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EDITORIALE
tratto dal n. 06 - 2002

Le memorie di Taviani


C’è una pagina di Taviani da sottolineare, relativa ai servizi deviati. Racconta che, come corollario della liquidazione coatta dei neofascisti, mandò a casa agenti di complemento e confidenti che erano stati assunti nel periodo ministeriale di Restivo.


di Giulio Andreotti


Taviani durante un comizio a Genova al termine della battaglia per la Liberazione nell’aprile 1945

Taviani durante un comizio a Genova al termine della battaglia per la Liberazione nell’aprile 1945

Paolo Emilio Taviani aveva detto più volte – anche nel corso della deposizione nella Commissione stragi – che dopo la sua morte sarebbe uscito un libro nel quale avrebbe potuto dire quel che non riteneva opportuno rendere noto da vivo. Anche se ero convinto che non si trattava di rivelazioni clamorose, mi sono affrettato a leggere il saggio, appena pubblicato per i tipi del Mulino.
Rivelazioni impressionanti non ci sono. E potrebbe venire il sospetto che da buon genovese l’amico Taviani avesse predisposto una accorta pubblicità per la diffusione del volume postumo. Ma non sarebbe giusto. Di particolare rilievo è la rievocazione del decreto di scioglimento del gruppo estremista di destra “Ordine nuovo”, che Taviani adottò in dissenso da Moro. Non perché Moro avesse propensioni nere, ma temeva che si potesse imboccare una potenziale strada antidemocratica (più o meno come fecero con me i comunisti, battendosi per respingere il decreto-legge contro la scarcerazione degli imputati nel maxiprocesso). C’è però una pagina di Taviani da sottolineare, relativa ai servizi deviati. Racconta che, come corollario della liquidazione coatta dei neofascisti, mandò a casa agenti di complemento e confidenti che erano stati assunti nel periodo ministeriale di Restivo. Alcuni di questi divennero schegge impazzite e a essi vengono ricondotti episodi gravissimi, come la strage dell’Italicus. Viceversa Taviani esonera da ogni addebito gli uomini della Cia. Mentre la sua “ammirazione per la cultura ebraica” non gli impedisce di ritenere che abbiano avuto torto i giudici assolvendo gli agenti del Mossad imputati in un’altra strage: quella dell’Argo 16, l’aereo che poco prima aveva fatto espatriare un nucleo di palestinesi.
Ai neofascisti addebita anche in modo netto i fatti di Milano, chiamando depistaggi le attribuzioni a sinistra.
Al di fuori della cronaca più che nera, Taviani mette in rilievo pagine importanti della sua milizia politica. Nulla da eccepire nella ricostruzione della lotta partigiana, che lo vide protagonista di rilievo accanto a molti giovani della Fuci e dei laureati cattolici. Con orgoglio sottolinea che Genova fu liberata da loro prima che sul posto arrivassero gli Alleati.
Su un punto mantengo invece il mio dissenso. Nell’estate del 1954 come ministro della Difesa nel governo presieduto da Pella, Taviani prese molto sul serio una informazione secondo cui le truppe di Tito stavano per invadere Trieste con la convinzione che gli angloamericani avrebbero accettato il fatto compiuto. Di qui la mobilitazione italiana, lo schieramento di unità, il risuono di trombe tra il ritenuto – e in parte vero – consenso muscolare della gente. Taviani scrive: «Non posso esimermi dal porre una domanda: se non ci fosse stata la rischiosa iniziativa ideata dalla nostra diplomazia, criticata da De Gasperi e da tanti altri, sostenuta soltanto da Pella, da me e da Fanfani, che cosa sarebbe oggi Trieste?».
...Viceversa Taviani esonera da ogni addebito gli uomini della Cia. Mentre la sua “ammirazione per la cultura ebraica” non gli impedisce di ritenere che abbiano avuto torto i giudici assolvendo gli agenti del Mossad imputati in un’altra strage: quella dell’Argo 16, l’aereo che poco prima aveva fatto espatriare un nucleo di palestinesi
Io appartenevo ai tanti altri e pur essendo sottosegretario alla Presidenza non partecipai al comizio del Campidoglio, dove Pella poco mancò che minacciasse di rompere le reni alla Iugoslavia. Me ne andai ostentatamente in gita a Montecatini, addolorato per il clima retorico che si stava creando. C’è di più. Pur conoscendo gli americani l’infondatezza dell’allarme, la loro ambasciatrice Claire Booth Luce applaudì il vigore governativo dicendo che l’Italia aveva finalmente trovato un uomo. Con quale gioia di De Gasperi è facile a comprendersi.
È l’unico punto in cui, allora e parlandone in seguito più volte con Taviani, ho dissentito da lui. Mentre dal libro apprendo che nel 1947 era stato proprio Taviani a suggerire a De Gasperi di chiamarmi al Viminale. Questo non lo sapevo, mentre conoscevo il consiglio di monsignor Montini in proposito.
Di grande rilievo sono le pagine dedicate al ruolo di primaria importanza avuto da Paolo Emilio nella costruzione europea e, in altro campo, nella elaborazione della Carta costituzionale.
Divertenti sono invece alcuni particolari sulla complicata vita ministeriale romana, dove tutto sembrerebbe organizzato alla perfezione, se si vigilava persino su una dattilografa che aveva sposato un funzionario dell’ambasciata canadese sospettato di contatti con il Kgb. Comunque la stessa restò in servizio fino all’età del pensionamento. Perché Taviani la cita? Per smentire, dice, che lui stesso avesse una segretaria del genere come sembrerebbe, a suo avviso, dichiarato nelle rivelazioni del Mitrokin.
Soltanto di sfuggita si accenna ad un personaggio, il dottor Federico Umberto D’Amato, che lavorò a lungo al Viminale, collegato per quel che sembra con le intelligenze di mezzo mondo; ma trovando anche il tempo per curare la rubrica gastronomica de L’Espresso. Mi sembra che volutamente se ne svaluti l’importanza.

G

Credo che una attenta lettura delle memorie di Taviani sarà indispensabile per quanti vogliano ricostruire con attendibilità gli eventi del dopoguerra e la lunga stagione di crescita della nazione italiana.






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