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L'11 SETTEMBRE
tratto dal n. 11 - 2001

Le parole dell’arcivescovo di Boston sulla crisi internazionale

Il mondo non sarà più lo stesso


La relazione del cardinale Bernard Francis Law nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, il 22 novembre scorso. Dopo gli attacchi terroristici cosa è cambiato per la Chiesa cattolica e per le speranze di pace e giustizia in molte zone della terra


del cardinale Bernard Francis Law


Il cardinale Law

Il cardinale Law

La confessione fa bene all’anima. Confesso di sentirmi onorato e commosso per il gentile gesto di sua eminenza il cardinale Ruini di invitarmi a fare questa presentazione questa sera. Ma mentre questo giorno e quest’ora si avvicinavano mi sono sentito preso dall’ansia. Speravo di fare una presentazione incisiva, logica e convincente. Mi sono accorto invece che vi posso solo invitare a condividere con me il breve cammino che ho fatto nella riflessione su un problema che neppure tutta una vita potrebbe esaurire.
In un tratto commovente che ci fa intravedere il suo cuore, papa Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte scrive: "Quasi mettendosi sulle orme dei santi, si sono avvicendati qui a Roma, presso le tombe degli apostoli, innumerevoli figli della Chiesa, desiderosi di professare la propria fede, confessare i propri peccati e ricevere la misericordia che salva. Sono rimasto impressionato quest’anno dalle folle che hanno riempito piazza San Pietro durante le molte celebrazioni. Non di rado mi sono soffermato a guardare le lunghe file di pellegrini in paziente attesa di varcare la Porta Santa. In ciascuno di essi cercavo di immaginare una storia di vita, fatta di gioie, ansie, dolori; la storia di qualcuno incontrato da Cristo, e che in dialogo con lui riprendeva il cammino di speranza. Osservando poi il continuo fluire dei gruppi, ne traevo come un’immagine plastica della Chiesa pellegrinante, di quella Chiesa posta, come dice sant’Agostino, "tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio". A noi non è dato di osservare che il volto più esteriore di questo evento singolare. Chi può misurare le meraviglie di grazia che si sono realizzate nei cuori? Conviene tacere e adorare, fidandosi umilmente dell’azione misteriosa di Dio e cantandone l’amore senza fine: "Misercordias Domini in aeternum cantabo!"".
Precedentemente, nello stesso documento, il Santo Padre rivela le sue speranze per il Grande Giubileo del 2000 con queste parole: "Avevo colto, in questa celebrazione, un appuntamento provvidenziale, in cui la Chiesa, a trentacinque anni dal Concilio ecumenico Vaticano II, sarebbe stata invitata ad interrogarsi sul suo rinnovamento per assumere con nuovo slancio la sua missione evangelizzatrice".
Le speranze del Santo Padre per il Giubileo e per questo nuovo millennio si concentrano su un rinnovamento della Chiesa che la renda capace di impegnarsi nella missione di evangelizzazione con nuovo entusiasmo. Il Catechismo della Chiesa cattolica dichiara, semplicemente ma profondamente, che "lo scopo ultimo della missione non è altro che condividere la comunione tra il Padre e il Figlio nel loro spirito di Amore" (CCC n. 850).
Il fulcro di questo rinnovamento e profondo impegno alla evangelizzazione è la chiamata universale alla santità. Per citare di nuovo il Santo Padre: "La santità, riferita a pontefici ben noti alla storia o ad umili figure di laici e religiosi, da un continente all’altro del globo, è apparsa più che mai la dimensione che meglio esprime il mistero della Chiesa. Messaggio eloquente che non ha bisogno di parole, essa rappresenta al vivo il volto di Cristo". Il Santo Padre afferma "che tutte le iniziative pastorali devono essere messe in relazione alla santità" (NMI n. 30).
Vivere a Roma è una grazia singolare per noi che viviamo in altre parti del mondo. Questa basilica storica, questa "Chiesa madre" del mondo cattolico, ci ricorda il pellegrinaggio della Chiesa a questo luogo nel tempo. Qui a Roma si tocca la Chiesa non soltanto nella sua storia ma anche nella sua universalità. Anch’io, come il Santo Padre, mi sono sentito commosso dagli interminabili flussi di pellegrini in attesa di varcare la soglia della Porta Santa. Il mistero della grazia di Dio è, allo stesso tempo, profondamente personale nei suoi effetti, mentre ci attira profondamente nella comunione con la santissima Trinità e con i nostri fratelli e sorelle.
La Porta Santa attraverso cui la Chiesa è passata è Cristo. Il Santo Padre afferma che "un nuovo secolo e un nuovo millennio si stanno aprendo alla luce di Cristo. Ma non tutti riescono a vedere quella luce. Nostro è il meraviglioso e impegnativo compito di diventarne il "riflesso". Questo è il misterium lunae, che è stato una parte così importante nella contemplazione dei Padri della Chiesa, che hanno usato questa immagine per dimostrare la dipendenza della Chiesa da Cristo, il Sole la cui luce essa riflette. Era un modo di esprimere quello che Cristo stesso disse di sé quando si definì "luce del mondo" (Gv 8,12) e chiese ai suoi discepoli di essere "luce del mondo" (Mt 5,14). È un compito, questo, che ci fa trepidare, se consideriamo la debolezza che ci rende tanto spesso opachi e pieni di ombre. Ma è compito possibile, se esponendoci alla luce di Cristo, sappiamo aprirci alla grazia che ci rende uomini nuovi".
Queste parole del Santo Padre furono pubblicate meno di un anno fa, come indica il calendario. Come eventi invece influiscono sulla storia, l’11 settembre ha aperto la via ad una nuova era. Non è infrequente sentire il commento che l’11 settembre ha cambiato il mondo.
Mi si permetta di riflettere sulla mia esperienza personale di vescovo che mette l’11 settembre in una inquadratura storica per suggerire come la Chiesa possa rispondere alla chiamata del nuovo millennio a seguito degli eventi di quel giorno.
L’unica analogia, nella mia esperienza, agli attacchi terroristici dell’11 settembre è la mia visita ad Auschwitz. Di fronte al crudele ricordo dell’Olocausto, dissi ai miei pellegrini di Boston il 19 agosto 1986: "Non esistono parole. Che possiamo dire in questo luogo? Che cosa c’è nel nostro cuore e nella nostra mente che cerca di esprimersi, ma non ci riesce? È una paralisi e allo stesso tempo un grido silenzioso. Una paralisi che diventa grido silenzioso. È innanzitutto un grido di paura. Paura che la terra si apra e ci faccia sprofondare nell’inferno. Paura della furia dell’inferno. Paura della furia dell’inferno che può distruggere il cuore umano e rimpiazzarlo con... con che cosa? Che nome diamo a questa mostruosità? Poi diventa un grido di protesta e di risolutezza. Mai più! In milioni sono morti qui. Ma qui, qualsiasi possa essere la fede che si possiede, qualsiasi possa essere la terra da cui si proviene, qui, ogni uomo ed ogni donna diventano ebrei, altrimenti cessano di essere umani. Qui il grido umano diventa il grido dell’ebreo, altrimenti si è spiritualmente morti. Mai più! Mai più! Poi viene il grido che è preghiera".
Ho scritto le parole di questa relazione a poche ore dal mio ritorno da un rito funebre a commemorazione delle vittime del Massachusetts colpite dagli attacchi terroristici dell’11 settembre. È stata una commemorazione interreligiosa. È stata recitata la lunga litania dei nomi delle vittime. Ciascun nome rivela lo strazio di famiglie e di amici. Ho fatto ricorso alle parole del salmo: "Taci, e sappi che io sono Dio". Mancano parole per le atrocità di Auschwitz. Mancano parole anche per gli eventi dell’11 settembre che il Santo Padre ha definito "attacchi contro l’umanità".
Il male dell’11 settembre non può essere in nessun modo scusato o sminuito. Niente può legittimare l’eccidio di migliaia di persone innocenti.
Questi attacchi hanno colpito l’arcidiocesi di Boston in una maniera particolare perché due dei voli sono partiti da Boston. Il male di questi irresponsabili attacchi però non riesce a frustrare la capacità di Dio di trarre bene dal male.
Uno dei più evidenti risultati di questi attacchi è stata una intensificazione della manifestazione di fede. Chiese nella mia arcidiocesi e in tutto il Paese hanno registrato un incremento di frequenza. Lo stesso fenomeno è stato registrato anche da altre denominazioni religiose. Dopo una messa, il 12 settembre, un giovane ha detto: "Grazie per avermi ricordato come sia importante la fede nella mia vita". Il forte shock, il dolore e l’ira di questi giorni sono stati ridimensionati dalle risorse della fede.
La mia nazione ha dimostrato una effusione di carità senza precedenti. L’eroismo dimostrato dai vigili del fuoco, dalla polizia e dagli addetti alla salute è stato edificante. L’11 settembre ha fatto emergere il riconoscimento del contributo al bene pubblico che viene dalle persone del servizio pubblico troppo spesso non apprezzato. Le espressioni di simpatia giunte da dovunque hanno rafforzato il senso di solidarietà umana.
La virtù del patriottismo, che può facilmente languire in tempi normali, è riapparsa in una maniera che non si era vista dalla seconda guerra mondiale. Per molti cittadini americani troppo giovani per ricordarsi degli anni di guerra, questa esperienza di patriottismo è qualcosa di completamente nuovo.
Un altro aspetto positivo del post 11 settembre per il mondo americano è il rafforzamento dei legami interreligiosi. C’era timore che musulmani ed arabi divenissero oggetto di discriminazione; ci sono stati infatti alcuni incidenti isolati del genere. In Boston, la comunità interreligiosa ha lavorato insieme con un rinnovato senso di impegno.
Il 20 settembre il presidente Bush ha invitato a un meeting alla Casa Bianca ventisei rappresentanti delle diverse comunità religiose negli Stati Uniti. Ha chiesto i nostri suggerimenti e le nostre preghiere.
Nel giro di poche settimane i vescovi degli Stati Uniti, giovedì scorso, 15 novembre 2001, hanno reso pubblico un messaggio pastorale intitolato: Vivere con fede e speranza dopo l’11 settembre.
Abbiamo inquadrato gli eventi dell’11 settembre in un più vasto contesto di problemi che devono essere affrontati più efficacemente dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale per raggiungere lo scopo della giustizia e della pace.
Tra i problemi: il conflitto fra Israele e palestinesi, Iraq ["la sofferenza del popolo dell’Iraq", ha specificato Law, discostandosi dal testo scritto, ndr], Sudan, lo scandalo della povertà, diritti umani, armi di distruzione di massa e commercio di armi, rafforzamento delle Nazioni Unite e altre istituzioni internazionali. Come vescovi abbiamo dato testimonianza che la Chiesa deve mettere la sua autorità morale al servizio della solidarietà umana.
Ci sono quelli che vorrebbero denunciare la globalizzazione come un male, definitivamente, senza alcun pregio. È difficile per noi condividere questa posizione perché come Chiesa abbiamo per il mondo una visione di solidarietà globale. È pur vero che la globalizzazione, come concetto generico, comporta degli aspetti profondamente negativi, come è evidente in alcune conseguenze della globalizzazione economica e della globalizzazione dei mezzi di intrattenimento. La Chiesa deve instancabilmente sforzarsi di dare un significato umanitario alla globalizzazione. Un reciso ripudio della globalizzazione, però, senz’altro non è un’opzione praticabile ai nostri giorni.
Fino a che punto la globalizzazione ci segna la strada del futuro? Ci si può domandare se siamo incappati in una traiettoria inevitabile di storia che spinge verso una omogeneizzazione culturale alimentata da una globalizzazione dalle molte facce.
Samuel Huntington ha scritto un contributo interessante il cui titolo, da sé, dice il contenuto: Lo scontro delle civiltà. Egli afferma: "Mentre le comunicazioni crescenti, il commercio ed il turismo moltiplicano l’interazione tra le civiltà, la gente dà rilevanza sempre maggiore alla propria identità specifica". Huntington cita, condividendolo, il lavoro di un altro studioso, Roland Robertson, il quale scrive che "in un mondo sempre più globalizzato, caratterizzato inoltre dalla coscienza diffusa di tali meccanismi, esiste una autocoscienza esacerbata della propria identità specifica, della propria etnicità e del proprio modo di concepire la vita sociale" (Roland Robertson, Globalization Theory and Civilizations Analysis, in Comparative Civilizations Review, 17 [Fall 1987] p. 22).
La conferenza del cardinale Law 
nella basilica di San Giovanni in Laterano

La conferenza del cardinale Law nella basilica di San Giovanni in Laterano

Alcuni vedrebbero con trepidazione e altri con speranza l’egemonia occidentale delle comunicazioni. Huntington osserva: "La comunicazione globale è una delle manifestazioni più importanti del potere occidentale. L’egemonia occidentale, però, incoraggia i politici populisti in società non occidentali a denunciare l’imperialismo culturale occidentale e a organizzare il loro pubblico a difendere la sopravvivenza e l’integrità della loro cultura indigena".
Dall’11 settembre il libro di Huntington, Lo scontro delle civiltà, ha rimontato la lista dei best sellers. Questo fatto è particolarmente significativo, dal momento che il suo libro è uscito nel 1996. È ovvio quindi che la sua tesi è vista come la chiave per una interpretazione storica degli eventi dell’11 settembre. È vero che questi attacchi terroristici servono come preludio al conflitto del nuovo secolo tra quelle che Huntington chiama le civiltà occidentali e islamiche?
Mentre nego che gli attacchi terroristici dell’11 settembre siano una responsabilità dell’islam, essi focalizzano nondimeno la nostra attenzione su un possibile scontro fra le due maggiori civiltà. I seguenti due paragoni mettono in luce la possibilità di un serio scontro. Nel 1995 l’Occidente aveva il 13,1% della popolazione mondiale sotto il suo controllo politico in paragone al 15,9% sotto il controllo politico dell’islam. In contrasto, nel 1992 il prodotto mondiale lordo era 48,9% per l’Occidente e 11,1 % per i Paesi islamici. Il divario è ancora più pronunciato se si paragona l’Occidente con le civiltà africane e indù.
Che cosa dice tutto questo alla Chiesa all’alba del nuovo millennio? Alcuni osservatori laici come Huntington insisterebbero nel dire che le differenze tra le civiltà sono le vie con cui noi tendiamo a stabilire le nostre identità distinte.
La Chiesa, d’altra parte, è rivolta a tutti i popoli e a tutte le civiltà. La nostra è una missione universale. Noi crediamo che "non c’è nessun altro nome sotto il cielo dato ai mortali per cui dobbiamo essere salvati" (At 4,12).
Alcuni suggerirebbero che la globalizzazione potrà senz’altro esasperare lo scontro delle civiltà, e quindi esasperare divisioni lungo linee religiose, dato che la religione è un fattore così dominante nel definire le distinzioni di civiltà.
Come potrà la Chiesa essere fedele a se stessa in questo nuovo millennio? Il nostro dovere di creare un mondo contrassegnato da unità, giustizia e pace contraddice forse la nostra missione di evangelizzazione? Per niente. Noi siamo nel mondo come luce per le nazioni, "lumen gentium". Perché la Chiesa è santa, perché la Chiesa riflette il volto di Gesù che è pace per noi. Gesù è l’uomo nuovo che a noi rivela Dio e a noi rivela anche cosa vuol dire essere pienamente uomo.
L’insistenza di papa Giovanni Paolo II alla chiamata alla santità corrisponde alla situazione contemporanea. Più di qualunque altra cosa la Chiesa ha bisogno di quel rinnovamento profondo che permetta al volto di Cristo di risplendere nei suoi membri. Non è questo il modo più efficace di evangelizzare, di proclamare la buona novella della salvezza? La Parola di Dio riscontrata nella santità di un credente è la predica più efficace. Non potrò mai dimenticare l’impatto potente di Madre Teresa in una sua visita a un carcere nella mia arcidiocesi. Ha toccato la vita di centinaia di persone che erano presenti, e ha trasformato il duro ambiente di quella prigione.
La testimonianza della santità è eminentemente efficace nell’amore agli altri. Mentre il nuovo millennio ci chiama con speciale urgenza al dialogo della verità con gli altri cristiani e con altre religioni, quel dialogo deve essere sempre accompagnato dal dialogo dell’amore.
Vi è una urgenza tutta particolare di rafforzare un dialogo di verità e di amore con la religione ebraica e l’islam. Insieme proclamiamo la credenza in un solo Dio. Se da una parte dobbiamo ingaggiare un dialogo di verità riguardo questo articolo primordiale di fede, questo dialogo si sviluppa meglio in un ambiente creato dal dialogo di amore. L’amicizia ci permette di discutere onestamente le differenze e di accettare i punti di divergenza. Il vero dialogo ci invita a imparare vicendevolmente gli uni dagli altri.
Il nuovo millennio non è solo per noi, ma per tutta l’umanità. Mentre una visione secolaristica può essere perdonata per la sua predizione di un conflitto senza fine tra diverse religioni, i cattolici, fedeli alla loro chiamata alla santità, alla solidarietà umana e alla evangelizzazione, non possono accettare questa inevitabilità. La mia più lunga esperienza in un dialogo di amore e di verità con i fratelli ebrei, e il mio incipiente dialogo, prima di tutto in amore, con i fratelli musulmani, mi incoraggiano a gettare le reti al largo con grande fiducia.
L’11 settembre si prospetta come uno spartiacque storico. Ci rivela con nuova intensità la perversione della religione quando il piano provvidenziale di Dio, che è piano di solidarietà umana, viene rimpiazzato dal fratricidio.
Il compito di evangelizzazione, che è nostro, presenta sfide stimolanti per la Chiesa nel nuovo millennio. Come l’evangelizzazione è impossibile senza una ferma base di fede, così il dialogo ecumenico e interreligioso deve fondare le radici in una ferma aderenza alla fede.
Quando la Dominus Iesus fu pubblicata, alcuni critici la giudicarono un documento regressivo nel dialogo ecumenico e interreligioso. Non sono per nulla d’accordo. La chiarezza di questo documento nella discussione di temi di fede fondamentali aiuta a preparare un fondamento sano per un dialogo ecumenico e interreligioso. Noi non siamo definiti da quello che non siamo, ma da quello che siamo. Quello che siamo è definito da Cristo Gesù. Noi non conosciamo noi stessi se non conosciamo Lui. Se noi non conosciamo noi stessi non potremo entrare in un efficace dialogo né di verità né di amore.
La Novo millennio ineunte ci chiede di gettare le reti al largo. La fede nel Signore Gesù ci permette di fare esattamente questo con grande fiducia. Questa nostra speranza è stata messa alla prova dall’11 settembre, ma la nostra fede in Cristo, crocifisso, morto e risorto, ci permette di andare avanti con fiducia. È attraverso la santità che noi possiamo efficacemente evangelizzare. È nel dialogo di verità e amore che la Chiesa può meglio servire la causa di solidarietà umana attraverso la promozione della giustizia e della pace.

Bernard Francis Law


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