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MOSTRE
tratto dal n. 11 - 2001

Un’arte che poco stupisce e molto stanca


La 49ª edizione della Biennale di Venezia doveva essere una “platea dell’umanità” ma è stata tutt’altro...


di Carlo Montarsolo


La 49� Esposizione internazionale d’arte nei Giardini-Arsenale a Venezia, è presentata come una "nuova Biennale", "platea dell’umanità", all’insegna di ampliamenti e cambiamenti, "con rinnovata carica vitale nelle tecniche e nei contenuti".
In effetti, lo spettacolo che si offre agli occhi del coraggioso visitatore (la fatica nel girare per la Biennale è tanta), risulta costituito da spazi e novità in numero maggiore rispetto alle Biennali precedenti.
Elencare tutte le "scenografie" e gli oggetti che esse contengono, individuarli e capirne il significato, è compito arduo. In una recente intervista per un incontro-riflessione a Salerno, Gillo Dorfles ebbe a dire che "nel nuovo millennio, l’arte è in crisi". A Venezia, ci si domanda, l’arte è ancora arte? Oppure è un riflesso in negativo del mondo, assemblando oggetti di ogni genere, talora deprimenti, installati in costose, esagerate scenografie, spesso frutto di scontata immaginazione? La Biennale viene annunciata, come in un proclama, "platea dell’umanità", "plate Humankind", "plateau der menschheit", "plateau de l’humanité". E inoltre: un luogo dove "si guarda guardati", dove "il pubblico è spettatore ma anche protagonista...", "un ampio spazio in cui si incontrano gli artisti, le opere e il pubblico…".
Questo sfoggio di lingue diverse, i concetti dell’"essere guardati" e dello "spettatore che diventa protagonista, dell’incontro fra gli artisti" (in due ore di cammino, non ne ho visti), francamente non convincono.
Non convince codesta grandiosa e enorme "macchina" che pretende di essere analizzata, capita e goduta dalla gente comune (che è poi quella che conta, cioè il maggior numero di persone visitanti, la cui affluenza assicura il successo e l’utilità di una mostra così importante). E non dagli sparuti gruppetti di tecnici responsabili dell’allestimento o degli "addetti" (esperti, giornalisti, inviati, mercanti) i quali si aggirano per le sale, ognuno con una diversa opinione sulla validità delle opere presentate.
Harald Szeema, direttore del settore arti visive della Biennale, è convinto che alla "platea dell’umanità", da lui inventata, il pubblico, la gente, possa accedere, cogliendo "...l’affermazione di responsabilità di fronte agli avvenimenti del nostro tempo...". Ma il signor Szeema ha provato a scendere dalla "piattaforma" e a chiedere ai visitatori cosa hanno capito e cosa pensano delle situazioni, dei sentimenti, delle narrazioni che arrivano dai giovani invitati alla Biennale e dai loro complicati ed ambiziosi elaborati?
Può il visitatore rinunciare del tutto all’ansia e alla gioia di veder rinnovare — specie nei giovani partecipanti — le certezze e la gloria dell’immagine dipinta, così come l’hanno concepita e trasformata i grandi del XX secolo: da Cézanne (maestro dell’umanità) a Mondrian, a Braque, a Picasso, a Modigliani, a Morandi, da Apollinaire definiti "apportatori di iridescenza nell’intelletto"?
La 49� Biennale di Venezia è forse nata come piattaforma di esigenze anche politiche, spesso malate di interessi oscuri e di novità a tutti i costi, chiamando a raccolta giovani operatori sollecitati da critici pronti ad incensarli e così poco attenti a stabilire l’effettivo valore dei loro manufatti?
Analizzare opera per opera, installazione per installazione, artifici tecnici di alta e sofisticata luminosità elettrica, bizzarrie vane dell’immenso plateau, è una passeggiata che poco allieta, poco stupisce e molto stanca. Se, come diceva Longanesi "l’arte è un incidente dal quale non si esce mai illesi" questa 49� Biennale di Venezia, ne è l’inconfutabile prova. La gente ne esce disillusa. Ho chiesto un parere a persone di ogni ceto sociale e culturale, tutti mi hanno risposto nello stesso modo. Si annuncia che gli artisti "raccontano le molteplici dimensioni dell’uomo contemporaneo, guardando contemporaneamente a quelle personalità che hanno contribuito a realizzare le rivoluzioni artistiche del XX secolo presenti in mostra, senza alcuna divisione di tempo e di spazio…".
Basta, per affermare ciò, l’"utopia sociale" di Joseph Beuys con la sua scultura La fine del XX secolo, che apre una lunga teoria di opere dall’Arsenale alle Corderie "pronte a stupire il pubblico di sorpresa in sorpresa..."?
La "platea dell’umanità" sembra non porsi "limiti geografici e tematici" e "ha raccolto la sfida di ricevere il contributo del cinema, della musica, del teatro, della danza".
Ci si domanda se, in tal modo, la Biennale di Venezia non risulti snaturata nel suo stesso compito di Esposizione internazionale d’arte con netta preponderanza (come è stato per tante edizioni) di pittura, scultura e grafica.
Infine ci si chiede, al vertice della incomprensibilità delle "sorprese" proposte, cosa c’entri Venezia, gioiello d’arte, con questo "altopiano" di opere confezionate per l’occasione, inviate da artisti di tutto il mondo. Ma, come scrisse Oscar Wilde, "è sempre con le migliori intenzioni che si sono prodotte le opere peggiori ed inutili".


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