Reinhold Niebuhr e il realismo politico di sant’Agostino
Scrive Luigi Giussani in Teologia protestante americana: «In Niebuhr gli accenti principali del discorso teologico protestante americano emergono in una nuovissima ed equilibrata sintesi. Significativamente egli è il demitizzatore di quell’idea di una America come luogo manifestativo del Regno di Dio, che in varia flessione e varie tonalità aveva suggestionato lo spirito di tutta la storia americana»
di Gianni Dessì

in alto, sant’Agostino in un affresco del VI secolo, Laterano, Roma; in basso, Reinhold Niebuhr;
Come ha scritto Luigi Giussani, che negli anni Sessanta ha dedicato diversi scritti alla sua figura, «in Niebuhr gli accenti principali del discorso teologico protestante americano emergono in una nuovissima ed equilibrata sintesi… significativamente egli è il demitizzatore di quell’idea di una America come luogo manifestativo del Regno di Dio, che in varia flessione e varie tonalità aveva suggestionato lo spirito di tutta la storia americana»1. Niebuhr si confrontò esplicitamente con questo elemento assai complesso, la cui origine è proprio nella funzione decisiva che la religiosità svolse sin dagli inizi nella storia americana. In un libro del 1958, Pious and Secular America, egli ha analizzato a fondo tale nodo partendo proprio dalla constatazione che «siamo nel ventesimo secolo, allo stesso tempo, la più religiosa e la più secolarizzata delle nazioni occidentali»2.
I presupposti di tale analisi sono però precedenti. Nel 1953, passato da una posizione politicamente vicina al socialismo ad una decisa critica del comunismo, pubblicò Il realismo politico di Agostino. Si tratta di un lungo saggio nel quale il teologo protestante si confronta a fondo con il santo cattolico, riconoscendogli in sostanza un peso decisivo nella propria avventura intellettuale. In una intervista autobiografica del 1956, egli affermava: «Mi sorprende, in un esame retrospettivo, notare quanto tardi abbia iniziato lo studio approfondito di Agostino: ciò è ancora più sorprendente se si tiene presente che il pensiero di questo teologo doveva rispondere a molte mie domande ancora irrisolte e liberarmi finalmente dalla nozione che la fede cristiana fosse in qualche modo identica all’idealismo morale del secolo scorso»3.
Il saggio su sant’Agostino inizia con un tentativo di definire il realismo in politica: la proposta di Niebuhr è che nel campo della politica «realismo denota la disposizione a prendere in considerazione tutti i fattori che in una situazione politica e sociale offrono resistenza alle norme stabilite, particolarmente i fattori di interesse personale e di potere». Proprio in questo senso Agostino «è stato, per riconoscimento universale, il primo grande realista della storia occidentale»4. Egli, precisa Niebuhr, ha infatti tenuto in debito conto le tensioni ed i conflitti che caratterizzano ogni comunità umana. Il punto di forza che gli ha permesso tale approccio è stata la concezione della natura umana propria della tradizione biblica e del cristianesimo. Niebuhr ricorda come «questa differenza tra il punto di vista di Agostino e quello dei filosofi classici si trova nella concezione biblica, piuttosto che in quella razionale, che Agostino aveva della soggettività umana, con la connessa concezione che la sede del male si trova nell’io»5. Il male come conseguenza dell’uso sbagliato della libertà, cioè come conseguenza del peccato originale, ha, secondo Niebuhr, posto sant’Agostino in grado di comprendere la realtà della politica nella sua effettualità. La descrizione agostiniana della città terrena, segnata da irrisolvibili contrasti, lacerata da interessi contrastanti, incapace di conseguire una autentica giustizia ed una pace duratura, è condivisa interamente dal pensatore protestante. Egli scrive che «paragonate con un realismo cristiano, basato sull’interpretazione di Agostino della fede biblica, un gran numero di teorie sociali e psicologiche moderne, che si ritengono antiplatoniche o anche antiaristoteliche e che stimano molto il loro preteso realismo, sono in realtà non più realistiche delle formulazioni dei filosofi classici»6.
Egli sottolinea però un altro aspetto del realismo agostiniano, connesso all’idea che la città di Dio, dentro questo mondo, è, per tutto il tempo del suo pellegrinare, connessa e mischiata a quella terrena. Si tratta del fatto che il realismo di sant’Agostino non è un realismo che possa condurre all’approvazione incondizionata del potere. Partendo dalle diverse posizioni di Lutero e Hobbes, accomunate da una considerazione pessimistica della natura umana e dall’istanza di evitare che la società sia in preda al conflitto perenne e all’anarchia, Niebuhr scrive che il «realismo pessimistico ha infatti spinto sia Hobbes che Lutero ad una inqualificabile approvazione dello stato di potere: ma questo soltanto perché essi non sono stati abbastanza realisti»7. Essi hanno tentato di evitare il pericolo dell’anarchia, ma «hanno sbagliato nella percezione del pericolo della tirannia nell’egoismo dei governanti. Perciò essi hanno nascosto la conseguente necessità di porre dei controlli alla volontà dei governanti»8.
Insomma, Niebuhr critica quel realismo politico che in nome della corruzione o malvagità della natura umana asserisce la necessità del potere, senza però considerare che gli stessi uomini detentori del potere sono segnati dalla stessa corruzione o malvagità di tutti gli altri. L’esigenza di controllare il potere, e la scelta di Niebuhr per la democrazia, nascono proprio da questo realismo radicale, che ritiene tutti gli uomini accomunati dalla stesse capacità di bene e di male. Il controllo del potere rappresenta certamente uno strumento per frenare la tendenza al dispotismo. D’altra parte una società continuamente in bilico tra il dispotismo e l’anarchia, conseguente alla pressione dei diversi gruppi su coloro che detengono il potere, non può che condurre ad una considerazione cinica della politica. Agostino permette però di superare tale impasse. Egli ha compreso che «mentre l’egoismo è universale, esso non è naturale nel senso che non è conforme alla natura dell’uomo… Un realismo diviene moralmente cinico o nichilistico quando assume che una caratteristica universale del comportamento umano deve anche essere considerata normativa»9.

George W. Bush ed il suo staff in preghiera. Ogni riunione del governo statunitense comincia con la preghiera
Il primo è l’antiperfettismo, inteso appunto come consapevolezza dell’inevitabilmente imperfetta approssimazione al bene, di qualsiasi regime politico. Niebuhr ha criticato con forza la pretesa dell’America di essere il Paese scelto da Dio per realizzare il suo regno sulla terra.
Il secondo aspetto riguarda il richiamo al necessario controllo di ogni potere, che Niebuhr ha precisato nella sua critica al pessimismo politico di Hobbes e Lutero, da lui ritenuto non sufficientemente radicale, in quanto si sarebbe astenuto dall’esprimersi anche nei confronti di coloro che detengono il potere. Egli ha affermato la presenza del peccato, dell’affermazione disordinata di sé, ad ogni livello dell’esperienza umana.
L’ultimo aspetto, che è riassuntivo dei precedenti, è quello che Christopher Lasch, in un interessante capitolo dedicato a Niebuhr, ha descritto scrivendo «della disciplina morale contro il risentimento»10. Si tratta in sostanza dell’affermazione pratica che il peccato non agisce soltanto negli altri, ma anche in noi stessi. Tale consapevolezza impedisce di giudicare posizioni diverse dalle nostre come immorali, contrapponendo ad esse le nostre come morali. L’affermazione della propria superiorità morale come giustificazione di una precisa opzione pratico-politica, la condanna del male esclusivamente negli altri, misconosce appunto la reale natura dell’uomo dopo il peccato originale. Tale dinamica conduce come si esprime Niebuhr alla «santificazione della propria posizione»11, conferendo un’aura di sacralità a precisi e particolari interessi, che si arrogano una pretesa di universalità. Essa produce violenza in quanto nega la presenza della stessa natura umana in noi e negli altri e conduce a trattare coloro che sostengono opzioni pratiche diverse dalle nostre, come il male stesso.
Note
1 L. Giussani, Teologia protestante americana, La Scuola Cattolica, Venegono Inferiore 1969, p. 141.
2 R. Niebuhr, Pious and Secular America, Scribners, New York 1958, p. 1.
3 R. Niebuhr, tr. it., Una teologia per la prassi, Queriniana, Brescia 1977, p. 55.
4 R. Niebuhr, tr.it., Il realismo politico di Agostino, in G. Dessì, Niebuhr. Antropologia cristiana e democrazia, Studium, Roma 1993, pp.77-78.
5 Ibidem, p. 79.
6 Ibidem, p. 82.
7 Ibidem, p. 85.
8 Ibidem.
9 Ibidem, p. 88.
10 C. Lasch, tr. it., Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica, Feltrinelli, Milano 1992, p. 356.
11 Tale tema è continuamente presente negli scritti di Niebuhr. Si veda tra i tanti passi il rifiuto «di dare sanzione morale ai propri interessi» che egli esprime in The Children of Light and The Children of Darkness, Scribners, New York 1944, p. 16.