Home > Archivio > 09 - 2011 > Caino costruisce la città, Abele offre ciò che Dio gli dona
NOVA ET VETERA
tratto dal n. 09 - 2011

Caino costruisce la città, Abele offre ciò che Dio gli dona



di Lorenzo Cappelletti


Cristo in trono che presiede il Concilio di Nicea

Cristo in trono che presiede il Concilio di Nicea

 

Più volte negli ultimi giorni papa Benedetto ha citato passaggi dell’Ecclesiam Suam di Paolo VI. Domenica 25 settembre al Konzerthaus di Freiburg im Breisgau, nell’incontro, non a caso, con cattolici impegnati nella Chiesa e nella società: «Se la Chiesa, come dice papa Paolo VI, “cerca di modellare sé stessa secondo il tipo che Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue profondamente dall’ambiente umano in cui essa pur vive” (Ecclesiam Suam 60)». La domenica immediatamente successiva, all’Angelus, rievocando la parabola dei vignaioli omicidi, ecco che il Papa esplicitava l’essenza di un tale tipo di Chiesa: «Solamente in Lui, per Lui e con Lui si edifica la Chiesa, popolo della nuova Alleanza. Ha scritto in proposito il servo di Dio Paolo VI: “Il primo frutto dell’approfondita coscienza della Chiesa su sé stessa è la rinnovata scoperta del suo vitale rapporto con Cristo. Notissima cosa, ma fondamentale, ma indispensabile, ma non mai abbastanza conosciuta, meditata, celebrata” (Ecclesiam Suam 37)».

Tale tipo di Chiesa tradotto (e compreso, bisognerebbe aggiungere, perché normalmente si fraintende, non capendo che le due città convivono su questa terra) secondo le categorie agostiniane delle due città è quello della città di Abele del libro XV del De civitate Dei. «Nella Scrittura si legge che Caino costruì una città, mentre Abele in quanto pellegrino non la costruì». Dove il punto non sta tanto nel costruire o meno, ma nel sapere chi costruisce e come. Agostino prosegue infatti dicendo che ci troviamo di fronte a due forme di città su questa terra: «Una che (secondo una traduzione pregnante di Del Noce in un vecchio articolo del 1986 sul Corriere, in occasione del centenario della conversione di Agostino) attestala propria presenza, l’altra che per mezzo della sua presenza serve da segno per la città celeste». Una che ha il problema di attestarsi (suam praesentiam demonstrantem), l’altra che semplicemente c’è per un Altro (sua praesentia servientem).

Tale tipo esprime la mensdel Vaticano II sulla Chiesa, come ricordava padre Cottier in una riflessione sulla Lumen gentium comparsa nello scorso numero di 30Giorni: «L’ultimo Concilio riconosce che il punto sorgivo della Chiesa non è la Chiesa stessa, ma la presenza viva di Cristo che edifica personalmente la Chiesa. La luce che è Cristo si riflette come in uno specchio nella Chiesa. La coscienza di questo dato elementare (la Chiesa è il riflesso nel mondo della presenza e dell’agire di Cristo) illumina tutto ciò che l’ultimo Concilio ha detto sulla Chiesa».

Ma più generalmente tale tipo di Chiesa esprime la tradizione apostolica, che è rimasta luminosa e pacifica soprattutto nel primo millennio della Chiesa indivisa (come nei più svariati autori sempre più di frequente si può leggere, da Messori a Morini, da Magister a Melloni). Ma che riemerge anche, se si fa attenzione, proprio nei momenti più critici del secondo. Basterebbe riandare al Decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento, che non a caso ha costituito ai nostri giorni la base più solida e fruttuosa nel dialogo coi luterani, proprio perché non è innanzitutto antiprotestante ma antipelagiano. O riandare al Vaticano I, quando si “autolimita”, potremmo pur dire, affermando che «la dottrina della fede che Dio ha rivelato non è stata proposta all’intelligenza umana come un sistema filosofico da perfezionare, ma è stata affidata alla Sposa di Cristo perché la custodisca fedelmente e infallibilmente la proclami» (Dei Filius).

L’articolo che segue mostra quale significato concreto ha rivestito tale prospettiva negli interventi di papa Celestino I (422-432) negli stessi anni e secondo la stessa mens con cui Agostino veniva componendo il De civitate Dei. Ma può costituire anche oggi un’immagine semplice e bella di Chiesa che non si fa da sé come, ripetendo le parole dell’Ecclesiam Suam, ha riproposto in questi tempi papa Benedetto XVI.



Español English Français Deutsch Português