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ITALIA
tratto dal n. 09 - 2002

Il pastore e i suoi “infedeli”


Ad agosto dieci famiglie di immigrati rimasti senza casa avevano occupato il sagrato del duomo di Treviso, finendo su tutti i giornali. Monsignor Paolo Magnani offrì la collaborazione della sua diocesi


di Davide Nordio


L’incontro tra il vescovo Paolo Magnani e gli immigrati che lo scorso agosto, 
essendo rimasti senza casa, hanno occupato il sagrato del duomo di Treviso

L’incontro tra il vescovo Paolo Magnani e gli immigrati che lo scorso agosto, essendo rimasti senza casa, hanno occupato il sagrato del duomo di Treviso

Ciò che doveva dire, nelle roventi giornate di fine agosto, l’aveva detto dal pulpito e con alcune misurate dichiarazioni al settimanale diocesano La vita del popolo. Poi, anche per timore di suscitare nuove polemiche, ha preferito tacere. Oggi però per 30Giorni monsignor Paolo Magnani, 76 anni, dal 1989 vescovo di Treviso, ha accettato di tornare ai fatti di quei giorni e di raccontare il rapporto con quelli che i giornali hanno da subito chiamato “i suoi infedeli”.

L’opinione pubblica è stata positivamente colpita dall’atteggiamento della Chiesa, e del vescovo in particolare, nel cercare una soluzione al problema. Non ha mai avuto timore di essere frainteso o strumentalizzato?
PAOLO MAGNANI: Il vescovo per sua natura deve annunciare la verità e operare nella carità, soprattutto deve scegliere coloro che hanno più bisogno e sono più abbandonati. Non è suo compito provocare e alimentare polemiche, o peggio, favorire scontri personali. Questo è sempre stato il mio comportamento. Vorrei precisare che il vescovo affronta questi problemi in un’ottica pastorale e non è detto che la specificità di tale ottica si identifichi con quella politica.
Da anni Treviso, provincia tra le più ricche d’Europa, è meta di immigrazione. Può ricordare quali sono le principali iniziative della Chiesa trevigiana su questo campo?
MAGNANI: Fin dal primo presentarsi del fenomeno, la Chiesa trevigiana si è attivata per dare il suo contributo, soprattutto per offrire un tetto stabile agli immigrati regolari in cerca di abitazione. La diocesi ha messo a disposizione 22 strutture distribuite in locali parrocchiali, appartamenti dell’Istituto per il sostentamento del clero, prefabbricati, per un totale di 190 posti. La Caritas poi coordina due centri di accoglienza, uno per donne e l’altro per gli uomini extracomunitari. Solo a Treviso poi la San Vincenzo gestisce 12 appartamenti. Ci sono poi tutte le attività di accoglienza nelle varie parrocchie o che si attivano in casi di emergenza. Certo è sempre poco ma la Chiesa può solo contribuire a risolvere il problema.
A volte si ha l’impressione che su temi come questo la Chiesa diventi protagonista suo malgrado, nella latitanza delle istituzioni pubbliche. Cosa ne pensa?
MAGNANI: È l’istituzione civile che ha il compito di governare un territorio, sia dell’indigeno come di chi ne viene a far parte. Un buon amministratore sa armonizzare tutti gli eventi che si trova ad affrontare. Se la Chiesa diventa protagonista non avviene per un volersi sostituire, ma solo per amore verso la vita e ogni essere umano e lo fa senza doppi fini, o per un guadagno.
Il presidente di Unindustria Treviso, Sergio Bellato, ci ha dichiarato di apprezzare il lavoro svolto dalla diocesi per gli immigrati. «A volte però», ha aggiunto, «la Chiesa dovrebbe insistere sui doveri, non solo sui diritti degli stranieri».
MAGNANI: Aiutare chi ha bisogno non significa insegnare a non rispettare i propri doveri. Più si favorirà l’integrazione e più le persone ospiti di un Paese capiranno anche i propri doveri e le responsabilità nei confronti della società che li ospita. Certamente il problema dell’integrazione è complesso e con probabilità non sarà la generazione attuale a risolverlo, tuttavia l’unica strada per insegnare anche i doveri è il dialogo che favorisce l’integrazione.
Ci può essere il pericolo che da una parte le strutture ecclesiali predichino (e pratichino) l’accoglienza, mentre la “base” dei cristiani resti abbastanza indifferente?
MAGNANI: Il vero cristiano, che si dica di “base” o semplicemente innamorato di Cristo Gesù, non l’ho mai visto indifferente al povero, al bisognoso. A volte è ingannato dal clima di paura che viene instaurato nei confronti di questi fratelli più poveri. Si crea così una diffidenza che nasce dal giudicare queste persone con i luoghi comuni che vengono inculcati.
Nei giorni delle polemiche è riemersa una vecchia accusa: la Chiesa dimenticherebbe la difficile convivenza tra cattolici e islamici. Come risponde, visto poi che i suoi “ospiti” erano tutti musulmani?
MAGNANI: Sono perfettamente cosciente delle difficoltà. Nell’omelia del 25 agosto chiarivo proprio questo, dicendo: «Da sedici secoli si ripete ogni domenica, in questa cattedrale, da parte di tutti i battezzati, questa professione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, sei il Salvatore che Dio ha inviato per me e per tutti”. Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa. Fra poco la professeremo insieme nel Credo. Questa fede ci distingue dai seguaci di altre religioni: ci distingue dai buddisti e ci distingue dai musulmani, poiché il Corano non accetta che Gesù sia il Salvatore, l’unico Salvatore e il Figlio di Dio. Questa differenza di fede tra noi e loro è irriducibile ma non è irriducibile il fatto che i loro bambini nascono come i nostri, che crescono nella vita, che gioiscono e soffrono: in una parola che tutti noi nasciamo ci ammaliamo e anche moriamo».
Il direttore della rivista multietnica Cittadini dappertutto scriveva sul Gazzettino che dalla spettacolarizzazione delle vicende degli immigrati possono trarre vantaggio solo i settori estremi. Condivide?
Alcuni immigrati durante la protesta

Alcuni immigrati durante la protesta

MAGNANI: Spesso il povero viene strumentalizzato; anche in chi dà le notizie occorrerebbe una saggezza che aiuti a dare il giusto peso agli avvenimenti, senza voler cercare a tutti i costi la notizia, o peggio contrapporre un gruppo ad un altro. Se tutti veramente cercano il bene di questi poveri, perché non cercare le strade che uniscono invece di quelle che dividono? Qui a Treviso c’è stato un tentativo di strumentalizzazione da parte di alcuni esponenti no global, legati ai centri sociali di Mestre e di Padova. Ma la scelta della soluzione è stata tenuta stretta sia nelle mani della Chiesa che della Prefettura. D’altra parte la strumentalizzazione non è frutto dell’evento in sé, ma della gestione che ne fanno i mezzi di comunicazione sociale. Talvolta essi hanno bisogno di asservire l’evento alla loro ideologia, vuoi dei settori di estrema sinistra che di estrema destra.
Ha avuto riscontri dagli altri vescovi veneti in questi mesi?
MAGNANI: Posso dire di aver ricevuto consensi dai miei confratelli dell’episcopato triveneto. Vari settimanali diocesani hanno ripreso gli avvenimenti di Treviso approfondendo e riflettendo sulla loro realtà. Infine ho avuto riscontri favorevoli da fedeli di diocesi dove si trovano soprattutto i nostri emigranti e anche dal settimanale di una diocesi austriaca.
Una curiosità: al di là delle roboanti dichiarazioni pubbliche, qual è la sua impressione del sindaco di Treviso sul piano dei rapporti personali?
MAGNANI: Con le autorità costituite a qualsiasi livello, e durante le celebrazioni ufficiali, l’atteggiamento del vescovo è per tutti di cortesia, di rispetto e di buona educazione. È noto a tutti, e anche il sindaco ne è consapevole, che esiste una divergenza di opinione e di azione sulla questione degli immigrati, che si è resa ancora più palese in occasione della recente accoglienza degli immigrati presso il pronao della cattedrale. Le divergenze da parte mia non sono mai state tradotte in questioni personali.
Che esperienza è stata per lei come pastore quella vissuta in queste settimane?
MAGNANI: Come pastore è stata un’esperienza che mi ha rinviato ad approfondire ulteriormente l’identità e la natura del ministero episcopale. Tale ministero nella Chiesa di Gesù scaturisce dalla figura del Buon Pastore, che si prende cura di tutti, che corre in soccorso specialmente di coloro che mancano del necessario per vivere in dignità e libertà. Nello stesso tempo, tutto è fondato nella preghiera personale, nel rapporto intimo con Gesù il Cristo. Da tale rapporto viene quella luce che abilita a leggere gli eventi e le condizioni delle persone alla luce del progetto di Dio per l’umanità intera. E il vescovo è il primo chiamato a far strada a questo progetto.


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