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RISCOPERTE
tratto dal n. 10 - 2001

Kolvenbach: «Ignazio e la “romanità” della Chiesa»




«Il motivo di questa utilizzazione passiva delle università è il desiderio di essere pellegrini sull’esempio degli apostoli, di essere in missione, di vivere di elemosine dando gratuitamente ciò che avevano ricevuto da Dio gratuitamente, di essere apostolicamente disponibili e quindi mobili».
Il quarto centenario dell’ingresso di Matteo Ricci a Pechino alla corte dell’imperatore coincide anche col 450° anniversario di quell’altra grande gloria della Compagnia di Gesù che è l’Università Gregoriana (quello che all’epoca di Ricci e per secoli ancora era chiamato Collegio Romano, aperto il 22 febbraio 1551). Ma, cosa che non a tutti è nota, mentre la vocazione missionaria in direzione dell’Oriente medio e lontano fu fin dall’inizio parte della vocazione di Ignazio e dei suoi primi compagni, non così fu per la vocazione pedagogica. I collegi e le università dei Gesuiti, che col tempo acquistarono meriti e fama nel campo degli studi e della formazione fino a divenire il prototipo dell’educazione cattolica, non furono pensati all’inizio da Ignazio come parte essenziale della sua missione.
Nella sua bella relazione, che concludeva il solenne Atto accademico a celebrazione dell’anniversario della Gregoriana il 5 aprile scorso, padre Kolvenbach (a tale relazione si riferiscono tutte le citazioni successive) diceva che, nel primo quinquennio del governo della Compagnia di Ignazio, «la vocazione pedagogica e umanistica dei primi gesuiti appare accidentale». Inizialmente Ignazio prevede che i Gesuiti si servano semplicemente dell’istruzione data nelle università, e le Costituzioni del 1542 comandano ancora che non si tengano né studi né corsi pubblici nella Compagnia. «Il motivo di questa utilizzazione passiva delle università è il desiderio di essere pellegrini sull’esempio degli apostoli, di essere in missione, di vivere di elemosine dando gratuitamente ciò che avevano ricevuto da Dio gratuitamente, di essere apostolicamente disponibili e quindi mobili».
Con tutto ciò, Ignazio aderisce alla richiesta che viene dal Vicario di Cristo di fondare dappertutto collegi, nonostante lo sconvolgimento che questo comporta nella vita della Compagnia. E, «data la sua fede nella “romanità” della Chiesa», un posto d’onore viene subito ad assumerlo il collegio di Roma, il Collegio Romano.
Ma resta che quella impresa non è svincolata dallo slancio apostolico che aveva mosso Ignazio. Il Collegio Romano è concepito come opera missionaria, tanto che «fino ad oggi nella Gregoriana il lavoro è svolto come un vero adempimento del quarto voto concernente le missioni». E come opera di carità. «Le Costituzioni descrivono volentieri i collegi come opere di carità, senza dubbio nella linea delle tradizionali opere di misericordia corporale e spirituale, di cui l’istruzione degli ignoranti è una forma pratica». «Scuola di Grammatica, d’Umanità e Dottrina cristiana gratis» era scritto all’ingresso del Collegio Romano.
Insomma «questa nuova missione dei collegi, che sembra in un primo momento distruggere la visione missionaria di Ignazio, in realtà le dà un’ampiezza inattesa e tuttavia autentica, come testimonia la lunga storia del Collegio Romano continuato dalla Gregoriana». Come testimonia la funambolica ampiezza del cuore e della mente di Matteo Ricci, che al Collegio Romano si era formato.
«Che la Pontificia Università Gregoriana possa rimanere fedele a questa esigente missione a servizio del Vicario di Cristo sulla terra» è anche il nostro augurio.


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