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CANADA
tratto dal n. 07/08 - 2002

TORONTO. Parla l’arcivescovo della città che ospita le Giornate mondiali della gioventù

«Se la fede rinasce è perché il Signore è più grande di noi»


Intervista con il cardinale Aloysius Matthew Ambrozic. In Canada è in aumento la frequenza alla messa domenicale, un fatto che anche i vescovi non sanno spiegare: «Una volta ho incontrato, qui a Toronto, il cardinale Kim, l’arcivescovo di Seoul. Gli ho chiesto incuriosito: “Ma è vero che nella Corea del Sud ogni anno ci sono ben 60mila persone che si convertono al cattolicesimo?”. E lui: “Sì, è vero”. E io: “Ma lei, come lo spiega, eminenza?”. E lui: “Non lo so davvero, perché noi non siamo tanto buoni”»


di Stefano Maria Paci


La croce delle Giornate mondiali della gioventù che è stata portata in processione attraverso tutto il Canada

La croce delle Giornate mondiali della gioventù che è stata portata in processione attraverso tutto il Canada

Eminenza, cosa rappresentano per la Chiesa cattolica del Canada le Giornate mondiali della gioventù e l’arrivo del Papa?
ALOYSIUS MATTHEW AMBROZIC: Siamo felici che arrivi il Papa, ma la cosa più importante è proprio la presenza dei giovani. Spesso si dice che sono l’avvenire della Chiesa: in realtà, sono anche il suo presente. È per questo che Giovanni Paolo II ha sempre puntato tanto su queste Giornate mondiali, e ha insistito personalmente che continuassero a farsi. Sono un momento importante per i nostri giovani, ma non solo per loro: lo sono per la fede di tutti noi. La prima cosa che mi aspetto è un approfondimento della fede di tutta la nostra Chiesa, non solo dei giovani.
Cosa pensa che rimarrà, di queste Giornate? Saranno solo un’emozione passeggera?
AMBROZIC: In ogni vita di comunità, in ogni vita individuale ci sono queste vette, questi momenti di grande entusiasmo che poi non possono durare. Col tempo – occorre essere realistici – l’emozione passa, diventa un ricordo. Ma non è negativa, l’emozione. Tutti abbiamo bisogno di questi momenti emozionanti. Sono come i compleanni o gli anniversari. In questo modo si diventa più consapevoli di noi stessi, della comunità alla quale apparteniamo, del nostro destino. Questa emozione ci rende più consapevoli della nostra fede.
Ma, visto che parliamo di emozione, le propongo un racconto personale. Le prime Giornate mondiali della gioventù alle quali ho partecipato si sono svolte a Denver, nel 1993. Un momento emozionante. E quando i giovani sono tornati in Canada, avevano più coscienza di prima, della loro fede. E anche noi. Loro ci chiedevano qualcosa, e qui a Toronto, come risultato di quelle Giornate di Denver, abbiamo ricominciato l’organizzazione dei giovani nelle parrocchie. Abbiamo anche riaperto l’Ufficio per i giovani. C’era già, trent’anni fa, poi era sparito. La Chiesa, qui, ha vissuto degli anni in cui dipendeva troppo dalle scuole cattoliche, delegava loro tutto. Poi pian piano abbiamo capito che la scuola non esaurisce tutti gli interessi dei giovani. E quella intuizione, quella riscoperta attenzione verso i giovani ci accompagna anche oggi: non si è esaurita con una emozione passeggera. Come ci accompagnano le vocazioni sacerdotali che in quei giorni di Denver sono nate o si sono rafforzate. Vocazioni stabili, che conosco e ho seguito personalmente.
Perché avete voluto che queste Giornate mondiali della gioventù si svolgessero proprio a Toronto? C’è chi pensa che Montréal, che ha una tradizione francofona-cattolica più incisiva di quella anglofona-protestante di Toronto, sarebbe stata una scelta migliore...
AMBROZIC: In realtà, la sola città che voleva questo incontro è proprio Toronto. O meglio: a tutti avrebbe fatto piacere ospitarlo, senza dubbio, ma la città che ha spazi e capacità recettive e organizzative è Toronto. La città ha offerto la sua disponibilità alla fine di un lungo processo: prima ci sono stati dialoghi informali, poi la Conferenza episcopale canadese ha inviato l’invito al Pontificio Consiglio per i laici, che ha accettato, infine la Conferenza episcopale ha scelto la città. Ma l’iniziativa è venuta da noi, questo è chiaro.
Quali sono state le difficoltà più grandi che avete incontrato nell’organizzare questo grande raduno?
AMBROZIC: La principale è che questo raduno si fa una volta sola. Certo, si può imparare qualcosa dalle altre Giornate mondiali, ma ogni volta l’incontro ha un carattere proprio. La più grande difficoltà è che bisogna fare qualcosa di nuovo, che poi non si ripete. La seconda difficoltà, ma è una “difficoltà” tra virgolette, sono i giovani. Che hanno entusiasmo, fantasia, spontaneità, ma non rispondono bene alla disciplina. La terza difficoltà, e questa è una vera difficoltà, è quella nata dagli attacchi terroristici dell’11 settembre a New York. C’è una certa paura, ci sono le strettoie legate a una procedura più rigorosa con i passaporti e i visti d’ingresso. Ma potrei elencargliene molte altre, di difficoltà: organizzare una cosa così grande è sempre difficile.
Ha citato l’11 settembre. Lei personalmente ha qualche timore per la sicurezza?
AMBROZIC: No. E devo dire che la reazione, almeno nell’America del Nord, è stata troppo drammatica. Era la prima volta che un attentato terroristico veniva fatto nel nostro continente. Se fosse accaduto in Europa, la reazione sarebbe stata diversa. Tante città europee sono state distrutte durante la Seconda guerra mondiale, e tanta gente si ricorda di questo. Per l’Europa, un attacco come quello dell’11 settembre sarebbe stato serio, ma non così sconvolgentemente nuovo. Per gli americani, invece, è stata una tale sorpresa, che ha provocato uno shock mai visto prima. Durante la Seconda guerra mondiale, statunitensi e canadesi si sentivano sicuri: c’erano gli oceani che ci proteggevano. Adesso gli oceani non contano più. E siamo tutti più esposti.
È vero che molti che sarebbero voluti venire alle Giornate mondiali della gioventù non sono riusciti ad arrivare per problemi con i visti, in quanto il governo ha paura di una immigrazione in qualche misura selvaggia favorita da questa occasione?
AMBROZIC: Sì. È vero. E il motivo è chiaro. Molti, soprattutto dal terzo mondo, cercano di sfruttare questa occasione per immigrare qui clandestinamente. Ma i vescovi del posto vigilano, e sono loro che, insieme agli uffici preposti qui in Canada, mettono i veti, e dicono quali sono le richieste di cui si fidano e quali no. Ma sono pochi, in percentuale, coloro che hanno fatto richiesta di partecipare e ai quali non è stato concesso il permesso. Non voglio citare i Paesi di provenienza, ma in realtà i ragazzi che non hanno ottenuto i visti sono pochissimi.
Eminenza, parliamo della Chiesa in Canada: quali sono le cose che più le danno speranza, e quali invece quelle che più la preoccupano?
AMBROZIC: Parlo della Chiesa di Toronto, la mia Chiesa. Si tratta di una Chiesa molto interessante. Qui la messa si celebra ogni domenica in almeno 32 lingue. E ci sono altrettante differenti “spiritualità”, differenti modalità di vivere l’unica fede: quella italiana, per esempio, è molto importante. Quando io sono arrivato qui, nel 1948, la Chiesa era quasi unicamente irlandese. Ricordo che la stragrande maggioranza dei miei compagni in seminario era di orgine irlandese. Adesso ci sono italiani, portoghesi, sudamericani, filippini. E portano una ricchezza inusitata alla Chiesa. Pensi che solo a Toronto ci sono 100mila filippini, e loro hanno una tradizione cattolica molto forte. Le confesso che spesso mi sorprendo a pensare quale sarà qui la spiritualità dominante tra cinquant’anni. La risposta non la so. Ma sarei molto curioso di vederla, la mia Chiesa, tra cinquant’anni, per vedere come si è trasformata.
Altri motivi di speranza?
AMBROZIC: La pratica domenicale sta aumentando. E molto. E questo è significativo della salute di una comunità cristiana. Qui ogni due anni viene compiuta una indagine completamente indipendente, non condotta da cattolici. Secondo i dati, la pratica domenicale più bassa si è registrata nel 1994, quando si è arrivati al 33% di gente che andava ogni domenica a messa, e il 5% che ci andava due volte al mese. Adesso quelli che vanno a messa ogni domenica sono il 35% e quelli che ci vanno due o tre volte al mese il 12%. Quindi c’è almeno il 47% della popolazione che va a messa due o tre volte al mese.
E i giovani, tra questi, sono ben il 42%.
Che spiegazione si è dato di questo trend in crescita per la Chiesa cattolica?
AMBROZIC: Vuol sapere la verità? Non so bene cosa succede. E questo trend non si registra solo qui: si registra un po’ ovunque, attraverso tutto il Canada. I sociologi hanno scoperto che la gente sta tornando alle cosiddette Chiese madri. Per anni abbiamo vissuto un aumento dell’ateismo pratico e un vistoso e preoccupante proliferare delle sette, alle quali aderivano molti cristiani. Adesso invece i canadesi si rivolgono verso la Chiesa cattolica, quella anglicana o quella presbiteriana. Non so cosa sta succedendo, ma sta succedendo. E questo mi rallegra.
Non è singolare che i motivi di questo ritorno alla Chiesa le rimangano in gran parte ignoti?
AMBROZIC: Forse. Ma non tanto. Il Signore è più grande di noi. Le racconto un aneddoto. Una volta ho incontrato, qui a Toronto, il cardinale Kim, l’arcivescovo coreano di Seoul. Gli ho chiesto, incuriosito: «Ma è vero che nella Corea del Sud ogni anno ci sono ben 60mila persone che si convertono al cattolicesimo?». E lui: «Sì, è vero». E io: «Ma lei, come lo spiega, eminenza?». E lui: «Non lo so davvero, perché noi non siamo tanto buoni».
Questi i motivi di speranza. E invece, cosa la preoccupa di più della Chiesa di Toronto?
AMBROZIC: Beh, la secolarizzazione. C’è una certa logica nella nostra cultura che credo non sia ancora finita. Ogni onda filosofica o culturale, come l’illuminismo francese, è destinata ad esaurirsi. Ci sarà un punto in cui questa cultura, che è bella ma allo stesso tempo pericolosa, esaurirà le sue capacità. Quando accadrà, non lo so. Il comunismo ha resistito un secolo e mezzo. Poi si è esaurito, ed è crollato. Sono certo che anche questo movimento si esaurirà. Fino a quel momento, questa secolarizzazione vivrà con noi, ci sarà sempre addosso.
Quali pensa siano le sfide più importanti che attendono la Chiesa nel terzo millennio?
AMBROZIC: So di ripetermi, ma senza dubbio la secolarizzazione che attanaglia il mondo europeo. E parlo anche di quello che accade qui in America, che fa parte culturalmente del mondo europeo. Poi c’è l’islam, con quel suo imponente senso della gloria di Dio. Una sfida che coinvolge più l’Europa che l’America, perché qui non c’è una grande presenza di musulmani. La concezione di Dio, per i musulmani, è di una serietà assoluta: Dio è così importante, che l’uomo quasi non significa niente. Una concezione pericolosa, certo, ma molto interessante. Questa è una sfida: per noi, Dio non è abbastanza importante, non lo prendiamo abbastanza sul serio. Sono certo che si tratta di una sfida tremenda per tutti i cattolici.
Sta dicendo che dobbiamo imparare anche dall’islam?
AMBROZIC: Sì. Ci sono luci ed ombre, nell’islam. Proprio come nella secolarizzazione, che non è completamente negativa. Dopotutto i diritti dell’uomo, la bellezza dei suoi sforzi per tentare di costruire un mondo più giusto e bello, sono cose necessarie, ne abbiamo bisogno. Così per l’islam: è una sfida, abbiamo qualcosa da imparare da loro.
Negli Stati Uniti l’opinione pubblica ha messo sotto accusa la Chiesa per lo scandalo dei preti pedofili. Come è stato vissuto questo problema in Canada? Pensa che i toni usati dai mass media in questa occasione siano stati corretti? O, come ha detto qualcuno, c’era qualche “conto in sospeso” da regolare con la Chiesa cattolica?
AMBROZIC: Sono vere entrambe le cose. Innanzittutto ci sono dei fatti che non possiamo negare o nascondere. Si tratta di episodi molto tristi, che dobbiamo ammettere. È una cosa con la quale dobbiamo confrontarci. Ma certamente c’è stato uno sfruttamento di questo fatto da parte dei mass media. Che sono sempre contenti di avere qualcosa da attaccare. Tra l’altro, i mass media dell’America del Nord sono più voraci di tutti gli altri, i più voraci del pianeta.
Voglio dire che probabilmente è ancora presente un certo anticattolicesimo nella tradizione americana. Un anticattolicesimo che non può esprimersi direttamente, e trova questa strada per far sentire la sua voce. Ma non voglio esagerare: dopotutto ci sono alcuni fatti tristi su cui la Chiesa dovrà fare senza dubbio ancora qualcosa. In ogni caso, una cosa voglio dire con nettezza, a scanso di equivoci: una Chiesa senza peccati non ci sarà mai. Quando qualcuno attacca la Chiesa per i suoi peccati, io gli rispondo: «È proprio per questo che anche tu puoi esserne membro: se fosse composta solo di santi, tu non ci potresti stare».
Eminenza, mi ha stupito vedere che nell’organizzazione delle Gmg ci sono anche ebrei, anglicani, musulmani. Cosa vuol dire questa presenza ecumenica ed interreligiosa?
AMBROZIC: Il Santo Padre esercita un’attrazione eccezionale su tutti. Specialmente sui protestanti. Non voglio esagerare, ma anche per loro rappresenta il padre universale. I musulmani sono là perché ci sono giovani. E poi, per loro, il Papa è una figura profondamente religiosa, non è qualcuno di pericoloso che li odia. Gli ebrei, poi, sono i nostri fratelli maggiori, come ha detto Giovanni Paolo II.
La croce delle Gmg ha compiuto, i mesi scorsi, un pellegrinaggio attraverso tutto il Canada. Suscitando un seguito straordinario. Lei, come lo spiega?
AMBROZIC: Anche io sono restato sorpreso, e molto. Siamo tutti formati dalla teologia che abbiamo studiato. E la nostra teologia è piuttosto astratta. I segni sensibili della cosiddetta pietà popolare hanno un seguito che deve farci riflettere.
Il Canada è una delle nazioni più ricche del mondo. Un cardinale italiano, Giacomo Biffi, ha parlato della sua città, Bologna, come di una città «sazia e disperata». Lei ha la stessa immagine del suo Paese? AMBROZIC: Ci sono cose tragiche in questo Paese. Basta pensare alla vastità di un dramma come l’aborto. Ma il Paese come tale ha un certo slancio ottimistico verso il futuro, e nel modo con cui vive il presente. Il Canada è molto grande, e io posso parlare solo dell’Ontario. Il Québec è una realtà molto diversa. E il Canada atlantico lo è ancora di più. Siamo come una famiglia, ma come in tutte le famiglie a volte i suoi membri non si capiscono tanto bene.
Come ha reagito la secolarizzata società canadese alle Gmg?
Un ragazzo vietnamita durante la messa di apertura delle Gmg in Canada

Un ragazzo vietnamita durante la messa di apertura delle Gmg in Canada

AMBROZIC: Sono sorpreso: c’è stata grande attenzione verso questo evento, e uno sguardo molto positivo. Credo che i motivi siano due: il primo è l’ottima immagine di cui gode il Santo Padre nei mass media. E poi ci sono i giovani: loro, dappertutto, sono sempre accettati, sempre benvenuti.
Il fatto che in Canada ci sono così tante religioni e l’evento, a cui hanno contribuito le casse dello Stato, riguarda una sola, quella cattolica, non ha suscitato nessuna critica?
AMBROZIC: No. Le uniche critiche sono venute dai cattolici. Gli altri sono stati molto positivi. In particolare i cristiani non cattolici. Sanno che la forza di una Chiesa affermerà le altre.
E le critiche interne al cattolicesimo?
AMBROZIC: Provenivano particolarmente da gruppi di femministe cattoliche. Il Papa, dicevano, rappresenta le forze della conservazione, e una Chiesa patriarcale.
Il Canada è un Paese costruito da immigrati e sull’immigrazione pone ancora la sua forza. Anche lei, se non sbaglio, è un immigrato qui in Canada.
AMBROZIC: Sì, avevo 18 anni quando sono arrivato. Sono nato in Slovenia, poi alla fine della guerra con la mia famiglia siamo fuggiti in Austria, dove siamo stati accolti in un campo profughi. Da quel campo profughi, che ancora ricordo molto bene, siamo infine arrivati qui.
Di che nazionalità si sente?
AMBROZIC: Non ho dubbi: dopo cinquant’anni, sono canadese! Ma rimango sloveno.
È l’unico cardinale della Chiesa cattolica nato in una nazione diversa da quella in cui svolge il suo ministero?
AMBROZIC: Non saprei. Un tempo c’erano alcuni cardinali missionari in Africa, adesso non so. Certo, abitualmente i cardinali vivono e operano nel Paese di nascita. Ma devo dire che anch’io, profondamente, sono e mi sento canadese. Ma forse, come scrive san Paolo, sarebbe più giusto dire: «Non ci sono più giudei né greci, ma tutti siamo uno in Cristo Gesù, nostro Signore». Appartenere a Cristo è la prima appartenenza. q


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