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TESTIMONIANZE
tratto dal n. 01/02 - 2005

«Ho fatto il mio dovere, grazie a Dio»


La nunziatura di Budapest nel 1944 strappò ai nazisti decine di migliaia di ebrei. Monsignor Gennaro Verolino era lì. Ecco la sua prima intervista


di Giovanni Cubeddu


Monsignor Verolino in una immagine dell’epoca

Monsignor Verolino in una immagine dell’epoca

Monsignor Gennaro Verolino ha già compiuto 98 anni. È impressionante ascoltare i racconti di un testimone oculare degli anni in cui i nazisti perseguivano la soluzione finale. Con la limpidezza disarmante del suo sguardo benevolo, monsignor Gennaro, una vita intera trascorsa in Segreteria di Stato, da minutante a nunzio, racconta oggi una storia di cui è stato attore senza aver mai cercato il palcoscenico, ma compiendo solo il suo dovere di cristiano.
Nel 1944 l’Ungheria – che sino ad allora, nonostante una severa legislazione razziale, aveva offerto un rifugio relativamente sicuro anche agli ebrei scampati dalla Polonia e dalla Slovacchia – fu via via occupata dalle truppe tedesche e divenne uno dei Paesi dove maggiormente infuriò la persecuzione omicida nazista. Gennaro Verolino era lì, segretario della nunziatura retta da monsignor Angelo Rotta, e assieme ai diplomatici dei Paesi allora neutrali lavorò per sottrarre quanti più ebrei possibile al viaggio che li avrebbe portati a morire ad Auschwitz o in Austria. In quei mesi d’occupazione nazista la nunziatura redasse e distribuì agli ebrei tra le 25mila e le 30mila “lettere di protezione”, con le quali si poteva scampare alla deportazione.
Nell’ottobre scorso il governo di Stoccolma ha insignito monsignor Verolino del premio “Per Anger”, intitolato al valoroso ambasciatore svedese di stanza a Budapest in quegli anni.
Monsignor Verolino ci ha spalancato la sua casa romana e i suoi ricordi il 26 gennaio, alla vigilia del “giorno della memoria”, in cui si sono celebrati i sessant’anni dell’entrata delle truppe dell’Armata rossa ad Auschwitz.

Che rapporti aveva la nunziatura con la comunità ebraica ungherese?
GENNARO VEROLINO: C’erano rapporti non particolarmente speciali. Ma quando si è trattato di aiutarli, quando c’è stato bisogno, la nunziatura è intervenuta per salvare gli ebrei. Mandavamo delle note di protesta al governo contro le persecuzioni e rilasciavamo certificati con cui queste persone riuscivano a salvarsi, cioè delle lettere di protezione nelle quali si affermava semplicemente che il latore era sotto la tutela della nunziatura. Grazie a tali documenti gli ebrei potevano evitare di essere caricati sui convogli “ufficialmente” inviati in Germania, dove, secondo i nazisti, gli ebrei andavano a “lavorare”. Ma come era possibile credergli, quando venivano portati via vecchi di ottant’anni o bambini piccoli? Non era vero, ma i nazisti volevano ingannare la gente. Spesso siamo riusciti a impedire che quei poveretti partissero. Alle volte abbiamo anche mandato dei camion per ricondurre a Budapest quelli che stavano già sulla via della deportazione.
Lei si recava dagli ufficiali nazisti per chiedere che le lettere di protezione della nunziatura fossero tutte riconosciute valide…
VEROLINO: Sì, qualche volta loro adducevano difficoltà, e allora andavo a parlarci, ma soprattutto chiedevo aiuto alle autorità ungheresi locali. Così facendo salvavamo qualcuno in più. Il governo ungherese era più accessibile, si poteva avere ascolto più facilmente. Certo, all’atto pratico anche loro trovavano difficoltà coi nazisti, ma era l’unico modo di poter fare qualcosa…
Qualcuno le ha mai parlato di Auschwitz?
VEROLINO: La nunziatura si peritava di far tornare indietro quelli che erano destinati lì, appunto perché temevamo il peggio per quella povera gente... Le guardie che accompagnavano i deportati parlavano, raccontavano… Naturalmente, la polizia e i gendarmi ungheresi non si confidavano direttamente con noi, ma venivamo in qualche modo a conoscenza solo tramite l’intermediazione di uomini di buona volontà.
PERSECUZIONE. Una coppia di ebrei del ghetto di Budapest mostra la stella gialla imposta loro dal governo nell’aprile del 1944

PERSECUZIONE. Una coppia di ebrei del ghetto di Budapest mostra la stella gialla imposta loro dal governo nell’aprile del 1944

In che modo gli ebrei si mettevano in contatto con voi per chiedere aiuto?
VEROLINO: Venivano alla nunziatura, le porte erano aperte a tutti, nessuno veniva respinto. Chiunque fosse. Noi non domandavamo nemmeno di che religione uno fosse. Chiedevano questa protezione, e la protezione veniva data.
Magari c’era anche chi invece veniva a spiare l’attività della nunziatura…
VEROLINO: Mah, non ce n’era bisogno…
In una nota monsignor Montini le chiedeva quante lettere di protezione avevate scritto.
VEROLINO: È difficile dirlo perché non le abbiamo contate, ma direi tra le 25mila e le 30mila. Tutte prodotte dalla nunziatura, in meno di un anno.
Come giungevano ai destinatari?
VEROLINO: Venivano loro a prenderle in nunziatura. Noi oramai non facevamo altro che questo, le “lettere”. Tutti gli altri lavori erano stati messi da parte, si pensava solo a scrivere il testo delle lettere di protezione: si scriveva il nome della persona e che era sotto la protezione della nunziatura, poi seguiva la firma del nunzio, e bastava. Davanti alla nunziatura si formavano file immense, più lunghe di quelle che c’erano davanti ai negozi di generi alimentari. La coda per i certificati era più lunga.
Molti ebrei furono ospitati da voi direttamente.
VEROLINO: Vivevano con noi nella nunziatura, non uscivano neanche, per paura dei nazisti. Tutti i nostri uffici e le camere erano stati messi a disposizione, e gli ebrei sono vissuti con noi tutto il tempo.
E come sono arrivati ad alloggiare da voi?
VEROLINO: Hanno bussato alla porta, hanno chiesto protezione, soprattutto al nunzio, e li abbiamo aiutati.
Decine di migliaia di lettere solo per gli ebrei ungheresi…
VEROLINO: Per tutti gli ebrei che venivano. Sul modulo si scrivevano i dati personali, e nient’altro. C’era un gruppo di ebrei volontari – alcuni di questi erano ospiti della nunziatura – che, lavorando a turno, aiutavano a battere il testo, e il nunzio firmava fogli tutta la giornata.
Avete però dovuto insistere con la gerarchia episcopale ungherese perché fosse più attiva…
VEROLINO: I vescovi ungheresi cercavano anche loro di salvare questi poveretti. Non ricordo che monsignor Rotta abbia censurato pubblicamente i vescovi ungheresi. La Chiesa ungherese era d’accordo con la nunziatura, i vescovi hanno cercato di fare quanto di meglio potevano.
Anche i vescovi ungheresi mandavano da voi in nunziatura gli ebrei per avere i certificati?
VEROLINO: Noi non domandavamo nulla. Chiunque voleva un certificato di protezione lo riceveva. Chiedevamo semplicemente i dati personali necessari a redigere il modulo.
È noto che vi fossero in Ungheria molti ebrei battezzati.
VEROLINO: Sì, erano parecchi, anche perché vi erano molti convertiti già prima della guerra. E ora, durante la persecuzione, molti speravano di avere un migliore trattamento. Ma la nunziatura ha cercato di salvare tutti, senza distinzione di religione, battezzati o no.
A Budapest c’erano moltissimi ebrei che si facevano battezzare, sin da tempi lontani, già molti anni prima.
Ma altri si fecero battezzare durante la guerra…
VEROLINO: Chiaro. Quando è cominciata la persecuzione, qualcuno ha creduto che fosse più facile salvarsi diventando cristiani. In realtà non era vero, perché le leggi dei nazisti consideravano l’origine razziale.
Si battezzavano anche quelle persone che lo chiedevano solo per salvarsi la vita?
VEROLINO: Solo quando si trattava di conversioni sincere, li battezzavamo.
Erano decisioni difficili.
VEROLINO: In quei frangenti come si fa a saperlo? Siamo nelle cose umane, si cercava di conoscere la verità, a volte ci si arrivava, a volte no.
Quando gli ebrei furono chiusi nel ghetto di Budapest tentaste di salvare i bambini…
VEROLINO: Anche in quella occasione inviammo note di protesta al governo e cercammo di mettere questi bambini ebrei nelle case religiose. E in genere il governo ungherese rispettava i luoghi dove la Chiesa aveva trovato rifugio a questa gente.
È mai successo che qualcuno di questi bambini sia stato battezzato? Lei ricorda che qualcuno si sia lamentato di tali fatti?
VEROLINO: Allora non c’era questo problema. Il nostro principio era di salvare le persone rispettando la religione di ciascuno. La protezione che davamo era esclusivamente civile, era protezione dai nazisti, che volevano portarli via. I bambini custoditi dalla nunziatura negli istituti erano per lo più con i loro genitori, muniti di lettera di protezione.
RICONOSCIMENTO.	Un momento della cerimonia di consegna del premio “Per Anger” 
a monsignor Verolino, cui era presente anche il cardinale Sodano.  Una sopravvissuta ebrea ringrazia l’anziano segretario della nunziatura di Budapest

RICONOSCIMENTO. Un momento della cerimonia di consegna del premio “Per Anger” a monsignor Verolino, cui era presente anche il cardinale Sodano. Una sopravvissuta ebrea ringrazia l’anziano segretario della nunziatura di Budapest

All’epoca, il governo istituì un Comitato centrale ebraico. Scrive nelle sue note il nunzio Rotta che tale Comitato «procura di sacrificare in prima linea» gli ebrei battezzati «per soddisfare le esigenze del governo».
VEROLINO: Gli ebrei battezzati pativano talvolta più degli altri.
Che cosa facesse questo Comitato, non mi ricordo. Mi dispiace di non poter rispondere a tutto.
Sono stati mandati ad Auschwitz anche ebrei battezzati…
VEROLINO: Ma senz’altro! I nazisti non facevano alcuna distinzione di religione, dicevano che “è la razza, la stirpe quella che noi combattiamo, non la religione”.
Avete avuto in nunziatura minacce dai nazisti?
VEROLINO: Direttamente no, so che si discuteva molto di quanto noi facevamo, la stampa anche ne parlava. Ma grazie a Dio non è successo niente.
Ha mai avuto timore per la sua vita?
VEROLINO: A dire il vero non mi sono mai posto il problema. Ho cercato di fare il mio dovere e, grazie a Dio, non mi sono mai trovato in pericolo. Eh sì, l’ho fatto con piacere, perché era una cosa giusta, e se dovessi ricominciare farei lo stesso.
Sono noti i ringraziamenti fatti all’epoca da parte delle organizzazioni ebraiche per l’attività di Pio XII e della Santa Sede. Ha mai pensato al perché sono arrivati in seguito i rimproveri a papa Pacelli?
VEROLINO: Così vanno le cose umane. Prima si approva e poi si disapprova. Non so che dirle. Bisognerebbe chiederlo a chi critica. Certo che la Chiesa e la nostra nunziatura hanno cercato di fare il loro dovere e credo che lo abbiano fatto bene.
Lei quando è stato ordinato sacerdote?
VEROLINO: Nel 1928.
Nel 2003 ha celebrato i settantacinque anni di sacerdozio…
VEROLINO: Sono parecchi, ero molto giovane, avevo appena ventidue anni e pochi giorni quando sono stato ordinato.
Perché ha scelto il seminario?
VEROLINO: Avevo uno zio, fratello di mia madre, che era sacerdote, un ottimo sacerdote. Forse il suo esempio mi ha ispirato. Da piccolo sono stato nel seminario diocesano di Acerra, in provincia di Napoli, e poi a Posillipo, nel seminario regionale campano, per gli ultimi due anni di ginnasio, per il liceo e poi per gli studi di filosofia e teologia.
Come le è successo di arrivare alla Segretaria di Stato?
VEROLINO: Sono stato ordinato molto giovane e non potevo ancora esercitare tutte le funzioni di sacerdote, allora per non sprecare il tempo sono andato a Roma a studiare diritto canonico e diritto civile all’Apollinare. Essendo i miei professori della Segreteria di Stato, si sono poi ricordati di questo alunno e mi hanno chiamato.
Ricorda l’impatto con la Segreteria di Stato? Con chi ebbe i primi contatti?
VEROLINO: Con monsignor Montini, poi con il cardinale Ottaviani.
Ricorda cosa le dissero?
VEROLINO: Montini era molto gentile e molto buono, così pure fu Ottaviani.
Lei ha visto tanti papi durante la sua vita. Quale ricorda meglio, o ha ritenuto più vicino a lei?
VEROLINO: Che le devo dire, tutti mi parevano molto buoni e persone di grandi virtù e preparazione intellettuale. Dire è meglio questo o quello, è molto difficile…
FINE DELL’OCCUPAZIONE NAZISTA. L’esercito sovietico entra a Budapest 
il 13 febbraio 1945

FINE DELL’OCCUPAZIONE NAZISTA. L’esercito sovietico entra a Budapest il 13 febbraio 1945

Per restare sul tema storico, che ricordo ha di Pio XII?
VEROLINO: Molto buono. Poche volte sono andato a trovarlo, allora ero solo un giovane segretario, e m’ha ricevuto sempre con molta deferenza e molta bontà.
Una domanda personale. Dopo così tanti anni di sacerdozio, come recita le sue preghiere?
VEROLINO: Dico la messa come si deve dire. Si prega secondo la liturgia approvata dalla Chiesa. In genere io continuo a dire la messa in latino.
E di quale santo è più devoto?
VEROLINO: San Gennaro, il mio protettore… eh sì, un grande santo, vescovo e martire...

Il cardinale Sodano ha scritto una nota personale per ringraziare ancora una volta monsignor Verolino. A Nazareth c’è una scuola retta dai frati francescani dove i 749 piccoli alunni hanno scritto una lettera di ringraziamento a monsignor Gennaro, che ha donato loro l’intero ammontare del premio assegnatogli nell’ottobre scorso dal governo svedese.
Alla consegna del premio, erano presenti anche due ebrei ungheresi sopravvissuti grazie a lui (uno era Giorgy, il ragazzo che lo accompagnava durante i viaggi con i camion per tirare fuori dai treni chi era già destinato ai campi di annientamento). Quando gli si sono fatti avanti, con lacrime di ringraziamento, monsignore non ha parlato, si è fatto il segno della croce e li ha accarezzati.



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