Home > Archivio > 03 - 2003 > L’Espressionismo in chi lo guarda
ARTE
tratto dal n. 03 - 2003

L’Espressionismo in chi lo guarda


A febbraio si è chiusa la mostra degli espressionisti a Roma. Alcune note su come il disagio esistenziale e l’angoscia delle opere si riflettevano nel pubblico


di Carlo Montarsolo


Il guanto bianco, Alexej Jawlenskij, olio su cartone, 1913, collezione privata

Il guanto bianco, Alexej Jawlenskij, olio su cartone, 1913, collezione privata

Sono rimasto a lungo nella sala della mostra (bene ordinata ma con poca luce) ad osservare le persone che sostavano davanti ai quadri esposti. C’erano, nel loro atteggiamento, perplessità e ripulsa. Sembrava che alla normale gioia sensibile nel vedere un fenomeno artistico ritenuto un “capolavoro”, si sostituisse un malcelato rifiuto: nessun apprezzamento di fronte a quella sconvolta pittura di figure e di fatti mai visti prima. La costante disarmonia tra forme e colori – nel tentativo di esprimere la concezione più tragica e avvilente dell’esistenza – è tale da indurre a pensare più alla morte che alla vita. Il senso di angoscia e desolazione nelle opere degli espressionisti è evidente: il disarmato visitatore ne è turbato e infastidito.
Leggevo che in Germania, a Monaco di Baviera, esiste un’associazione (“First aid for bad art”), che intende portare soccorso a tutti i visitatori di mostre d’arte, irritati e sofferenti a causa delle opere esposte. Non è uno scherzo: taluni dipinti o manufatti dell’ “arte povera” (si pensi ai “barattoli” di Manzoni) o le stesse – a volte maleodoranti – “installazioni”, possono recar danno a chi le osserva, del tutto ignaro del loro significato.
Nell’“espressione” – è il caso di ripeterlo – dei volti degli amici e dei visitatori che mi seguivano, c’erano disagio e insoddisfazione. Avvertivo l’ansia di ascoltare le mie spiegazioni (di un pittore decano militante, con tanti anni di lavoro e di esperienza).
L’Espressionismo, nato in Germania nel 1905 (quasi un primo presagio di satira e di denuncia, che precede l’avvento del nazismo), fu un largo movimento che coinvolse non solo le arti figurative, ma anche la letteratura, la musica, il teatro, la scenografia. «Il compito dell’artista consiste nell’indagare i moti più profondi e drammatici della vita, cogliere gli stati d’animo quali essi siano, gioiosi o dolorosi, ricreandoli con forme e colori». Per il pittore si tratta quindi della “realtà esistenziale” in cui calarsi, vivendola dall’interno, nel bello e nel brutto.
Ed è proprio nell’“estetica del brutto” (come taluni addetti ai lavori l’hanno definita, senza peraltro spiegarne le ragioni e gli scopi) che l’artista espressionista si immerge, creando opere di un’immediatezza frenetica, con un istinto violento e quasi primordiale. «Il mezzo tecnico nella pittura è preminente» sottolinea Kirchner «con l’impasto dei colori come fondo e linea sulla tela… e non soltanto una immagine confortevole e bella merita di essere dipinta…».
Nel celebre Autoritratto in divisa dello stesso Kirchner (purtroppo non figura nella mostra) la scena è raccapricciante, con quella mano destra mozzata in primo piano, e il nudo femminile lontano e irraggiungibile. Non era stato mai dipinto un quadro che indicasse così brutalmente la tragedia “fisica” della guerra (museo di Oberlin, Ohio).
Ricordiamo altresì la Natura morta con maschere di Emil Nolde, dall’estrema violenza cromatica. Vi sono dipinti, come in un incubo, maschere e spettri di inaudita “bruttezza formale”, ma che si riferiscono oggettivamente alla più efferata delinquenza e cattiveria del mondo.
Fra le opere che figurano in questa mostra (è difficile far pervenire quelle più significative) sono da segnalare la Primavera precoce di Schmidt-Rottluff, eseguita con toni crudi e scuri, e la Festa in rosso cupo e verde, con mantiglia di Alexej Jawlenskij, dai grandi occhi stupefatti ed inquieti. Dello stesso autore figura Il guanto bianco, elemento gentile che si intravede in basso e che argina l’insistito, esagerato trucco sul volto della donna, al limite della bruttezza fisica femminile (il dipinto è riprodotto sul depliant offerto ai visitatori).
Con il “Der Blaue Reiter” (il cavaliere azzurro) l’atmosfera cambia. Più sereni, meno espressionisti nel senso tradizionale del termine, artisti come Franz Marc, August Macke e Vasilij Kandinskij, sono presenti nella rassegna, con preminenza del pittore russo. È esposto l’incredibile ritratto dal titolo Signora. La figura è colta di profilo, i connotati certo non belli del naso e degli occhi, sono inseriti in una geometria di paesaggio e forme, dove il colore prevarica brutalmente sulle caratteristiche fisiche della modella. Ci sono poi le Spagnole di Jawlenskij, sorelle in pittura, per bruttezza, delle “cocottes” sguaiate di Kirchner.
Alla fine, i volti degli amici e degli improvvisati ascoltatori mi sembravano più distesi e in qualche modo appagati. Forse avevamo trovato insieme, più che in un testo di storia dell’arte, la possibile lettura dell’Espressionismo, cogliendone il magistero tecnico e l’essenza spirituale.
Fuori dal Vittoriano, un barbone, intirizzito dal primo pungente freddo di Roma, stava raggomitolato sul marciapiede, con in mano una scodella. Kirchner, Munch, Nolde, Marc, Jawlenskij e lo stesso Kandinskij, ne avrebbero tratto ispirazione, creando capolavori.


Español English Français Deutsch Português