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VITA CONSACRATA
tratto dal n. 04/05 - 2011

La morte scampata per miracolo

Una proroga ad personam



di Gianni Valente


Dom João Braz de Aviz [© Associated Press/LaPresse]

Dom João Braz de Aviz [© Associated Press/LaPresse]

 

Almeno un primato, a monsignor Braz de Aviz, non glielo toglie nessuno. L’attuale prefetto del dicastero vaticano per i religiosi è l’unico vescovo che vive da quasi trent’anni portandosi dietro 130 pallini di piombo disseminati nel corpo.
João a quel tempo era un giovane prete di 36 anni, e quel giorno stava viaggiando dalla sua parrocchia a quella di un villaggio vicino per aiutare il parroco che celebrava i suoi venticinque anni di sacerdozio. A metà strada, su un ponticello, vede un’auto ferma. Si avvicina per vedere se serve una mano. E si accorge che non si tratta di campesinos rimasti con la macchina in panne. Nel vecchio maggiolino ci sono due ragazzi che gli spianano contro le loro armi pesanti, gli tolgono le chiavi della macchina e lo costringono a seguirli dall’altra parte del torrente, senza dire una parola. Dopo mezz’ora, sbuca dalla curva il furgone blindato della banca. Era venerdì pomeriggio, loro stavano aspettando il furgone con la raccolta degli incassi, e João capisce allora di essersi trovato nel posto sbagliato all’ora sbagliata.
Poi la situazione precipita. I rapinatori sparano subito alle gomme del blindato. Ma anche quelli del carro della banca sono armati, e rispondono al fuoco. Ricorda oggi monsignor Braz de Aviz: «A un certo punto, visto che la situazione era bloccata, i due ragazzi mi hanno puntato di nuovo le armi in faccia: vai tu a parlare con i poliziotti, o ti ammazziamo. Che potevo fare? Ho mosso solo qualche passo e subito dal blindato i poliziotti mi hanno sparato addosso». João sente bruciare per tutto il corpo i pallini partiti dal fucile a canne mozze. Ha pure un occhio perforato, sente il sangue che gli cola a fiotti sul viso. Sta disteso a terra. Non riesce ad alzarsi. Un’immobilità impotente che gli salverà la vita: «Dopo mi hanno confermato che se mi fossi mosso mi avrebbero finito». Intanto i due banditi sono scappati. João sente il respiro farsi affannoso, sente il sangue che gli sale dai polmoni nella bocca. «Dicevo dentro me stesso: Gesù, ma perché devo morire a trentasei anni, avevo tanto da fare. La risposta mi è sgorgata dentro così: “Io sono morto a 33 anni. Tu hai avuto già tre anni più di me…”». João intuisce allora che anche la sua generosità, il suo slancio a fare cose buone può cadere nel vuoto, se non è un abbandonarsi nelle braccia di Gesù. «Allora mi sono sentito in pace. Ho detto le mie ultime preghiere, ho fatto le mie offerte, ho chiesto perdono, ma poi ho anche aggiunto: Signore, dammi dieci anni in più. Non so perché ho chiesto proprio dieci anni».
In effetti, dom João quella volta l’ha scampata. I piombini sono rimasti anche nei polmoni e nell’intestino, senza provocare infezioni. Perfino l’occhio si è salvato e i medici si chiedono come sia stato possibile.
Dopo quell’esperienza, oggi monsignor Braz de Aviz ricorda di essere anche entrato in un periodo di depressione. «Non riuscivo più nemmeno a uscire di casa. Ne sono uscito solo dopo un anno, piano piano, cominciando col fare piccole cose, ad esempio piccole passeggiate, fin dove mi era possibile. Anche questa specie di paralisi della volontà è stata per me un’esperienza importante, per abbracciare il mio limite e la mia fragilità». Quando stavano scadendo i dieci anni di “proroga” richiesti, è arrivata la nomina a vescovo. «È come se il Signore mi avesse voluto dire: fin qui tu mi hai chiesto la vita, d’ora in poi quello che viene io ti chiedo di donarlo a me…». Dom João lo dice ridendo. Ma intanto, il soprassalto dei ricordi gli inumidisce gli occhi.



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