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CATTOLICI CINESI
tratto dal n. 10 - 2001

Monsignor Aloysius Jin Luxian racconta la sua vocazione sacerdotale

Come il granello di senape


Monsignor Aloysius Jin Luxian racconta la sua vocazione sacerdotale, il ritorno all’attività pastorale dopo la prigionia, la vita e la fede dei cattolici nel “Celeste Impero”


di Aloysius Jin Luxian



Una  cattolica cinese in preghiera

Una cattolica cinese in preghiera

Ho avuto da Dio la grazia di nascere in una famiglia che già da dieci generazioni era cattolica e quindi fin dalla prima infanzia sono cresciuto e sono stato educato alla fede cristiana.
La mia cara mamma aveva una grande fede e una particolare devozione alla Madonna alla cui materna protezione certamente mi ha affidato fin dalla mia infanzia, trasmettendomi nel contempo una grande venerazione per la Madre di Dio che sempre mi ha protetto nella mia vita. Credo che un grande desiderio di mia mamma sia sempre stato quello di poter avere un figlio sacerdote, e il Signore, nella sua benevolenza e per intercessione della Madre di Dio, ha accolto la sua richiesta.
I miei genitori mi hanno fatto frequentare le scuole elementari e superiori presso il collegio dei Gesuiti in Shanghai. In quell’ambiente mi sono sempre trovato bene fino ad arrivare a maturare la mia vocazione al sacerdozio nella Compagnia di Gesù. Mio padre e mia madre non hanno avuto la gioia di veder realizzato il loro sogno su di me. Mia mamma infatti è morta nel lontano 1927, seguita, dopo appena quattro anni, dal papà. Dopo qualche anno, anche mia sorella, che aveva tre anni più di me, è stata chiamata dal Signore.
La mia famiglia era benestante e fino al 1929 non abbiamo conosciuto difficoltà di ordine economico. Ma quell’anno, segnato dalla grande crisi del sistema economico e finanziario americano, ha portato ripercussioni molto negative fin nel mio Paese, e anche l’attività commerciale esercitata da mio padre ne è rimasta pesantemente compromessa.
Quelli dopo il 1927 sono stati per me anni davvero difficili. Ma il Signore mi ha sempre sostenuto e la Madre di Dio non mi ha mai fatto mancare anche nei momenti più oscuri la sua affettuosa e materna protezione.
Ho partecipato in quel periodo ad un corso di esercizi tenuto dai Gesuiti e proprio là, favorito da un’atmosfera di silenzio e di preghiera, e sotto la valida guida dei padri, ho sentito la chiamata di Dio che mi invitava ad appartenergli totalmente.
La perdita degli affetti più cari e anche tutte le difficoltà conseguenti mi avevano fatto sperimentare concretamente nella vita le parole del Qoelet: "Vanità delle vanità, tutto è vanità". Mi avevano cioè posto di fronte alla precarietà delle cose e perfino degli affetti. Ogni cosa, sia pure bella, importante e rassicurante, ti può essere tolta da un momento all’altro. Leggendo il Vangelo, mi apparivano davanti due vie: "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanti pochi sono quelli che la trovano!" (Mt 7, 13-14).
Con l’aiuto del Signore ho potuto prendere la strada della vita e rispondere il mio sì alla Sua chiamata. E sono convinto che dal Cielo la mia mamma mi abbia molto aiutato in questa decisione.
Sono entrato dunque a far parte della Compagnia di Gesù. Nel 1945 ho ricevuto il sacramento dell’ordine. Nel 1947 sono stato mandato a proseguire gli studi prima in Francia e successivamente in Italia, presso l’Università Gregoriana di Roma, ottenendo così il dottorato in Teologia.
Nel 1951 decisi di ritornare in Cina, pur sapendo che non avrei certamente avuto vita facile. Non ebbi paura di affermare nelle mie prediche e nelle mie lezioni al seminario la necessità di rimanere fedeli alla fede della Chiesa di Roma e alle direttive del suo pastore supremo, il sommo pontefice. Ma purtroppo questo durò molto poco. L’8 di settembre dello stesso anno fui arrestato perché chi aveva il potere sospettò che fossi stato inviato dal Vaticano per sobillare il popolo contro il governo.
Soltanto quando Deng Xiaoping ritornò al potere mi fu concessa la libertà e, gradatamente, la possibilità di tornare a esercitare il mio ministero.
Ritornato a Shanghai, divenni rettore del seminario che intanto riapriva i suoi battenti; fui nominato vescovo ausiliare e, successivamente, divenni vescovo della diocesi di Shanghai, nella quale ancora, per grazia del Signore, esercito la mia attività pastorale.
La Cina è una nazione comunista che, particolarmente da un punto di vista religioso, somiglia a quelle nazioni dell’Est europeo che voi ben conoscete.
I cattolici in Cina sono una esigua minoranza, rappresentano il 4 per mille della popolazione, ma non per questo mancano di fede, di vivacità, di operosità e di impegno nell’amore a Dio, alla Chiesa e ai fratelli. Del resto, è proprio il Vangelo che paragona "il Regno di Dio a un granellino di senape che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano tra i suoi rami" (Mt 13, 31-32). Certamente sentiamo la protezione e la benedizione di Dio su questo "piccolo gregge che ci è affidato" e siamo felici di poter constatare che il cristianesimo in Cina è rifiorito con una vitalità insospettata, seguendo proprio la legge del piccolo seme che, caduto nella terra, lì è rimasto per tanti anni, e non solo non è morto ma sta portando già i suoi frutti e noi speriamo e preghiamo che siano sempre più abbondanti ed anche evidenti, per la gloria di Dio e la pace e la fraternità fra i popoli.
Non possiamo ignorare che la storia della Chiesa nel nostro Paese ha attraversato un lungo periodo di isolamento e di silenzio.
Quando io sono uscito di prigione, nel 1982, mi sono accorto che nessuno in Cina aveva avuto notizia del Concilio Vaticano II. Potete voi stessi immaginare quale sarebbe la condizione della vostra Chiesa d’Occidente se una vostra diocesi non avesse mai sentito parlare di questo fatto. Come funzionerebbero i seminari? Come sarebbe la liturgia? Come pregherebbe il popolo? Come vivrebbe la gente i sacramenti? Questo per cercare di spiegare quali siano stati gli obiettivi che mi sono posto come vescovo di questa Chiesa negli anni Ottanta, epoca in cui poco a poco, quando possibile, le chiese furono restaurate e riaperte, i seminari ripresero a funzionare e i cristiani poterono di nuovo incontrarsi a celebrare nelle chiese i grandi Misteri della vita di Cristo, della Sua Passione, Morte e Resurrezione.
La mia cara mamma aveva una grande fede e una particolare devozione alla Madonna alla cui materna protezione certamente mi ha affidato fin dalla mia infanzia, trasmettendomi nel contempo una grande venerazione per la Madre di Dio che sempre mi ha protetto nella mia vita
Il primo obiettivo è stato quello di tradurre in lingua cinese i documenti del Concilio per poi diffonderli soprattutto tra il clero.
Il secondo obiettivo è stato quello di ridare vita ai seminari per la preparazione di nuovi sacerdoti formati alla luce delle direttive conciliari. In quegli anni, i sacerdoti erano ridotti di numero e quasi tutti molto anziani, con una formazione "preconciliare". Nel 1986 ricomincia pertanto a funzionare il seminario di Sheshan. Il piano degli studi dei giovani seminaristi viene adeguato ai canoni in vigore con l’introduzione di due anni di studi filosofici e di quattro anni di teologia. Vengono invitati professori da Hong Kong, da Taiwan e da altri Paesi esteri, in attesa di formare all’interno coloro che sarebbero poi stati in grado di sostituirne i ruoli. Preti e seminaristi capaci vengono inviati per alcuni anni di studio all’estero, per completare la loro formazione e arricchire la loro esperienza. Possiamo dire che nell’arco di un ventennio più di 260 sono stati i preti usciti dal seminario di Sheshan.
Un terzo obiettivo è stato quello della riforma liturgica. Anche qui si trattava di tradurre tutto dal latino al cinese e di diffondere i testi scritti nella lingua finalmente comprensibile dai fedeli. Grazie al contributo economico e al sostegno morale di amici stranieri, in particolare tedeschi, è stato possibile dare vita a una casa editrice e a una tipografia che rispondessero allo scopo. Anche la Chiesa di Hong Kong ci ha aiutato. Abbiamo tradotto in cinese, stampato e diffuso 600mila Bibbie (Nuovo Testamento), distribuendole gratuitamente fra il clero; abbiamo tradotto in cinese, stampato e diffuso gratuitamente più di 200mila messalini festivi, così come abbiamo stampato moltissime copie di libri a carattere religioso curati dai collaboratori del nostro Centro di ricerche che affianca il lavoro della casa editrice. Tra l’altro, va notato che fino agli inizi degli anni Ottanta, in Cina, i libri di preghiera, compresi quelli dell’Ufficio divino recitato dai sacerdoti, non contemplavano la preghiera per il sommo pontefice. Noi abbiamo provveduto ad introdurla, senza peraltro incontrare difficoltà da parte delle autorità.
Riguardo ai rapporti tra la Cina e il Vaticano, possiamo dire che da tempo si stanno compiendo dei grossi sforzi, anche su un piano diplomatico, per trovare un punto di incontro sul quale avviare un dialogo costruttivo fra le parti. È certamente un cammino lungo e che, a mio avviso, richiede anzitutto una maggiore, reciproca, approfondita conoscenza della realtà dei due Stati sotto ogni profilo, nel rispetto delle diversità e nell’attenzione intesa ad evitare sempre, quando possibile, qualunque decisione o dichiarazione che possa urtare la sensibilità della controparte. Intendo alludere, ad esempio, alla decisione della Santa Sede di stabilire proprio il 1� ottobre (voi ben conoscete che importanza ha per la nostra nazione questo giorno, in cui cade la festa della fondazione della Repubblica Popolare Cinese) la data di canonizzazione dei martiri cinesi avvenuta lo scorso anno, e alla manifestata intenzione di richiedere al presidente americano (con il quale i rapporti fino a qualche tempo fa non erano proprio così amichevoli) un intervento di mediazione per un concordato tra le parti.
Uno dei punti maggiormente controversi riguarda la nomina dei vescovi nella Chiesa. Noi preghiamo il Signore perché possano essere meglio approfonditi i motivi che fanno persistere l’attuale divergenza e perché Egli conceda alle parti luce e capacità di una profonda vicendevole comprensione e accoglienza. Personalmente credo che sia più importante guardare alle cose che uniscono che a quelle che dividono. Così come penso sia importante verificare, al di sopra di tutto, la testimonianza che anche i crist™ani di questa nostra Chiesa si sforzano di dare, vivendo quell’amore filiale e fraterno che Cristo ha predicato e vissuto, come attesta il Suo Vangelo.
Certamente ci troviamo di fronte a grosse difficoltà: la difficoltà rappresentata dalla situazione del clero ancora insufficiente come numero e come preparazione per il vastissimo terreno in cui si svolge il nostro lavoro pastorale. I giovani preti sono ancora troppo pochi e alcuni fra di loro, cammin facendo (diciamo che sono un 10%), abbandonano la strada in cui si sono incamminati. Del resto questa condizione la conoscete anche voi e non resta che pregare molto per le vocazioni e per la perseveranza nella vocazione di questi sacerdoti. Anche da questo punto di vista potrebbe essere certamente utile uno scambio di esperienze con altre Chiese su come affrontare i problemi dei giovani che si preparano al sacerdozio.
I giovani oggi sono particolarmente in crisi. Essi stanno crescendo in una società in rapidissima evoluzione. Questo rapido passaggio al mondo tecnologico se da una parte suscita entusiasmi anche giusti, dall’altra porta molti a credere che la propria realizzazione avvenga soltanto attraverso la ricchezza e il successo. E per raggiungere ricchezza e potere si è disposti a sacrificare tutto. La persona diventa allora il gradino sul quale io appoggio il mio piede nel mio cammino di ascesa al potere. Da qui lo sfruttamento, la corruzione, la prevaricazione del più forte sul più debole, l’ingiustizia, l’odio, l’invidia, le enormi sacche di povertà che emergono sempre di più.
La parola "crisi" nella nostra lingua cinese è il risultato dell’unione di due caratteri e di concetti molto diversi tra di loro: un primo concetto è negativo, e rappresenta il pericolo a cui va incontro una società in cui tutti vogliono prevalere puntando sul successo, sulla ricchezza, sul potere. Un secondo concetto possiamo definirlo raffigurando questa "crisi" come l’unica irripetibile occasione per proclamare, in una società come quella che abbiamo davanti, i valori del Vangelo, "la bella notizia" evangelica, o meglio ancora Gesù Cristo, venuto sulla terra per dire ad ogni uomo di essere figlio teneramente amato dal Padre che sta nei cieli e fratello di ogni altro uomo, anch’egli amato dal Padre.
Certo, adesso disponiamo di un numero troppo esiguo di educatori capaci di testimoniare con la vita i grandi valori dei Vangelo. Per questo la nostra attenzione è puntata su una più completa formazione dei seminaristi e dei laici impegnati nell’attività pastorale. È una crescita che richiede la pazienza del contadino che, dopo aver seminato il suo campo, resta in attesa della mietitura.


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