La preghiera, i miracoli, la verginità di Maria, l’umanità di Gesù
Benedetto XVI in Avvento e a Natale
Udienza generale
mercoledì 7 dicembre 2011
I piccoli

La nascita di Gesù, pannello ligneo policromo della chiesa di San Martino, Zillis, Svizzera
giovedì 8 dicembre 2011
L’unica insidia di cui la Chiesa può e deve aver timore è il peccato dei suoi membri
mercoledì 14 dicembre 2011
Il Donatore è più prezioso del dono accordato; il dono viene concesso “in aggiunta”

Gesù guarisce uno storpio, pannello ligneo policromo della chiesa di San Martino, Zillis, Svizzera
domenica 18 dicembre 2011
Maria desidera che il Figlio che nascerà da lei possa essere tutto dono di grazia
Sullo sfondo dell’avvenimento di Nazareth c’è la profezia di Isaia. «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7, 14). Questa antica promessa ha trovato compimento sovrabbondante nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Infatti, non solo la Vergine Maria ha concepito, ma lo ha fatto per opera dello Spirito Santo, cioè di Dio stesso. L’essere umano che comincia a vivere nel suo grembo prende la carne da Maria, ma la sua esistenza deriva totalmente da Dio. È pienamente uomo, fatto di terra – per usare il simbolo biblico – ma viene dall’alto, dal Cielo. Il fatto che Maria concepisca rimanendo vergine è dunque essenziale per la conoscenza di Gesù e per la nostra fede, perché testimonia che l’iniziativa è stata di Dio e soprattutto rivela chi è il concepito. Come dice il Vangelo: «Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1, 35). In questo senso, la verginità di Maria e la divinità di Gesù si garantiscono reciprocamente.
Ecco perché è così importante quell’unica domanda che Maria, “molto turbata”, rivolge all’Angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1, 34). Nella sua semplicità, Maria è sapientissima: non dubita del potere di Dio, ma vuole capire meglio la sua volontà, per conformarsi completamente a questa volontà. Maria è infinitamente superata dal Mistero, eppure occupa perfettamente il posto che, al centro di esso, le è stato assegnato. Il suo cuore e la sua mente sono pienamente umili, e, proprio per la sua singolare umiltà, Dio aspetta il “sì” di questa fanciulla per realizzare il suo disegno. Rispetta la sua dignità e la sua libertà. Il “sì” di Maria implica l’insieme di maternità e verginità, e desidera che tutto in Lei vada a gloria di Dio, e il Figlio che nascerà da Lei possa essere tutto dono di grazia.
mercoledì 21 dicembre 2011

Gesù bambino, particolare della Natività, Andrea Pisano, pulpito del Duomo di Siena
sabato 24 dicembre 2011
Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo
Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente? La lettura della messa dell’aurora dice al riguardo: «Apparvero la bontà di Dio… e il suo amore per gli uomini» (Tt 3, 4). Per gli uomini del tempo precristiano, che di fronte agli orrori e alle contraddizioni del mondo temevano che anche Dio non fosse del tutto buono, ma potesse senz’altro essere anche crudele e arbitrario, questa era una vera “epifania”, la grande luce che ci è apparsa: Dio è pura bontà. Anche oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto potente e originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo nel nostro cosmo. «Apparvero la bontà di Dio… e il suo amore per gli uomini»: questa è una nuova e consolante certezza che ci viene donata a Natale.
Dio è apparso – come bambino. Proprio così Egli si contrappone a ogni violenza e porta un messaggio che è pace. In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace. Amiamo il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio.
Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, san Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale «la festa delle feste» – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con «ineffabile premura» (2 Celano 199: Fonti francescane 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ibid.).
Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. «Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini»: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo.
Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore e interiore che rende il cuore capace di vedere. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede e incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato.
domenica 25 dicembre 2011
![Benedetto XVI durante la santa messa della notte di Natale 2011 [© Osservatore Romano]](http://www.30giorni.it/upload/articoli_immagini_interne/16-12-012.jpg)
Benedetto XVI durante la santa messa della notte di Natale 2011 [© Osservatore Romano]
Così lo invoca un’antica antifona liturgica: «O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio». Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci!
Sì, questo significa il nome di quel Bambino, il nome che, per volere di Dio, gli hanno dato Maria e Giuseppe: si chiama Gesù, che significa “Salvatore” (cfr. Mt 1, 21; Lc 1, 31). Egli è stato inviato da Dio Padre per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte (cfr. Gen 3, 1-7). Questo è il grande male, il grande peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidandoci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: «Veni ad salvandum nos! - Vieni a salvarci!».
Il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone già nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infatti siamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati (cfr. Est [greco] 10, 3f). Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invocare aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, e che può venire in nostro soccorso.
Perciò, cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, in questo Natale 2011, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Vergine Maria, e diciamo: «Vieni a salvarci!».
lunedì 26 dicembre 2011
Cari amici, la vera imitazione di Cristo è l’amore, che alcuni scrittori cristiani hanno definito il «martirio segreto». A tale proposito san Clemente di Alessandria scrive: «Coloro che mettono in pratica i comandamenti del Signore gli rendono testimonianza in ogni azione, poiché fanno ciò che Egli vuole e fedelmente invocano il nome del Signore» (Stromatum IV, 7, 43, 4: SC 463, Paris 2001, 130). Come nell’antichità anche oggi la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio. Ma, ci ricorda il Signore, «chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato» (Mt 10, 22).
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