi a cui si ispira, soprattutto in questi tempi in cui la comunicazione e l’informazione sembrano essere particolarmente sollecitate dall’immagine, dalla superficialità e dallo scoop, a scapito della verità e del rispetto. Ci vuole un atteggiamento critico e coerente che sappia, però, tendere sempre verso il bene. È la missione di fondo di tutti coloro che, riconoscendosi nel Vangelo, vogliono occuparsi di comunicazione. Anche nei confronti delle più moderne frontiere dei nuovi media occorre assumere un duplice atteggiamento, perché ci si trova di fronte a una grande ricchezza ma, allo stesso tempo, anche a un grande rischio. I mezzi sono al servizio dell’uomo e non viceversa. Ci vuole un atteggiamento di vigilanza, di attenzione e di intelligenza interiore. Spesso non ci preoccupiamo di trovare un linguaggio per l’uomo d’oggi. La forma deve essere continuamente rinnovata. Non possiamo perdere il treno, dobbiamo imparare ad entrare in questo mondo rinnovandoci nel linguaggio. È ridicolo, però, aver paura di questi mezzi: non sono veicoli del male. Lo possono diventare, è vero, ma come tutto ciò che è opera dell’uomo».
Sul messaggio cristiano, troppo spesso presentato e diffuso in maniera parziale, la difficoltà più grande resta sempre quella di un difficile inserimento all’interno di un sistema sempre meno ispirato dai principi e sempre più guidato dall’audience. «Il discorso della Chiesa non è alla moda, in un mondo che sembra assopirsi sempre di più e diventare sempre più distratto, una voce che diventa critica ed esigente non sempre trova l’accoglienza che dovrebbe trovare. Si vede come nei mezzi di comunicazione tante prese di posizione della Chiesa vengono o ridotte o ridicolizzate, o tacciate di essere fuori dal tempo moderno. Bisogna essere cordiali e aperti, evitando di assumere pericolosi atteggiamenti di difesa. Non si tratta di difenderci ma di proporre con libertà quello in cui noi crediamo. Non mi riferisco solo alla comunicazione scritta e parlata, ma anche alla credibilità di coloro che annunciano questi messaggi. Non solo il Papa e i vescovi, ma qualsiasi cristiano è chiamato ad essere testimone del fatto che i valori che si propongono possono essere vissuti anche oggi e possono riempire tutta una vita e le attese più profonde nel cuore dell’uomo. Il messaggio cristiano è controcorrente e rivoluzionario e quindi diventa scomodo. Ma anche la Chiesa non sempre riesce a rendere giustizia a tale grandezza comunicativa, anche perché non c’è proporzione tra il messaggio e i suoi messaggeri. Non riusciremo mai a trasmetterlo in tutta la sua bellezza, ricchezza e profondità. L’atteggiamento competitivo, poi, sarebbe un errore, noi non siamo in concorrenza per avere più spettatori del Grande Fratello, siamo ad un altro livello. Purtroppo questi programmi banalizzano e svuotano di contenuti la vita umana, i sentimenti, i rapporti interpersonali. Non si tratta di fare concorrenza, ma di essere fedeli ad un progetto. A noi, come cristiani, è stato affidato il Vangelo e crediamo che il Vangelo, oggi come ieri, possa rispondere alle attese dell’umanità».
La sala stampa allestita per il Giubileo del 2000

La sala stampa allestita per il Giubileo del 2000

L’atteggiamento sembra chiaro e deciso, ma non sempre i mezzi e i canali dimostrano di essere all’altezza, rischiando molto spesso di inghiottire il messaggio cristiano distorcendone i significati più profondi, all’unico scopo di dettare legge sul mercato degli ascolti. «La Chiesa ha il diritto e il dovere di esprimersi. Ma abbiamo i mezzi, le possibilità e le persone per produrre una comunicazione esclusivamente nostra? Ci sono tanti strumenti già esistenti. Perché non servirsi di questi, entrando, però, con la nostra identità specifica? Questo è il grande problema. È difficile entrare in questo mondo e non esserne fagocitati, non perdere la propria identità. Ecco allora l’importanza della formazione, della specializzazione. La buona volontà è molto importante ma non è sufficiente. Ci vuole una certa preparazione, bisogna essere competenti. In questa cultura dell’omologazione e dell’appiattimento, farei molta attenzione – per quanto riguarda, ad esempio, la partecipazione dei religiosi ai programmi tv – ad evitare di perdere il senso della nostra missione, a mantenere la nostra identità. Va bene andare ai programmi, ma ci si va come preti e suore, non per fare commenti a cose che non sono di nostra competenza. Se vado lì solo per fare numero, allora perdo il mio tempo e soprattutto do una contro-testimonianza. Usiamo i mezzi che ci sono ma usiamoli da cristiani e testimoni del Vangelo. Mi sembra che in Italia tutti questi interventi di religiosi alle trasmissioni e tutte queste fiction ispirate a figure di religiosi indichino un certo interesse e curiosità verso il nostro mondo religioso, ma dobbiamo stare attenti a non banalizzarlo. Il prete non è un detective privato, non un presentatore del varietà».
«Queste fiction a carattere religioso da un lato rispondono alla curiosità della gente per questo mondo, dall’altro ne offrono una visione parziale. Il rischio è vendere il prodotto che il consumatore vuole, ma noi non ne abbiamo il diritto perché il nostro messaggio non può essere questo. Che ci piaccia o no, non ci appartiene, siamo dei semplici amministratori».
Non poteva mancare, poi, un apprezzamento sull’attuale svolgimento dei lavori del Consiglio: «Molti offrono la loro collaborazione costante alla crescita del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. C’è uno scambio continuo con le Conferenze episcopali e le rispettive commissioni. Scambio di informazioni, visite, poi congressi e convegni. Ci auguriamo che tale interesse continui a crescere, vista la relativamente nuova presenza della Chiesa nel mondo delle comunicazioni».
Tanti propositi ma anche tante difficoltà, soprattutto da parte di un’opinione pubblica che spesso si ritrova a contestare, neanche troppo velatamente, le autorità ecclesiastiche. Emblematiche le vicissitudini che hanno riguardato la possibilità di inquinamento prodotto dalle antenne della Radio vaticana: «Non voglio entrare in merito alla questione, né prendere le difese dell’emittente vaticana, ma è interessante osservare come si stia diffondendo sempre di più una grande dose di ignoranza e di assenza di uno spirito critico. L’ha detto la tv, quindi è vero: povertà intellettuale e interiore. È necessario formare una coscienza critica. I media danno una sola interpretazione della realtà, cerchiamo di impegnarci costantemente per capire come stanno davvero le cose. La società attuale favorisce questo adagiarsi a quello che ci propina. La Chiesa, però, ha il dovere di continuare a valorizzare e apprezzare sempre di più i mezzi di comunicazione. I media hanno permesso al Papa di avere quella autorità morale che gli è riconosciuta ovunque. Ne sono un esempio concreto gli ultimi appelli contro la guerra. Grazie ai mezzi di comunicazione la Chiesa cattolica ha una presenza in ambito internazionale indiscutibile. In quelle regioni del mondo dove la radio è l’unico mezzo di comunicazione si riesce ad alfabetizzare la gente, ad insegnare storia sacra, educazione civica e catechismo. Lì i mezzi di comunicazione diventano promozione umana ed evangelizzazione. Qui da noi la voce cristiana è una in mezzo a tante altre. Ma nella nostra società distratta c’è una ricerca e un’attesa di qualcosa di vero che rafforzi le nostre radici. I media potrebbero e dovrebbero offrire questo. I media cattolici non devono fare solo informazione ma anche formazione. Informazione e formazione devono andare insieme, con una specificità sempre presente, se no si rischia di essere inghiottiti dalla massa. Per i media cristiani l’immagine della Lettera a Diogneto del II secolo risulta attualissima anche per questo: “come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani”. I mezzi di informazione cristiani devono essere coscienza critica e motore interno della vita dell’uomo».


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