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APPROFONDIMENTI
tratto dal n. 04 - 2003

EMERGENZA ACQUA. Dopo il Forum internazionale di Kyoto

Un bene strategico


Il documento finale dell’ultimo Forum di Kyoto è una raccolta di buoni propositi. La proposta francese di creare un Osservatorio mondiale dell’acqua, e quella che chiedeva di definire l’acqua “un diritto dell’uomo”, si sono perse per strada. Anche la guerra in Iraq ha influito negativamente sul Forum, acuendo i contrasti tra gli schieramenti. Intanto seimila bambini nel mondo muoiono ogni giorno a causa di malattie legate a condizioni idriche scadenti. Ma ci sono anche segnali di speranza


di Gino Moncada


In una campagna del Mali, un uomo raccoglie in una ciotola l’acqua delle prime piogge della stagione

In una campagna del Mali, un uomo raccoglie in una ciotola l’acqua delle prime piogge della stagione

Più di 2,5 milioni di persone, gran parte delle quali vivono nei Paesi in via di sviluppo – soprattutto nel nord Africa e nell’Asia occidentale e meridionale –, muoiono ogni anno a causa di malattie associate a condizioni idriche e sanitarie scadenti.
Ogni giorno seimila bambini muoiono a causa di malattie che potrebbero essere evitate grazie a una migliore qualità dell’acqua e a impianti fognari adeguati. A causa di questo genere di malattie, ogni anno soffrono gravemente più di 250 milioni di persone. Le cifre riportate riecheggiano quelle di un bollettino di guerra, ma rappresentano invece le notizie fornite nel dicembre 2002 dal Dipartimento delle Nazioni Unite per l’informazione pubblica. L’evidente drammaticità della situazione ha indotto le Nazioni Unite a indicare il 2003 come Anno internazionale dell’acqua, e nel marzo di quest’anno sull’argomento si è tenuto a Kyoto un Forum internazionale al quale hanno partecipato 96 Paesi.
Certo la notizia va accolta con favore e apre l’animo alla speranza, ma in chi si occupa di questi problemi da lungo tempo, resta in fondo all’animo un senso di disagio e di scontentezza, di un cerimoniale déjà vu. Già nel 2000, al cosiddetto Vertice del millennio, sempre organizzato dalle Nazioni Unite con la partecipazione di 147 leader mondiali, fu stabilita la data del 2015 per dimezzare la percentuale di persone che non sono in condizione di raggiungere o che non possono permettersi l’acqua potabile. Per inciso, va rilevato che in numerose aree rurali il compito di portare l’acqua ricade su donne e bambini che spesso, per procurare l’acqua necessaria alla propria famiglia, devono percorrere diversi chilometri ogni giorno. Alla fine del 2002, in occasione del Vertice mondiale dello sviluppo sostenibile che si è tenuto a Johannesburg, la data del 2015 è stata confermata, anche se in più si è parlato della necessità di impianti fognari e si è indicato il 2005 quale anno limite per la presentazione di piani per la gestione integrata ed efficiente delle risorse idriche.
Nessun accenno a un piano finanziario capace di tradurre in pratica i princìpi e gli obiettivi messi a fuoco nelle precedenti sessioni. Eppure un giudizio totalmente negativo sull’incontro sarebbe ingeneroso, perché nella Dichiarazione politica finale allegata al Piano di attuazione, hanno trovato ampio spazio le dichiarazioni di principio sul rispetto della libertà, dell’ambiente, dei diritti umani e della solidarietà.
Sembra finalmente accettato che, per essere sostenibile, lo sviluppo deve raggiungere, è vero, un corretto compromesso tra obiettivi economici, sociali e ambientali, ma che ciò non potrà avvenire senza la difesa del nostro ecosistema e senza il rispetto dei diritti umani. Non si tratta solo di evitare l’inquinamento di aria, acqua, suolo, ma di affrontare emergenze che sono davanti ai nostri occhi: povertà, fame, emarginazione, malattie, biodiversità, desertificazione, carenza d’acqua. C’è da domandarsi ora che seguito hanno avuto le dichiarazioni di principio sopraddette – almeno per quanto riguarda l’acqua – nell’ultimo Forum di Kyoto, e soprattutto nel documento finale firmato da 101 ministri. Purtroppo il documento sembra più una raccolta di buoni propositi, che elenca puntigliosamente le grandi emergenze, ma che poco ha di programmatico, senza un piano di obblighi finanziari a carico dei Paesi industrializzati. Respinta la proposta di raddoppiare il gettito internazionale degli aiuti economici per l’acqua, che oggi è di 80 miliardi di dollari l’anno, ma alcune stime ritengono che dovrebbero essere almeno 180. Scomparsa dal documento la proposta francese della creazione di un Osservatorio mondiale dell’acqua. Eliminata quella che chiedeva di definire l’acqua “un diritto dell’uomo”. Minimizzata da parte di alcuni grandi Paesi l’influenza dell’attività umana (soprattutto produzione di gas serra) sui cambiamenti climatici, e quindi sull’equilibrio idrico, da tutti ritenuti responsabili di siccità ed alluvioni. Si tenga presente che si stima che un individuo su quattro degli abitanti della terra è più o meno minacciato dalla desertificazione, dalla siccità e dalle alluvioni e che negli ultimi cinquant’anni si sono avuti danni per tali motivi superiori ai mille miliardi. Va chiarito che tutti questi dati e queste cifre sono da prendere con la dovuta precauzione e senza inutili allarmismi e che essi devono solo servire a non permettere all’opinione pubblica di abbassare la guardia, e ai governanti di non cedere a sciocchi nazionalismi, assolutamente fuori tempo.
In tal senso gli impegni finali “volontari” di governi, istituzioni pubbliche e private per le più di cinquecento “azioni pratiche” decise a Kyoto, con il coordinamento delle Nazioni Unite, sono un messaggio di speranza. Si tratta di interventi su scala locale che comprendono la creazione di infrastrutture per portare l’acqua potabile nei villaggi rurali e nelle bidonvilles, per la realizzazione di impianti di trattamento e riuso delle acque reflue, per la rivitalizzazione dei fiumi e bacini idrici; il tutto nelle zone più bisognose del nostro pianeta, come Africa, Asia e America Latina.
Forse si poteva fare di più, ma certo la guerra in corso che ha indebolito le Nazioni Unite, acuendo i contrasti fra gli schieramenti, ha impedito la stesura di protocolli ambientali e ha tuttavia permesso la linea delle azioni volontarie coordinate.
Non catastrofismo, ma speranza è il messaggio di questo scritto, perché alcune cause di controversie e conflitti, e l’acqua è una di queste, possono divenire addirittura catalizzatori di cooperazione, se si accetta il principio del rispetto del proprio simile.
E per finire, voi lettori non dimenticate che a Roma consumiamo più di 250 litri di acqua al giorno per persona, e che nel nord Africa il limite di sopravvivenza è di 20 litri al giorno; occorre riflettere anche su sprechi ed educazione civile.


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