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tratto dal n. 12 - 2011

LETTURA SPIRITUALE/44


Nei battezzati rimane la concupiscenza ad agonem/per la lotta cioè per la preghiera



Gesù salva Pietro dalle acque, mosaico del XII secolo, Cattedrale di Monreale (Palermo) [© Enzo Lo Verso]

Gesù salva Pietro dalle acque, mosaico del XII secolo, Cattedrale di Monreale (Palermo) [© Enzo Lo Verso]

Introduzione

 

Come commento al canone 5 del decreto De peccato originali del Concilio di Trento, che pubblichiamo qui di seguito, abbiamo pensato di riproporre nella rubrica Nova et vetera due testi. Il primo – Sulla concupiscenza. Il desiderio cattivo e il desiderio buono – è tratto dal volume Senso religioso, peccato originale, fede in sant’Agostino (allegato a 30Giorni, n. 1-2, 2006). Il secondo – «La fede domanda»– è costituito da alcuni brani di don Luigi Giussani sulla preghiera (pubblicato su 30Giorni, n. 1, 2008, pp. 53-64).

Entrambi questi testi evidenziano come il propriumdella risposta della libertà dell’uomo all’attrattiva della grazia sia preghiera. «Quod operum lex imperat hoc fidei lex impetrat / Quello che la legge comanda la fede lo domanda», dice sant’Agostino (De Spiritu et littera 13, 22). «Et fides orat / Anche la fede prega», dice ancora sant’Agostino (Enchiridion de fide, spe et caritate 2, 7). La fede infatti non è conquista né possesso nostro, ma è riconoscimento / confessio / che domanda / supplex.

Il secondo testo riproposto in Nova et vetera si rivela in maniera sorprendente come il cuore dell’esperienza cristiana vissuta da don Luigi Giussani. Così, avvicinandosi il settimo anniversario della sua morte, che ricorre il prossimo 22 febbraio, i brani che ripubblichiamo aiuteranno a cogliere il cuore della sua esperienza, ricapitolabile in queste sue parole: «La preghiera non è una attività, è l’attività dell’uomo secondo tutte le dimensioni della sua persona; l’attività che non sia preghiera non è attività umana, manca della verità di partenza e della verità nel fine». Sono le stesse parole di Agostino, quando dice che porre la speranza nella preghiera, rappresenta «totum atque summum negotium / l’attività totalizzante e somma» della vita cristiana (De civitate Dei XV, 21).

A questo proposito, è molto suggestivo un appunto, inviato a 30Giorni da una persona dei Memores Domini, in cui si legge una frase di don Giussani del 1992. Era andato a trovare alcune persone e, sulla soglia della porta di casa, congedandosi, disse: «Pensate a quella ragazza di quindici-diciassette anni [Maria] che viveva tutto come preghiera, che riconduceva tutto alla preghiera: noi dobbiamo fare come lei. È da quarant’anni che lo ripeto e nemmeno uno mi ha ancora preso sul serio». Forse ci voleva quella persecuzione che don Giussani prevedeva nell’aprile 1992 («L’ira del mondo oggi non si alza dinanzi alla parola Chiesa, sta quieta anche dinanzi all’idea che uno si definisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come autorità morale. Anzi c’è un ossequio formale, addirittura sincero. L’odio si scatena – a mala pena contenuto, ma presto tracimerà – dinanzi a cattolici che si pongono per tali, cattolici che si muovono nella semplicità della Tradizione» [L. Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia, introduzione del cardinale Joseph Ratzinger, Edit-Il Sabato, Roma 1993, p. 104]) perché a qualcuno, negli anni seguenti, fosse donato di essergli vicino nel ricondurre tutto a preghiera.

 

 

Decretum de peccato originali, can. 5 (Denzinger 1515)

 

Si quis per Iesu Christi Domini nostri gratiam, quae in baptismate confertur, reatum originalis peccati remitti negat, aut etiam asserit, non tolli totum id, quod veram et propriam peccati rationem habet, sed illud dicit tantum radi aut non imputari: anathema sit.

In renatis enim nihil odit Deus, quia «nihil est damnationis iis» (Rm 8, 1), qui vere «consepulti sunt cum Christo per baptisma in mortem» (Rm 6, 4), qui «non secundum carnem ambulant» (cfr. Rm 8, 4), sed veterem hominem exuentes et novum, qui secundum Deum creatus est, induentes (cfr. Ef 4, 22-24; Col 3, 9s), innocentes, immaculati, puri, innoxii ac Deo dilecti filii effecti sunt, «heredes quidem Dei, coheredes autem Christi» (Rm 8, 17), ita ut nihil prorsus eos ab ingressu caeli remoretur.

 

Manere autem in baptizatis concupiscentiam vel fomitem, haec sancta Synodus fatetur et sentit; quae cum ad agonem relicta sit, nocere non consentientibus et viriliter per Christi Iesu gratiam repugnantibus non valet. Quin immo «qui legitime certaverit, coronabitur» (2Tm 2, 5). Hanc concupiscentiam, quam aliquando Apostolus «peccatum» (cfr. Rm 6, 12-15; 7, 7.14-20) appellat, sancta Synodus declarat Ecclesiam catholicam numquam intellexisse peccatum appellari, quod vere et proprie in renatis peccatum sit, sed quia ex peccato est et ad peccatum inclinat. Si quis autem contrarium senserit: anathema sit.

 

 

Decreto sul peccato originale, can. 5

 

Se qualcuno nega che per la grazia del Signore nostro Gesù Cristo conferita nel battesimo viene rimessa la colpa del peccato originale, o anche sostiene che non viene tolto tutto ciò che ha vera e propria natura di peccato, ma dice che il peccato viene solo cancellato o non imputato, sia scomunicato.

Infatti in coloro che sono stati rigenerati Dio non trova nulla di odioso, perché «non vi è nessuna condanna» (Rm 8, 1) per quelli che «col battesimo sono stati veramente sepolti insieme a Cristo nella morte» (Rm 6, 4), i quali «non camminano secondo la carne» (cfr. Rm 8, 4), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi di quello nuovo, creato secondo Dio (cfr. Ef 4, 22-24; Col 3, 9s), sono stati resi innocenti, immacolati, puri, senza colpa e figli cari a Dio, «eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8, 17); di modo che assolutamente nulla li impedisce dall’ingresso in cielo.

 

Questo santo Concilio confessa e crede che nei battezzati rimane tuttavia la concupiscenza o fomite; ma, poiché questa è stata lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e virilmente la combattono con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, «chi ha lottato secondo le regole riceverà la corona» (2Tm 2, 5). Il santo Concilio dichiara che la Chiesa cattolica non ha mai inteso che questa concupiscenza, chiamata qualche volta dall’Apostolo «peccato» (cfr. Rm 6, 12-15; 7, 7.14-20), viene chiamata peccato perché in coloro che sono rigenerati è peccato veramente e propriamente, ma perché ha origine dal peccato e al peccato inclina. Se qualcuno pensa il contrario sia scomunicato.



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