Home > Archivio > 03 - 2003 > Albertone a riflettori spenti
PERSONAGGI
tratto dal n. 03 - 2003

Intervista a Ruggero Cozzani, responsabile della Fondazione Alberto Sordi

Albertone a riflettori spenti


Uno degli aspetti meno conosciuti della vita di Alberto Sordi, perché l’attore non voleva che fosse pubblicizzato, era la sua attività di ideatore e finanziatore di un centro per l’assistenza degli anziani in collaborazione con il campus universitario dell’Opus Dei alle porte di Roma. L’ingegner Ruggero Cozzani, responsabile della Fondazione Alberto Sordi, racconta...


di Stefano Maria Paci


Alberto Sordi a piazza San Pietro

Alberto Sordi a piazza San Pietro

Una volta, gli attori venivano sepolti in terra sconsacrata. Per Alberto Sordi si sono addirittura aperte le porte della cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano. Lui, che non ostentava mai nulla, non ha mai nascosto la sua fede cattolica: «Il cattolicesimo di mia madre», disse una volta, «è rimasto per me regola di vita: ciò che facevo da bambino continuo a farlo da adulto». E ancora: «La vita mi ha convinto che il cattolicesimo è vero: che bisogno ho di ragionarci su?».
Durante il Giubileo degli artisti, Sordi parlò di fronte al Papa. E aveva un grande desiderio, che non si è mai potuto realizzare: che Giovanni Paolo II potesse andare a visitare un’opera caritativa, tenuta per anni al riparo dalla pubblicità. Un’opera che per Alberto Sordi era forse più importante dei tanti riconoscimenti che negli ultimi anni venivano tributati alla sua straordinaria carriera d’attore. Tutto era cominciato quando persone dell’Opus Dei gli avevano chiesto di acquistare dei terreni di sua proprietà nei sobborghi di Roma per costruirvi un campus biomedico. Da lì iniziò un’avventura che portò a creare una Fondazione dedicata ad Alberto Sordi, di cui l’ingegner Ruggero Cozzani è il direttore.

Ingegner Cozzani, quando ha incontrato per la prima volta Alberto Sordi?
RUGGERO COZZANI: Era il gennaio 1990. Volevamo realizzare un campus biomedico a Trigoria, nei sobborghi di Roma. L’idea era di costruire un policlinico con annessa una Università che avesse le facoltà di medicina, di scienze infermieristiche e di ingegneria biomedica. Allora siamo andati a parlare con il proprietario dei terreni. Era Alberto Sordi. Gli abbiamo spiegato cosa volevamo fare, e lui ci ha venduto i terreni. Ma la nostra iniziativa gli è piaciuta così tanto che ci ha fatto una proposta.
Quale?
COZZANI: Sordi ha detto: «È bello occuparsi di chi sta male, ma noi possiamo fare un grande lavoro ancora prima che le persone si ammalino. E possiamo alleviare le loro condizioni di disagio». E ci ha confidato un suo desiderio: fare qualcosa per gli anziani. Ci ha parlato di situazioni, anche gravi, che conosceva nel mondo dello spettacolo. E ha proposto di destinare altri otto ettari, attigui a quelli già venduti, per un’opera che si occupasse proprio di loro, gli anziani. La Fondazione Alberto Sordi è nata il 17 maggio 1991.
Vi ha regalato il terreno? Una leggenda dura a morire parla di un Alberto Sordi un po’ tirchio.
COZZANI: Tirchio? Il terreno che ha regalato alla Fondazione valeva all’epoca oltre 10 miliardi di lire.
E Sordi che ruolo aveva nella Fondazione?
COZZANI: Lui era il presidente onorario, e ha incaricato me di dirigere le attività operative, tanto che presiedo un comitato direttivo. Ma la generosità di Alberto non era solo economica: ci ha donato anche l’idea di creare un’assistenza agli anziani che avesse una portata universitaria. È nata una sinergia tra la nostra idea iniziale e quello che lui desiderava creare, e che tentava di risolvere un disagio umano fatto di problemi di solitudine ed emarginazione ancora prima che medici. Sordi ci diceva di non occuparci solamente di assistenza o di soluzioni di problemi logistici dell’anziano, ma di compiere un lavoro di valorizzazione di tutta la persona.
Tra l’altro, alla condizione degli anziani Sordi ha dedicato anche i suoi ultimi due film. In Nestore, l’ultima corsa parlava della solitudine di un vecchio conducente di carrozzelle in un mondo che gli cambiava sotto gli occhi, in Incontri proibiti dei problemi affettivi della terza età. Evidentemente, quello degli anziani era un tema che gli stava molto a cuore. Ingegnere, cosa le diceva Sordi degli anziani?
COZZANI: Mi ha lasciato una indicazione chiara: ancora prima di ammalarsi si può stare male, e molto. Gli anziani, spiegava, vivono spesso in condizioni di grosso disagio, e devono essere aiutati con intelligenza e passione. E vanno anche valorizzati. Per esempio, mi diceva che le infermiere sono quelle che più possono trarre vantaggio da questo rapporto con gli anziani: perché non solo sono chiamate ad aiutarli, ma devono anche essere capaci di ascoltarli, così da farsi arricchire dalla loro esperienza. In questo modo, le infermiere acquisiscono una grande dose di umanità.
Come è strutturata oggi la vostra Fondazione?
COZZANI: Abbiamo costruito un primo, grande edificio. Lì si svolge un’attività ambulatoriale. E ci sono palestre fornite di attrezzature molto sofisticate, per chi ha bisogno di assistenza ortopedica, neurologica o fisioterapica. E poi c’è l’attività dedicata agli anziani: un’attività manuale, come quella di falegnameria o di sartoria, un’attività intellettuale, con conferenze e corsi, e un’attività artistica teatrale, ispirata proprio ad Alberto Sordi. Tutti i giorni ci sono le prove, e poi periodicamente si mettono in scena degli spettacoli. L’ultimo, Alberto non ha fatto in tempo a vederlo.
E per il futuro cosa prevedete?
COZZANI: Attualmente ci sono qui cinquanta anziani, e abbiamo cinquanta volontari che a turno li seguono: un volontario ogni cinque anziani. Non credo che in futuro amplieremo di molto il numero delle persone, perché è importante la qualità di quello che offriamo. Ma lavoreremo sulle prospettive in ambito universitario: faremo un monitoraggio di tutte le attività, e vedremo se hanno riscontri che possono essere utili ad altri. E poi apriremo una cattedra di geriatria, e la dedicheremo ad Alberto Sordi. Perché quello voluto da Alberto non è solo un progetto assistenziale, per risolvere a breve termine i problemi di persone in qualche modo disabili, ma è un progetto a largo raggio.
Lei incontrava spesso Alberto Sordi, e in una veste del tutto particolare. Che cosa la colpiva di più di lui?
COZZANI: Sono stato fortunato: non ho conosciuto il Sordi attore, ma l’uomo. Lo incontravo spesso, e sempre mi stupiva la familiarità e la semplicità dei rapporti che instaurava, anche se era ricco e famoso. Non creava nessuna barriera umana, e si comportava nello stesso modo con una persona importante o con un’infermiera o un volontario. E aveva doti di grande profondità. Come ha mostrato nel bellissimo discorso che fece quando venne qui, a Trigoria, nell’ottobre del 1998, in occasione della posa della prima pietra. Dopo di allora venne spesso qui, per vedere come proseguiva l’opera. Era molto contento di come avevamo realizzato quel primo edificio. E ci ha sempre spronato a far sì che quella prima pietra fosse solo il fondamento di un progetto più grande, che prevedeva il campus universitario, il Policlinico e un’attività che coinvolgesse migliaia di studenti.
Si dice che i comici nel privato sono tristi. Era così anche Sordi?
COZZANI: No. Al contrario. Per lui l’umorismo era un fatto strutturale, faceva parte integrante della sua personalità. E una volta mi ha detto che lui non si riteneva un comico. Mi disse: «Io al cinema ho solo messo in scena diverse situazioni nelle quali le persone si trovano di fronte a scelte, difficoltà, problemi. In quelle circostanze ho applicato al personaggio il mio umorismo e la mia spensieratezza». Il messaggio era chiaro: se si esasperano i problemi che ci circondano, non si risolvono. Invece, se si affrontano con uno sguardo ironico, che era lo stesso che lui utilizzava durante tutta la vita, i problemi si sdrammatizzano: se si riesce a riderci su, una soluzione si trova. Sordi non era un semplice comico che faceva ridere la gente: era una persona con uno sguardo positivo e lieto sulla vita, e voleva insegnare a tutti ad utilizzare quello sguardo buono.
Ci racconti un aneddoto di questo suo sistema di sdrammatizzare le situazioni.
COZZANI: Una volta siamo andati a un ristorante, e tutti avevano focalizzato l’attenzione su di lui. Continuavano a portarci cibi prelibati. Arriva il maître e gli dice: «Commendatore, abbiamo portato delle ottime tartine ai funghi». E Sordi, che non mangiava funghi: «Non li dia a me, grazie, perché io non mangio funghi: sono convinto che siano tutti velenosi». E il maître: «Ma no, questi sono porcini prelibatissimi». E Sordi: «Non insista, io non mangio funghi, i funghi sono tutti velenosi». Ma il maître continuava ad insistere, in un modo quasi irritante. Finché disse: «Commendatore, si fidi: li hanno già mangiati i camerieri». Allora Sordi rispose, guardandosi in giro: «Ecco perché ne vedo così pochi». Tutti risero di gusto, e la situazione si stemperò.
Alberto Sordi con il professor Vincenzo Lorenzelli, rettore del Campus biomedico di Roma

Alberto Sordi con il professor Vincenzo Lorenzelli, rettore del Campus biomedico di Roma

Sordi una volta disse: «Anche nell’ambiente dello spettacolo, dove uno che va a messa la domenica è considerato un “sorpassato”, io rispondo che invece credo in quelle cose lì: Gesù, la Madonna, il paradiso e l’inferno». Le è mai capitato di parlare con lui “di quelle cose lì”?
COZZANI: No, non parlavamo mai di Dio. Dovevo rispondere di una responsabilità effettiva, e spesso ero anche preoccupato quando lo incontravo. Ma ricordo che la prima persona che conobbi era Giuseppe, il fratello di Alberto, che negli anni Novanta seguiva le sue attività immobiliari. Quando Giuseppe morì, improvvisamente, andai al funerale, nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura. Mi colpì molto l’atteggiamento di Alberto, che poteva aversi solo in una persona con una profonda fede. Del resto, la cattolicità di Sordi era palese. I suoi familiari mi dicevano che andava a messa tutte le domeniche, e si accostava regolarmente ai sacramenti.
Anche le cose che diceva agli studenti, qui da noi, erano trasparenti. I suoi valori erano autentici. Lui, poi, sapeva che le persone con cui stava lavorando erano vicine all’Opus Dei. E mi aveva confidato che un suo grande desiderio era che potessimo creare al più presto le condizioni per far venire qui il papa Giovanni Paolo II. A vedere che grande lavoro si era fatto, costruendo opere così belle in un ambito di valori cristiani. Me lo ha ripetuto più volte.
Ha visitato altri centri dell’Opus Dei?
COZZANI: Sì. In 12 anni di rapporti, ci sono state tantissime occasioni in cui ha conosciuto le nostre opere e le persone dell’Opus Dei. Per esempio gli abbiamo mostrato la scuola alberghiera che abbiamo al Tiburtino. Lui si comportò in modo molto semplice: andò in cucina e mangiò patatine fritte, incontrò le infermiere, visitò la lavanderia. Rimase molto colpito. Quando alcune ragazze, in un salottino, gli suonarono con la chitarra una canzone dedicata a lui, e recitarono una divertente scenetta musicale con dei vestiti bellissimi, lui disse ridendo: «E queste chi sono, quelle del turno di notte?».
Sordi aveva una qualche devozione per Escrivá de Balaguer?
COZZANI: Gli abbiamo sempre fatto sapere di come cresceva la fama di santità del fondatore dell’Opus Dei. Doveva venire alla canonizzazione di Escrivá in piazza San Pietro, ma le sue condizioni di salute non glielo hanno permesso.
Gianluigi Rondi, il grande critico cinematografico, in un’intervista pubblicata su 30Giorni mi disse che Sordi aveva molto pudore a parlare delle sue iniziative caritative che quasi nessuno conosceva. È vero?
COZZANI: Sì. La sua discrezione era quasi commovente. Ci invitava sempre a non pubblicizzare il suo ruolo nella nostra opera. Noi, naturalmente, avremmo voluto darle più lustro, farla conoscere maggiormente. Ma lui, che pure era un uomo pubblico, aveva molto riserbo per questo. In un’occasione ci fece chiudere la porta di fronte a una telecamera di una televisione privata, dicendo: «Quello che faccio qui è una cosa privata, non deve essere sbandierata ai quattro venti».
Insomma, Sordi si atteneva alla massima del Vangelo che dice che la carità va fatta nel segreto…
COZZANI: Sì, esatto. E ora si può finalmente far sapere che tipo di testimonianza ha lasciato.
Nel ricordo che è stato fatto in piazza San Giovanni in occasione dei suoi funerali, alcuni attori hanno detto che Sordi era partito per far ridere il paradiso. Se incontrerà san Escrivá de Balaguer, cosa pensa che si diranno?
COZZANI: Con Escrivá, si intenderanno di certo. Avevano molte cose in comune. Avevano entrambi umorismo e profondità. Perché Sordi non aveva una comicità banale, scontata, come se ne vedono tante oggi. Era invece un profondo conoscitore degli uomini. Un po’ come san Escrivà de Balaguer. Del resto, la profondità dell’umorismo di Alberto nasceva solo dalla sua grande umanità. E saper far sorridere è dare agli uomini un riflesso del sorriso che Dio ha su di noi.


Español English Français Deutsch Português