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NIGERIA
tratto dal n. 11 - 2001

Incontro con l’arcivescovo di Abuja

Il tranello della gu erra di religione


«I medesimi individui che s’infiltrano nei villaggi a spargere il seme della guerra santa islamica, una volta giunti nella grande città, siedono nello stesso club con i cristiani, sono membri dello stesso board di direttori di banche, e lì non si parla più di religione… Ma anche noi, capi religiosi cristiani e cattolici, dobbiamo stare attenti, perché anche i “nostri” tentano di strumentalizzarci». Parla John Olorunfemi Onaiyekan presidente della Conferenza episcopale nigeriana


di Giovanni Cubeddu


I tragici fatti di Kano, accaduti a metà ottobre, erano riusciti a guadagnare l’onore della prima pagina, rubando qualche riga al diario di guerra che stiamo tutti sfogliando dall’11 settembre. Kano è il capoluogo di uno degli Stati del nord della Repubblica Federale di Nigeria, uno di quei nove Stati dove le amministrazioni locali hanno deliberato che il diritto che regola la vita dei cittadini sia la sharia islamica, nonostante la Costituzione descriva la Nigeria come uno Stato non confessionale. Dal 14 al 16 ottobre ci sono stati duecento morti in scontri tra cristiani e musulmani (ma molti dei giovani coinvolti erano poveri disoccupati…).
Alcuni rappresentanti delle comunità cristiane vengono informati sui loro diritti a Gusau; sotto, i cristiani abbandonano una zona sotto il controllo dei musulmani a Jos

Alcuni rappresentanti delle comunità cristiane vengono informati sui loro diritti a Gusau; sotto, i cristiani abbandonano una zona sotto il controllo dei musulmani a Jos

Con i suoi 126 milioni di anime la Nigeria è il più popoloso Stato dell’Africa, uno di quelli che la geopolitica indica tra i protagonisti del riscatto del continente africano.
Abbiamo incontrato John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja e presidente della Conferenza episcopale, chiedendogli un’analisi della situazione nigeriana.
"La popolazione è al 40 per cento cristiana, di cui il 20 per cento cattolica, l’altra metà è musulmana, e vi è pure una quota del 10 per cento di religioni tradizionali" spiega Onaiyekan. "Ma all’estero credono che siamo un Paese islamico, perché così vorrebbe l’establishment nigeriano. E di fatto i precedenti governi ci hanno fatto entrare nell’Organizzazione della Conferenza islamica. Affiliazione che però nel Paese si sta ridiscutendo".

È un sintomo dei problemi di convivenza tra le due religioni?
JOHN OLORUNFEMI ONAIYEKAN: Le spiego. Vent’anni fa si diceva che la regione "cattolica" fosse quella degli ibo, oggi anche altre tribù sono cattoliche e in percentuale anche maggiore. Così è ad esempio nello Stato del Benue, terra degli idoma e dei tiv. Il nostro cardinale nigeriano Francis Arinze è un ibo, io invece sono uno yoruba (tribù nella quale non troverete moltissimi cattolici). Nell’estremo nord del Paese non vi sono cristiani come invece ve ne sono al centro, e vivono tranquillamente mescolati ai musulmani. Sono esempi per dire che la realtà della Nigeria è complessa, la distribuzione territoriale del cristianesimo e del cattolicesimo non è uniforme e l’appartenenza religiosa è solo una delle etichette che caratterizzano un nigeriano. Infatti, ho detto che io sono yoruba perché, se vogliamo parlare dei problemi di convivenza tra cristiani e musulmani in Nigeria, bisogna prima sapere che vi sono tribù nelle quali le due religioni convivono tranquillamente. Quando un fatto attiene alla vita della tribù, cristiani e musulmani lo affrontano assieme, magari a spese di un’altra tribù. Nella mia diocesi di Abuja vi sono cattolici di ogni etnia, e si vede che hanno diverse sensibilità nella fede a seconda della provenienza, mentre per certe questioni "combattiamo" tutti uniti. Personalmente trovo buona questa convivenza, perché serve a temperare gli animi, mentre si nota subito che laddove vi è intolleranza religiosa l’etichetta cristiana è stata sovrapposta al conflitto etnico-tribale. Che dire? È improbabile che nei territori yoruba ci si combatta per la fede. È assolutamente impossibile per un cristiano yoruba affermare che tutti i musulmani sono cattivi, perché sicuramente nella stessa famiglia c’è uno zio musulmano (e viceversa). A differenza degli ibo, che non hanno familiarità coi musulmani, oppure dei musulmani del nord del Paese, che pensano ai loro concittadini cristiani più o meno solo in termini di "kafir", cioè pagani infedeli. Credo comunque che la mobilità sociale in Nigeria faciliterà sempre più il vivere insieme.
Come vive la Chiesa cattolica questa realtà complessa?
ONAIYEKAN: I cattolici rappresentano il gruppo cristiano più organizzato, hanno maggiore accesso all’istruzione (il che li rende influenti ben oltre il loro 20 per cento) ed esercitano un forte influsso nel Paese. Anche le decisioni dei vescovi ottengono ascolto.
Il cristianesimo in Nigeria è la storia di un successo grande, considerando che in molte zone la nostra fede esiste da meno di un secolo. Io sono un cattolico di seconda generazione, il mio papà, morto cinque anni fa, è stato uno dei primi giovani del nostro villaggio ad aver accolto la fede, all’età di vent’anni. Fino ad allora non aveva saputo nulla del cristianesimo…
…E come è giunto alla fede?
ONAIYEKAN: Attraverso un ragazzo del nostro villaggio, che incontrando i missionari di un villaggio vicino è diventato cattolico, e ritornando ha iniziato da noi la Chiesa cattolica. Quando poi è nata una comunità, è andato a cercare nella città più vicina un missionario irlandese che sapeva lì, e lo ha invitato a vedere la nostra comunità. È iniziato tutto così, ed è la medesima storia di tanti villaggi e città della Nigeria. Quando i missionari arrivano, cercano un catechista che si prenda cura di quelli del villaggio come un pastore, finché non si crea una parrocchia con un missionario residente. In seguito tanti piccoli villaggi danno successivamente vita ad una diocesi: così si è sviluppata la Chiesa. Nel giro di ottanta anni è così cresciuta che si deve ammettere il grande aiuto dello Spirito Santo. Non solo per il numero delle conversioni, ma per l’impegno dei laici nella vita pubblica, le vocazioni sacerdotali e quelle religiose femminili, così che ormai pressoché tutti i vescovi nigeriani sono nativi.
Inoltre, se si riconosce l’importanza della Nigeria nel contesto africano — 126 milioni di persone più molte altre "disperse" nel continente, tanto da giustificare il detto che "ogni cinque africani uno è nigeriano" —, e se si tiene conto della migliore struttura sociale del Paese in paragone con quasi tutti gli altri Paesi africani, si capisce anche l’importanza della nostra Chiesa (e questo lo possono testimoniare i missionari che conoscono l’Africa).
Lei all’occorrenza non teme di usare parole esplicite verso i presidenti nigeriani. Lo ha fatto di recente anche con l’attuale, Olusegun Obasanjo… Che rapporto ha la Chiesa col governo?
ONAIYEKAN: Il patrimonio della nostra dottrina sociale e la chiara impostazione dei rapporti con lo Stato permettono alla Chiesa cattolica di inviare indicazioni precise al governo. E quando vediamo i nostri governanti, e prima ancora i militari, tralignare, glielo diciamo. La nostra conferenza episcopale non è abituata al politically correct… Anche il Signore non è che parlasse rispettando sempre le sensibilità di tutti. Qualcuno arriva a pensare che siamo contro il governo: ma assolutamente no!, e possiamo dare prova del sostegno dato quando le autorità hanno seguito una politica utile al popolo. Ma se il governo non si occupa dei poveri del nostro Paese dobbiamo tacere? No… E guardi che noi molto raramente lottiamo per i cosiddetti "diritti" della Chiesa… piuttosto ci occupiamo di giustizia sociale, o di ospedali e scuole cattolici, intendendo con ciò non una battaglia per i diritti della Chiesa, ma il desiderio che chi è al potere non ci impedisca di aiutare la povera gente, mentre avalla lo spreco, se non il furto, dei soldi pubblici, cioè soldi del popolo.
Se talvolta questioniamo col governo perché ci fa difficoltà per un terreno dove edificare una chiesa o perché stanzia denaro solo per attività religiose islamiche, non è in sé una battaglia religiosa, ma solo di giustizia distributiva. Per quanto riguarda la fede abbiamo la massima libertà, possiamo celebrare la messa, e nessuno ci impedisce di tenere i seminari.
Ma la gente partecipa alla messa?
ONAIYEKAN: Se uno manca gli chiediamo: "Che t’è successo domenica?". Perché normalmente chi è cattolico viene a messa, e ciò vale invero anche per le altre comunità cristiane nigeriane. Così la percentuale di quelli che in Italia chiamate i "praticanti" è molto alta. Compresi quelli che hanno qualche problema di diritto canonico: i divorziati risposati ad esempio. Forse qualcuno di loro, pur senza poter prendere l’eucarestia, viene a messa ogni giorno.
Il Papa il 17 ottobre scorso ha ricordato il massacro di Kano, affermando che "chi è all’origine di questi atti ingiustificabili ne porta la responsabilità davanti a Dio".
Un poliziotto in un’area degli scontri tra cristiani e musulmani a Kano

Un poliziotto in un’area degli scontri tra cristiani e musulmani a Kano

Lei di certo sa di chi sono queste responsabilità…
ONAIYEKAN: Cristiani e musulmani non si combattono semplicemente in quanto tali, no. Al contrario! Nella grande maggioranza dei casi viviamo pacificamente, perché siamo tutti nigeriani: cristiani e musulmani, al lavoro negli stessi uffici, nello stesso esercito… Non ci alziamo la mattina coll’ansia dei rapporti tra cristiani e musulmani.
Circa gli scontri, la motivazione religiosa è un’aggiunta posticcia. La ragione primaria è politico-economica: quando c’è disaccordo nella divisione delle risorse c’è lotta, e allora si va a cercare un’etichetta. Che può essere quella "hutu-tutsi", ad esempio: se gli hutu fossero cristiani ed i tutsi musulmani nessuno parlerebbe più di scontri tra hutu e tutsi in Ruanda, ma di guerra religiosa. In Irlanda del Nord la battaglia tra cattolici e protestanti è la falsa icona di un conflitto politico-economico. Così in Nigeria, sull’accaparramento delle risorse s’è innestata una manipolazione in cui ciascuno usa le armi che può contro i rivali: come quei governanti che negli Stati del nord hanno decretato l’applicazione della sharia. Se davvero vi fosse una guerra religiosa la richiesta della sharia sarebbe inizialmente venuta dai mullah e non da certi personaggi politici. Sfortunatamente è molto facile incitare la povera gente alla battaglia dietro un capo che la sobilla dicendo che la comune fede viene messa in causa (o che la tribù viene attaccata).
I medesimi individui che s’infiltrano nei villaggi a spargere il seme della guerra santa islamica, una volta giunti nella grande città siedono nello stesso club con i cristiani, sono membri dello stesso board di direttori di banche, e lì non si parla più di religione…
Ma anche noi, capi religiosi cristiani e cattolici, dobbiamo stare attenti, perché anche i "nostri" tentano di strumentalizzarci. Ogni tanto qualcuno arriva da me e mi dice: "Guarda, vescovo, che cosa stanno facendo questi musulmani…!". "Quali musulmani?", chiedo io: molto spesso si tratta solo di rivali di quell’uomo, che quando perde una battaglia politica viene e si sbraccia ("guarda i musulmani"), ma se ha successo non viene a rimarcare che ha vinto perché cattolico, o se lo fa, mente in cuor suo… Non possiamo certo impedire a taluni di fare i loro giochi, ma almeno stiamo all’erta…
Tante volte la fede viene manipolata e secondo me questo è blasfemia.
Questa lettura della vicenda nigeriana la possiamo riportare, secondo lei, alla situazione internazionale dopo l’11 settembre?
ONAIYEKAN: Certamente, certamente. Solo che al livello mondiale il potere che conta non ha certo bisogno della Chiesa. E anche qui l’islam c’entra nel modo sbagliato: Bin Laden è come quell’uomo che gira per i villaggi della Nigeria ad incitare alla jihad, ma solo per raggiungere i suoi fini.
Io credo che però il mondo vada verso il momento della verità, e che non ci si potrà più nascondere dietro delle maschere della "religione"… o anche della "democrazia", del mondo "libero". Libero per chi? Dalle mie parti ancora non ci dimentichiamo di quando i Paesi cosiddetti liberi hanno sostenuto le dittature in tanti Stati africani… E adesso continuano a mentirci.


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