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VATICANO
tratto dal n. 03 - 2005

Il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti

Straniero, ma non estraneo


Centosettantacinque milioni di persone nel mondo si trovano oggi, in qualità di migranti, in Paesi diversi da quelli d’origine. Come possono i Paesi ospitanti integrare queste persone rispettandone la cultura, senza assimilarle o ghettizzarle? Intervista con Agostino Marchetto


di Tommaso Marrone


Agostino Marchetto

Agostino Marchetto

«IIntegrazione dei migranti, e non assimilazione o ghettizzazione; non sviluppo separato, “apartheid” dello spirito». Monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, introduce la delicatissima e quanto mai attuale questione dell’immigrazione, partendo dal senso profondo del messaggio del Papa alla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato di quest’anno incentrata sulla “Integrazione interculturale come simpatia e comprensione tra le diverse culture”. «L’espressione “interculturale” non è usata a caso perché richiama anche la componente religiosa presente in ogni cultura», spiega Marchetto, che mette un preliminare al dialogo che deve instaurarsi tra il migrante e il Paese che lo ospita: «L’impegno da parte degli immigrati nell’osservare le leggi che regolano le comunità locali, e soprattutto il rispetto dei diritti umani da parte di tutti, dell’ospite e dell’ospitato. Questo preliminare al dialogo è un filo rosso che percorre anche tutta la nostra recente istruzione Erga migrantes caritas Christi».
Monsignor Agostino Marchetto, nato a Vicenza nel 1940, ha alle spalle ben trentacinque anni di servizio diplomatico, dei quali venti trascorsi in Africa. Nel 1999 è stato nominato da Giovanni Paolo II osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao, Ifad, Pam), incarico che ha lasciato per assumere la Segreteria del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti.

Di che si occupa in concreto questo Pontificio Consiglio?
AGOSTINO MARCHETTO: È soprattutto un think tank, come è stato definito. Certo, poi c’è l’agire, col rispetto naturalmente delle competenze di ciascuno, e in primis delle Conferenze episcopali (in genere attraverso le loro commissioni nazionali) e dei vescovi diocesani; un dirigere insomma «la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o che non ne hanno affatto». Il Pontificio Consiglio «s’impegna perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza spirituale, se necessario anche mediante opportune strutture pastorali, sia ai profughi e agli esuli, sia ai migranti», come vuole la Pastor Bonus. In tutto ciò si richiede una cura pastorale specifica che va oltre quella ordinaria, territoriale, parrocchiale, e la completa.
Le linee di tendenza rilevano una crescita sempre maggiore dei flussi migratori, che coinvolgono sempre più Paesi. Qual è il suo parere al riguardo?
MARCHETTO: All’alba del terzo millennio circa 175 milioni di persone si trovano, in qualità di migranti, in Paesi diversi da quelli d’origine. Non parliamo quindi dei migranti interni ai propri Paesi, né dei rifugiati. Dunque, più o meno una persona su 35 nel mondo è migrante internazionale, e poco meno della metà, circa il 48%, sono donne. Si stima che 56 milioni di migranti si trovino in Europa, circa 50 milioni in Asia, 41 milioni in America del Nord, 16 milioni in Africa, 6 milioni nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, e altrettanti in Oceania. Tra gli Stati che ospitano il maggior numero di immigrati ci sono gli Stati Uniti d’America – un primato assoluto, con circa 35 milioni –, seguiti dalla Federazione Russa, con 13 milioni.
Emigranti partono con i loro pochi averi dal Kenya

Emigranti partono con i loro pochi averi dal Kenya

Sarebbe interessante esaminare la provenienza della popolazione immigrata in ognuno di questi Paesi…
MARCHETTO: Per brevità e non disponendo di dati statistici sicuri, come per esempio per la Federazione Russa, mi limito soltanto ad alcuni esempi, con cifre approssimative.
Negli Stati Uniti gli immigrati provengono da almeno 40 Paesi, tra cui il Messico – 9 milioni –, la Cina, Hong Kong,Taiwan – un milione e mezzo –, le Filippine – 1,4 milioni –, il Viet Nam – 986mila –, la Polonia, con 480mila immigrati. La Germania ha una popolazione straniera proveniente da 18 nazioni, fra cui dalla Turchia 2 milioni. Il Giappone riceve immigrati da almeno dieci Paesi. Infine uno studio delle Nazioni Unite prevede che entro il 2050 entreranno in territorio europeo 50 milioni di immigrati. Tali flussi migratori, dunque, lasciano immaginare una crescita proporzionata di esigenze, a livello sociale ed ecclesiale, sempre più pressanti.
Tra le esigenze c’è un ordine di priorità?
MARCHETTO: V’è un’esigenza che vale per tutti, pur nella diversità dei contesti culturali, e l’ho già menzionata, quella della progressiva integrazione intesa nel giusto senso, cioè capace di trovare un ragionevole equilibrio – quella “ragionevolezza civica” di cui parla il Papa nel suo messaggio – tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui. Il Santo Padre attesta infatti che «è necessario riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dell’ordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini». Se qualcuno poi obietta che l’incontro fra culture diverse mette a rischio l’identità culturale, rispondo che non è necessariamente così. Anzi, la coscienza della propria individualità culturale può essere “risuscitata” proprio dall’incontro con persone di diversa cultura, senza che tale coscienza sia concentrata in modo fondamentalistico o di chiusura mentale, e diventi causa di lotte e contrapposizioni o si traduca in semplice tolleranza. È necessario che tutti ci sforziamo di raggiungere e di creare una vera e propria coesistenza tra le varie culture, soggette però a quello che si chiama “diritto naturale” o, in termini oggi più accettati, diritti umani.
Per l’aspetto ecclesiale ricorderò, invece, come esigenza prioritaria, la collaborazione indispensabile tra Chiese d’origine e di arrivo dei migranti, anche se la responsabilità pastorale immediata grava su queste ultime, nel rispetto peraltro della cultura anche religiosa dei nuovi arrivati. È caratteristica peculiare e nuova dell’istruzione prima ricordata la “categorizzazione” – se così si può dire – dei migranti stessi. Sarebbe bene tener presente, del resto, che la realtà religiosa fa parte della cultura di un popolo.
Non bisogna dimenticare il composito mondo degli itineranti, «l’altra faccia» come lei sostiene «del nostro impegno pastorale».
MARCHETTO: Usando il termine “itineranti”, si mette insieme, sotto uno stesso ombrello, come si dice in inglese, tutta la realtà della mobilità umana, che è una delle caratteristiche del mondo d’oggi, dell’umanità contemporanea. È un’umanità che si muove sempre di più, diventando maggiormente cosciente, quindi – io lo penso, ed è straordinario l’impatto che ne potrà derivare per la pace nel mondo – della necessità di formare una sola famiglia di popoli solidali. Ne abbiamo avuto una prova, forse a sorpresa, in occasione del maremoto, a fine dicembre, che ha prodotto una sorta di “globalizzazione della solidarietà”, grazie a Dio e alla buona volontà di uomini e donne di tutti i Paesi.
Il Pontificio Consiglio, uscito rinnovato dalla costituzione apostolica Pastor Bonus del 1988, come gli altri organismi di Curia è ora «uno strumento nelle mani del Papa», e «rivolge la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto»
Ma non tutte le esperienze sono uguali…
MARCHETTO: Ci sono aspetti caratterizzanti l’esperienza del turista e del pellegrino, del nomade e del “lunaparchista”, del pescatore e marinaio, del crocierista, del membro di equipaggio, di chi fa piccolo cabotaggio, del viaggiatore aereo e di colui che lo serve, dell’automobilista e di quanti lavorano al suo servizio, di chi abita la strada: pensiamo mai ai ragazzi e alle donne di strada e ai senza fissa dimora? Credo che sia bene lasciare al sociologo o allo psicologo le considerazioni a questo proposito. Io rispondo invece sul piano pastorale e dico che tutte queste categorie in mobilità possono forse rappresentare una condizione di maggior apertura all’eterno e sempre attuale messaggio di Cristo, alla nuova evangelizzazione, rispetto a quella dell’uomo installato e fermo nel proprio Paese. E questo senza voler minimizzare il rischio di relativismo che può nascere dall’itineranza. Tale situazione è dunque un rischio, ma anche una sfida, un’opportunità, un’occasione in cui vi sono anche aspetti, per molti, di allontanamento dallo stress di ogni giorno, e quindi di maggior serenità e pace. La Chiesa comunque deve seguire, come può, quest’essere umano in movimento, deve cercare di raggiungerlo in questa posizione di eterno viator, per comunicargli, sempre e di nuovo, il suo tesoro: il Vangelo, le Beatitudini, il Padre nostro. È questione – come dicevo – di pastorale specifica, adattata alla situazione sempre più comune oggi.
Come valuta il suo lavoro di questi anni? Quali sono le prospettive del Pontificio Consiglio?
MARCHETTO: Non mi piace fare bilanci personali; preferirei eventualmente esaminarmi davanti a Dio, che scruta i cuori e tutto vede e giudica con giustizia e misericordia. Ma chi lo desidera può esaminare l’opera del nostro dicastero, raccolta alla fine di ogni anno, nel sito vaticano della Curia romana o nella nostra rivista People on the Move. Certo, posso dire che in questi poco più di tre anni d’impegno nel Pontificio Consiglio – pur venendo in fondo da un altro mondo, quello della diplomazia della Santa Sede, dove ho servito per 36 anni, specialmente in Africa – mi sono innamorato di questa pastorale specifica. Solo vista nel suo insieme questa composita realtà rivela la sua importanza, e la necessità di una pastorale ad hoc; che fa soffrire, perché tanti sono i limiti della nostra risposta, anche per la scarsità di operatori pastorali, a fronte della gravità e larghezza del fenomeno; ma che dà altresì speranza, oltre ogni incomprensione, poiché anche in questo caso la Chiesa si rivela madre e maestra.
Dunque non parliamo di bilancio. Possiamo però rilevare che la pubblicazione dell’istruzione Erga migrantes caritas Christi – a circa 35 anni dalla De pastorali migratorum cura – costituisce finalmente un punto di fermo riferimento, dopo tre anni dedicati alla sua preparazione. E tutti mi avevano detto, proprio all’inizio del mio servizio di segretario, che era indispensabile un nuovo documento. Certo in pentola bollono ancora parecchie cose in relazione a orientamenti pastorali per i rifugiati, i nomadi, sulla pastorale della strada e altro; ma non mi pare di poter dire di più. In ogni modo quest’anno avremo, qui a Roma, tre importanti convegni internazionali, vale a dire il XII seminario internazionale dei cappellani cattolici dell’Aviazione civile, il congresso sulla pastorale delle donne di strada, anche nel contesto del traffico di esseri umani, e infine un incontro mondiale sulla pastorale degli studenti esteri, che vedrà l’applicazione anche in questo campo della recente istruzione. Insomma, il nostro cantiere è bene in movimento.


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