Un intervento di Monsignor Jean-Louis Tauran
«Una guerra di aggressione costituirebbe un crimine contro la pace»
Il segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati spiega la posizione della Chiesa cattolica nell’attuale crisi irachena. E i principi della sua azione a favore della pace
di Jean-Louis Tauran
Monsignor Jean-Louis Tauran (a destra nella foto) con padre Giuseppe Pusceddu, provinciale dei Padri concezionisti
Ciò mi pare che sia una sintesi della posizione della Santa Sede in questa materia. In realtà, l’azione della Santa Sede a favore della pace si può inquadrare tra due principi di riferimento: il primo è «Cristo è nostra pace» (Ef 2,14) ed il secondo è un testo di Gaudium et spes: «Gli uomini in quanto peccatori sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell’amore, a vincere il peccato essi vincono anche la violenza» (78, 6).
I papi e i loro collaboratori, illuminati da queste convinzioni, hanno cercato, e tuttora cercano, di indicare all’umanità il cammino, segnalando le condizioni e i doveri che impone la creazione di un ordine internazionale giusto, fondandolo sul diritto naturale, sul diritto internazionale e sul Vangelo. La Chiesa, da parte sua, interviene in tale comune impegno favorendo e promuovendo una cultura della pace, elaborando anche criteri generali per un’educazione alla pace.
2. Per la Santa Sede, e per la Chiesa cattolica, la pace poggia idealmente su quattro colonne: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà (cfr. Pacem in terris). La sollecitudine per la pace è antica, si può dire, tanto quanto la Chiesa. Mi limito ad enumerare alcune iniziative più recenti dei papi in favore della pace, soprattutto nel secolo scorso. Penso a Benedetto XV, che tentò una mediazione tra i belligeranti della prima guerra mondiale e scrisse la famosa enciclica Pacem Dei munus; penso a Pio XI che si oppose al nazismo e consegnò alla storia la famosa enciclica Mit brennender Sorge; penso ai radiomessaggi di Pio XII nelle ore più oscure del secondo conflitto mondiale; a Giovanni XXIII ed alla sua enciclica Pacem in terris; ai documenti del Concilio ecumenico Vaticano II; a Paolo VI che istituì all’interno della Curia il Pontificio Consiglio di Iustitia et Pax e prese l’iniziativa della Giornata mondiale della pace, all’inizio di ogni anno, e questo a partire dall’anno 1968.
E poi, ovviamente, penso a Giovanni Paolo II. I suoi discorsi al corpo diplomatico, all’inizio di ogni anno, contribuiscono ad una vera educazione sistematica alla pace. Non vanno dimenticate le sue iniziative concrete, personali, in casi di grave crisi, come la mediazione tra Argentina e Cile circa il canale Beagle, la giornata mondiale di preghiera per la pace di Assisi, lo scorso anno, e la sua intensa attività in queste settimane quando ha ricevuto i maggiori esponenti del mondo politico internazionale.
Si tratta, evidentemente, di alcuni esempi eclatanti, in un certo senso, ai quali va affiancata quell’azione quotidiana dei rappresentanti pontifici della Santa Sede, meno visibili, certo, ma non meno incisivi, ispirati alla volontà del Papa. Sono i nunzi apostolici accreditati nei 174 Paesi con i quali la Santa Sede intrattiene relazioni diplomatiche. A questa azione dei nunzi va aggiunta anche l’azione delle missioni permanenti presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, a New York e a Ginevra, presso l’Unesco a Parigi, la nunziatura presso le Comunità europee a Bruxelles, l’inviato speciale presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, nonché il rappresentante della Santa Sede presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), alla quale la Santa Sede partecipa come membro a pieno diritto. Grazie a questa presenza e a questi contatti istituzionali e quotidiani la Santa Sede ha potuto dare vita ad una vera strategia in favore della pace.
3. Vorrei ora enumerare alcuni principi di questa strategia. Innanzitutto, proclamare forte e chiaro il suo rifiuto della guerra. Certamente la Santa Sede riconosce che ogni Stato ha il dovere di proteggere la propria esistenza e la propria libertà con mezzi proporzionati, ma l’esperienza ha spesso dimostrato quanto sia illusoria l’efficacia delle armi quando si tratta di dirimere un conflitto tra gli Stati.
Il Papa nel suo discorso al corpo diplomatico ha gridato: «No alla guerra, la guerra non è mai una fatalità, essa è sempre una sconfitta dell’umanità», e ha aggiunto: «Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia sono mezzi degni dell’uomo e della nazione per risolvere i loro contenziosi».
La Santa Sede incoraggia, in secondo luogo, un disarmo effettivo. Una dissuasione fondata sull’equilibrio delle forze non è mai stata considerata dalla Santa Sede come un fine in se stesso, ma soltanto come una tappa verso un disarmo progressivo: così si spiega l’appoggio morale dato dalla Santa Sede, per esempio, al Trattato di non proliferazione nucleare, al Trattato di interdizione degli esperimenti nucleari, al Trattato di interdizione delle mine antiuomo.
Dal momento che la pace non è soltanto l’assenza della guerra, la Santa Sede si è fatta promotrice, inoltre, di un ordine internazionale fondato sul diritto e la giustizia, indicando i diritti dell’uomo e i diritti dei popoli come i fondamenti della pace. L’alimentazione, la salute, la cultura, la solidarietà sono le condizioni necessarie affinché i cittadini si sentano coinvolti, con responsabilità, in un progetto di società che offra delle possibilità ad ogni individuo.
Tutto ciò suppone una visione dell’uomo che tenga in debito conto tutte le sue dimensioni: il rispetto della vita umana dal momento del suo concepimento alla sua fine naturale, la sua dignità, la sua libertà, senza dimenticare il diritto alla libertà di religione. A tal proposito, Giovanni Paolo II ama ricordare che quando è negata o limitata la libertà di religione e non è permesso di praticare la propria fede, in realtà sono tutte le altre libertà ad essere minacciate.
La pace è anche il risultato del rispetto degli strumenti tecnici propri della collaborazione internazionale. La Santa Sede ha fiducia nel diritto internazionale per garantire la libertà delle persone e dei popoli. Il rispetto degli impegni assunti, secondo l’adagio antico “pacta sunt servanda”, la fedeltà ai testi elaborati, spesso al prezzo di grandi sacrifici, la priorità accordata al dialogo, sono ugualmente dei mezzi che, secondo noi, dovrebbero permettere, sia a livello bilaterale che a livello multilaterale, di evitare, nella misura del possibile, ai più deboli di essere le vittime della volontà malvagia, della forza o della manipolazione dei più forti.
Infine, vorrei porre in rilievo un contributo, spesso sconosciuto, dato dalla Santa Sede alla pace, ossia il suo apporto alla redazione delle convenzioni o delle dichiarazioni internazionali. Penso, ad esempio, alla nozione giuridica di “assistenza umanitaria”, promossa dalla Santa Sede in occasione del conflitto in Iugoslavia. Gli Stati hanno il diritto, anzi il dovere, di intervenire per disarmare chi vuole uccidere, non già per incoraggiare la guerra, ma per impedirla. Penso, anche, alla posizione della Santa Sede sugli effetti negativi della pratica, non controllata a livello internazionale, dell’embargo contro uno Stato che non rispetta il codice di condotta internazionale. L’embargo, limitato nel tempo, deve essere proporzionato a ciò che si desidera correggere e non per far precipitare la popolazione nella miseria.
«Gli uomini in quanto peccatori sono e saranno sempre sotto la minaccia
della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell’amore,
a vincere il peccato essi vincono anche la violenza»
Gaudium et spes
Tutti conoscono l’azione del Papa per alleviare le sofferenze delle popolazioni di Cuba e dell’Iraq. Penso alla proposta di Giovanni Paolo II, in occasione della sua ultima visita alla sede delle Nazioni Unite a New York, di redigere una Carta dei diritti delle nazioni. Penso, anche, all’azione delle delegazioni della Santa Sede nelle principali conferenze mondiali, organizzate dalle Nazioni Unite negli anni Novanta. 4. La Santa Sede offre, così, il proprio contributo affinché nella redazione dei documenti del diritto internazionale, spesso orientati ideologicamente, siano salvaguardati i grandi principi morali e l’apporto del diritto internazionale classico. Ciò che caratterizza, quindi, l’azione della Santa Sede in favore della pace è il servizio della coscienza. Giovanni Paolo II, ricevendo gli auguri del corpo diplomatico, il 9 gennaio 1995, dichiarava che la giustificazione della presenza della Santa Sede in campo internazionale era di «essere la voce cui la coscienza umana tende, che ricorda instancabilmente le esigenze del bene comune, il rispetto della persona umana, la promozione dei più alti valori spirituali. Ciò che è in gioco», aggiungeva, «è la dimensione trascendente dell’uomo, essa non può essere sottomessa ai capricci degli uomini di Stato o a delle ideologie».
Per un cristiano, e a maggior ragione per il Papa, è nel cuore dell’uomo che nascono la pace o la guerra, ed è a questo uomo, il quale deve scegliere tra il bene e il male, che la Chiesa ha il dovere di rivolgersi. Essa lo accompagna sul cammino della vita indicandogli la giusta direzione. Essa interpella la sua libertà e la sua responsabilità. È a questa profondità che si costruisce la pace, e ovviamente lì si inserisce, per noi credenti, la preghiera. Proprio ieri [23 febbraio, ndr], alla recita dell’Angelus, il Papa ha invitato tutti i cattolici a dedicare, con particolare intensità, la giornata del Mercoledì delle ceneri alla preghiera e al digiuno per la causa della pace specialmente nel Medio Oriente. «Imploreremo da Dio», ha detto, «la conversione dei cuori e la lungimiranza delle decisioni giuste per risolvere con mezzi pacifici le contese che ostacolano il pellegrinaggio dell’umanità in questo nostro tempo»; ha ricordato: «È doveroso per i credenti, a qualunque religione appartengano, proclamare che mai potremo essere felici gli uni contro gli altri». Tutto questo, ovviamente, è applicato dalla Santa Sede al particolare contesto della crisi irachena di questi giorni.
5. Su questa crisi irachena, il Papa e i suoi collaboratori hanno avuto modo di esprimersi in maniera chiara in questi ultimi tempi. Per noi tutto deve essere intrapreso e deciso nel contesto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Prima di tutto, vanno sfruttate tutte le risorse del diritto internazionale e ponderate le conseguenze che un intervento armato avrebbe sulle popolazioni civili, senza dimenticare poi le prevedibili reazioni dei Paesi dell’area, che, per solidarietà con l’Iraq, potrebbero assumere degli atteggiamenti estremi.
Detto questo, ovviamente è importante che i responsabili dell’Iraq sappiano regolare la loro azione politica secondo il codice di condotta che impone loro l’appartenenza alla comunità delle nazioni. Il diritto internazionale non conosce il concetto di un “nuovo ordine mondiale”, come si dice oggi, che permetterebbe il ricorso unilaterale alla forza da parte di alcuni Stati per garantirne il rispetto. Il diritto internazionale, lo sappiamo, ha messo fuori legge la guerra, in particolare grazie alla Carta delle Nazioni Unite. Mi riferisco all’articolo 2 § 4, che nessuno cita in questi tempi, ma che è molto importante proprio perché dichiara che gli Stati rinunciano alla guerra per risolvere i loro conflitti.
Soldati statunitensi ricevono istruzioni durante un’esercitazione al confine con l’Iraq
Detto ciò, la Santa Sede, come il resto della comunità internazionale, è profondamente preoccupata della presenza di armamenti di distruzione di massa non solamente in Medio Oriente, ma anche in altre parti del mondo.
Il loro smantellamento è certamente una necessità imperiosa, dato che minacciano la pace internazionale. Ecco perché la Santa Sede, nel caso dell’Iraq, pensa che il processo di ispezione in corso, anche se lento, potrebbe portare ad un consenso che, se largamente condiviso dalle nazioni, renderebbe quasi impossibile ad un governo agire in una maniera diversa, senza il rischio di un isolamento internazionale.
Molto probabilmente, una guerra generalizzata contro l’Iraq provocherebbe tra le popolazioni civili dei danni sproporzionati, in rapporto agli obiettivi da raggiungere, e violerebbe le regole fondamentali del diritto internazionale umanitario. Mi riferisco, ovviamente, alle famose Convenzioni di Ginevra.
Pertanto, cosa grave sarebbe da una parte la banalizzazione della guerra e dall’altra l’indifferenza alla dimensione giuridica delle relazioni internazionali.
Come vedete, siamo ben lontani da compromessi politici o da interessi da salvaguardare. Siamo di fronte, invece, ad una scelta che tutti noi dobbiamo compiere, uomini e donne, cittadini comuni o responsabili politici. In una semplice parola, si tratta oggi di scegliere tra la legge della forza e la forza della legge.
Grazie per la vostra attenzione!
(Conversazione tenuta da monsignor Jean-Louis Tauran, segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati,
il 24 febbraio 2003, presso l’Istituto dermopatico dell’Immacolata – Idi –, a Roma.
Testo raccolto da Giovanni Cubeddu e rivisto dall’autore)