Europa
Le fondamenta della casa comune
L’ intervento di monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, alle Commissioni riunite di Camera e Senato competenti per gli Affari esteri e le questioni comunitarie. Cosa chiede la Chiesa cattolica alla nascente Costituzione europea
di monsignor Giuseppe Betori

Giuseppe Betori
Si tratta di una materia di grande rilievo e delicatezza, in cui appaiono particolarmente opportune le iniziative dirette, come la presente, a favorire forme di partecipazione democratica al processo di sviluppo dell’Unione.
L’episcopato italiano guarda con attenzione e spirito costruttivo a questo processo, confidando che possa contribuire a rafforzare l’Europa come realtà non soltanto economica e territoriale ma anche culturale e spirituale, forgiata mediante un fecondo intreccio di molteplici e significativi valori e tradizioni. Appare importante, in particolare, che l’Italia, e in essa i cattolici italiani, esprimano la propria vocazione europea operando «perché l’Europa unita abbia il suo più sicuro presidio nel riconoscimento del valore unico e irriducibile della persona umana e valorizzi, senza forzate omologazioni, il patrimonio culturale e morale di ciascuno dei suoi popoli» (Camillo Ruini, Prolusione alla cinquantesima Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, 18-21 novembre 2002, n. 5).
Gli sforzi diretti alla costruzione di un nuovo ordinamento, a cui sono finalizzati anche i lavori della Convenzione istituita dal Consiglio europeo del dicembre 2001 a Laeken, appaiono di per sé positivi in quanto orientati – attraverso l’auspicabile rafforzamento del quadro istituzionale dell’Unione europea alla luce del principio di sussidiarietà – a contribuire efficacemente allo sviluppo della pace, della giustizia e della solidarietà per l’intero continente, nonché a favorire quel processo di allargamento dell’Unione che rimane una priorità da perseguire con sollecita determinazione.
Fra i nodi problematici più dibattuti in vista dell’elaborazione del futuro trattato costituzionale, assume particolare rilievo quello relativo all’individuazione dei “valori comuni” dell’Unione, che dovrà essere operata facendo riferimento alle diverse culture e tradizioni che hanno contribuito e tuttora concorrono a definire l’identità europea.
Sotto questo profilo, il progetto dei primi sedici articoli elaborato nelle scorse settimane dalla Convenzione presenta alcune soluzioni positive, ma anche lacune e carenze che rendono auspicabili ulteriori approfondimenti.
Fra le prime, può essere annoverata l’indicazione come “valori comuni” dell’Unione del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dello Stato di diritto e in generale dei diritti dell’uomo, in vista di una società pacifica, giusta e solidale.
Fra gli aspetti che, invece, sembrano richiedere un maggiore approfondimento si possono indicare, in particolare, quelli relativi all’indicazione delle competenze esclusive e ripartite, che appaiono suscettibili di una più rigorosa delimitazione in una prospettiva orientata alla effettiva e piena realizzazione del principio di sussidiarietà; alla valorizzazione della cosiddetta sussidiarietà orizzontale e del rapporto con la società civile; alla dimensione della solidarietà, che investe sia i rapporti nell’ambito di una stessa comunità sia i rapporti fra Stati, non solo come dovere etico personale ma anche come principio essenziale del bene comune e criterio ispiratore di conseguenti scelte giuridico-politiche.
Non può essere condivisa, inoltre, la mancata esplicita considerazione del patrimonio religioso dell’Europa. Certamente i fattori che hanno concorso all’affermazione dei valori dell’Unione sono molteplici, ma è innegabile che fra di essi occupa un posto di particolare rilievo la grande tradizione religiosa e in particolare cristiana, che ha contribuito a consolidarli e a promuoverne il rispetto. Risulta oggettivamente difficile comprendere il moderno e il postmodemo senza riferimento all’esperienza cristiana e alla dimensione religiosa. Al tempo stesso, appare evidente che i valori religiosi sono essenziali per quella “coesione sociale” che l’articolo 3 del progetto inserisce fra gli obiettivi dell’Unione e per la costruzione della futura “casa comune” europea. Pare pertanto corretto auspicare che i membri della Convenzione non trascurino di menzionare, perlomeno nel preambolo, le radici religiose e segnatamente giudaico-cristiane dell’Europa, considerando inoltre l’opportunità di inserire un esplicito riferimento a Dio, già presente, del resto, in altre esperienze costituzionali quali ad esempio quelle tedesca, polacca e statunitense.
L’inserimento nel testo costituzionale di simili riferimenti valoriali non può essere negato invocando concezioni riduttive e ormai datate del principio di laicità. Al contrario, si può osservare che gli sviluppi della laicità contemporanea impongono di prendere in considerazione la specificità presentata da una comunità (o attività) in ragione della sua natura o ispirazione religiosa, e di superare le concezioni tese a racchiudere l’esperienza religiosa nella coscienza della persona – cui pure spetta il primato – escludendone appunto la dimensione e la rilevanza sociale. L’esplicita menzione delle radici religiose dell’Europa, pertanto, «non toglierà nulla alla giusta laicità delle strutture politiche […] ma, al contrario, aiuterà a preservare il continente dal duplice rischio del laicismo ideologico, da una parte, e dell’integralismo settario, dall’altra» (Giovanni Paolo II, Angelus, 16 febbraio 2003, n. 2).
Occorre peraltro sottolineare che il richiamo del patrimonio religioso, e segnatamente delle radici cristiane, deve essere inteso non come mero omaggio formale ad un elemento della tradizione ma come riconoscimento di una realtà presente. Tale patrimonio, infatti, rimane fonte d’ispirazione per una larga maggioranza della popolazione del nostro continente, che si riconosce nella religione cristiana e nelle Chiese e comunità religiose che operano nella società europea a servizio del bene comune.
In tale prospettiva si collocano le richieste essenziali formulate dalle confessioni cristiane, che chiedono l’inserimento nel trattato costituzionale europeo di tre disposizioni normative riguardanti: a) il riconoscimento dell’autonomia istituzionale delle Chiese e delle comunità religiose, che comporta il diritto di organizzarsi liberamente in conformità ai propri statuti; b) il riconoscimento dell’identità specifica e del ruolo svolto nella società da parte delle Chiese e delle comunità religiose, cui è collegata la previsione di un dialogo “strutturato” fra queste e l’Unione europea; c) il rispetto, da parte dell’ordinamento dell’Unione, dello statuto peculiare di cui ciascuna Chiesa e comunità religiosa gode all’interno degli ordinamenti nazionali.
Queste richieste non esprimono le attese della sola Chiesa cattolica, ma quelle di tutti i credenti in Cristo che vivono in Europa. Per questo motivo, esse sono state rese pubbliche con un documento congiunto degli episcopati dell’Unione europea e della Conferenza delle Chiese di Europa che, tra l’altro, è stato preceduto da un primo contributo pubblico degli episcopati europei, incentrato sui valori che si vorrebbe fossero riconosciuti nel testo costituzionale: la centralità della persona umana, la solidarietà, la sussidiarietà e la partecipazione, la condivisione di responsabilità fra le Chiese e l’Unione.
Con tali proposte non si ricerca uno statuto giuridico privilegiato per le Chiese e per le comunità religiose ma, piuttosto, si desidera prevenire il rischio della loro eventuale discriminazione ed elaborare un quadro che assicuri l’effettivo e pieno esercizio della libertà religiosa anche nella sua dimensione propriamente istituzionale, nel pieno rispetto della laicità delle istituzioni civili e comunitarie, come pure delle organizzazioni non confessionali. In questa prospettiva, che trova nel disegno della nostra Costituzione utili spunti di riferimento, non si avanza solo una legittima rivendicazione di libertà, ma si esprime il desiderio di promuovere il concorso al faticoso processo di unificazione del continente delle energie specifiche delle comunità religiose, nella convinzione che la “coesione sociale” dell’Europa abbisogna di una solida e sempre rinnovata fondazione spirituale-etico-culturale della convivenza civile.
Si può ben comprendere come sarebbe praticamente inutile menzionare il patrimonio cristiano di questo continente se non si garantisse effettivamente, nell’Europa odierna ed in quella futura, la libertà religiosa delle Chiese e delle comunità religiose, che, di fatto, esistono ed operano con un preciso spessore istituzionale a servizio dell’uomo e del bene comune. La rilevanza di tale dimensione istituzionale e la necessità della sua garanzia è stata da tempo riconosciuta non solo dalla giurisprudenza europea ma anche in ambito internazionale e a livello politico, in particolare nei documenti conclusivi delle Conferenze di Madrid (1983) e di Vienna (1989), della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Csce), oggi trasformata in Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea (Osce). Risulterebbe paradossale, e assai riduttivo, che un esplicito riconoscimento dell’autonomia istituzionale delle Chiese e delle comunità religiose, rispettoso dell’effettività dell’esperienza giuridica, non possa trovare spazio ed esplicita conferma in un testo di così alto profilo come il futuro trattato costituzionale.
Nel processo in corso vanno inoltre riconosciuti e salvaguardati l’identità specifica e il ruolo sociale delle Chiese e delle comunità religiose. Tali realtà, infatti, possono portare un contributo peculiare al processo di sviluppo dell’Unione europea, non solo sotto il profilo propriamente religioso ed etico – in quanto rappresentano un luogo privilegiato e tipico per la realizzazione dell’esperienza religiosa –, ma anche sotto il profilo sociale – grazie alle rilevanti funzioni svolte nel campo educativo, culturale, sociale e assistenziale – e per i riflessi politici dell’attività da loro svolta per la promozione della pace, per il dialogo fra i popoli europei e in vista del prospettato allargamento dell’Unione.

Una sessione dei lavori della Convenzione europea presieduta da Valéry Giscard d’Estaing
Peraltro, si deve evitare il rischio di una generica riconduzione delle Chiese e delle comunità religiose nella categoria generale dei fenomeni associativi e delle espressioni della “società civile”, che risulterebbe oggettivamente riduttiva rispetto alle peculiari caratteristiche strutturali e funzionali delle confessioni religiose. Questi soggetti, infatti, presentano un’indubbia specificità rispetto al più generale modello associativo, non solo per ragioni di carattere storico e/o sociologico e/o istituzionale, ma ultimamente per la loro stessa natura, che determina caratteristiche proprie in ordine al fondamento, alle finalità e alla struttura di tali soggetti. Sotto questo profilo, una loro mera assimilazione alle diverse forme associative e realtà sociali non risponderebbe all’esigenza di tutelarne l’identità e di valorizzare il contributo particolare che possono offrire allo sviluppo della “casa comune” europea.
Occorre pertanto una elaborazione più articolata e duttile, in cui il riconoscimento del ruolo (anche) sociale della religione e della conseguente opportunità di coinvolgere i gruppi religiosi nel processo di integrazione e sviluppo dell’Unione europea non sia disgiunto dal riconoscimento della loro specificità. In questa cornice si colloca la richiesta di prevedere forme opportunamente regolate di dialogo tra le istituzioni europee e le Chiese e le comunità religiose che lo chiedano, al fine di valorizzare l’apporto di queste ultime specialmente in termini di spiritualità e di umanizzazione.
Le considerazioni svolte sembrano in grado di impostare in maniera corretta e fruttuosa anche la questione del cosiddetto allargamento dell’Unione europea. Per evitare che tale allargamento si traduca in una sorta di annessione, tendenzialmente omologante, dell’Europa centrorientale a quella occidentale, occorre assicurare effettiva accoglienza alle identità proprie dei Paesi che si affacciano all’Unione, che rappresentano fattori di arricchimento della complessa identità, una e molteplice, del nostro continente.
Agli inizi di questo millennio, l’Europa unita non può nascere sulle esclusioni, frutto di schematismi in sostanza ideologici. Essa ha bisogno, piuttosto, anche dell’apporto coesivo che le deriva dai valori, dalle prassi, dalle esperienze comunitarie, dalla creatività culturale, dalla passione caritativa e assistenziale, dalla tensione al trascendente che le Chiese e le comunità religiose annunciano, propongono e sostengono in forme continue nel tempo e diffuse sul territorio anche di là dai confini nazionali.