Home > Archivio > 03 - 2005 > Un gesuita alla corte dei Ming
MOSTRE
tratto dal n. 03 - 2005

La mostra a Roma su padre Matteo Ricci

Un gesuita alla corte dei Ming



di Pina Baglioni


Ritratto di Matteo Ricci di Emanuele Yu Wen-Hui, detto Pereira, in deposito presso la Chiesa del Gesù, Roma

Ritratto di Matteo Ricci di Emanuele Yu Wen-Hui, detto Pereira, in deposito presso la Chiesa del Gesù, Roma

La riproduzione di un “orologio ricciano” è sistemata proprio all’inizio del percorso espositivo: si tratta di un articolato marchingegno di ferro forgiato a mano, con suonerie che segnano le ore e i quarti. L’ingombrante meccanismo è una sorta di “premessa” a “Padre Matteo Ricci. L’Europa alla corte dei Ming”, la mostra allestita fino al 10 aprile in una sala del complesso monumentale del Vittoriano a Roma e curata da Filippo Mignini. È un omaggio all’instancabile padre gesuita che, penetrando in Cina nel 1583, non esitò a farsi «barbaro per amore di Cristo» riuscendo là dove altri prima di lui avevano fallito: cioè a trasmettere nozioni tecnico-scientifiche tali da far fare alla Cina della dinastia Ming un balzo in avanti di secoli. Ma soprattutto, grazie alla sua capacità di assimilarsi in un contesto totalmente altro, ad attirare alla fede cristiana molti dei cinesi che, in ventisette anni passati in quell’immenso Paese, ebbe modo di incontrare e di istruire.
Una mostra dedicata a Matteo Ricci che esordisce con un orologio non è certo un caso: i marchingegni meccanici infatti, insieme con le carte geografiche, i mappamondi e gli astrolabi – alcuni esemplari sono visibili al Vittoriano –, furono i primi “grimaldelli” con cui quest’uomo straordinario scardinò le inaccessibili porte del Celeste Impero alla fine del XVI secolo, suscitando un’ammirazione e un interesse inimmaginabili in un mondo chiuso a qualsiasi sollecitazione esterna. Percorrendo l’itinerario espositivo, ecco che via via si conoscono gli studi, i maestri, le tappe, le opere fondamentali di un’esistenza fuori dal comune. Ricci era nato da nobile famiglia a Macerata il 6 ottobre 1552, appena due mesi prima che Francesco Saverio morisse su un’isoletta davanti a Canton, a un passo dal traguardo di annunciare il Vangelo in Cina. Disattendendo il progetto paterno di una carriera amministrativa presso la Corte pontificia, il 15 agosto 1571 Matteo bussava al noviziato dei Gesuiti in Roma per entrare nella Compagnia. Presso il Collegio Romano frequentò i corsi di retorica e di filosofia. Proprio qui si formò in quella cultura europea che più tardi introdurrà nel regno della Cina: sulla Retorica e la Poetica di Aristotele, interpretato e commentato da Tommaso d’Aquino, e sui latini Cicerone e Quintiliano. Soprattutto sul Cicerone del De amicitia, che qualche anno più tardi farà riecheggiare nell’omonimo trattato da lui composto in cinese: settantasei sentenze tratte da classici greci e latini che tanto lo faranno apprezzare presso quel popolo; l’autografo del testo cinese e della traduzione italiana è esposto in mostra. Studiare filosofia, a quei tempi, voleva dire studiare anche la matematica, l’aritmetica e la geometria. E nell’ambito delle scienze matematiche venivano incluse anche astronomia, geografia, cartografia, scienze della misurazione del tempo e dello spazio, trattazioni sugli orologi e gli astrolabi. Tutto ciò era considerato, presso il Collegio Romano, nient’altro che mero strumento e supporto dell’evangelizzazione. Ma il maestro decisivo nella formazione del giovane Ricci, colui che gli consegnerà le “chiavi” per entrare in Cina, fu, senza dubbio alcuno, il tedesco Cristoforo Clavio, uno dei più celebri matematici del tempo: da lui ricevette la preparazione più avanzata nella geometria euclidea e nell’astronomia aristotelico-tolemaica. Con i maestri del Collegio Romano, invece, iniziò gli studi teologici, che perfezionerà a Goa, in India, dove, fin dai tempi di Francesco Saverio, c’era un importante seminario.L’immenso bagaglio scientifico e teologico del giovane gesuita si fonderà, come rivelano le sue Lettere (1580-1609), con una straordinaria simpatia umana nei confronti delle diversità culturali: pur essendo uno dei più giovani padri del collegio di Goa, non temette di denunciare il diverso trattamento dei giovani indiani accolti nella Compagnia, rispetto agli europei. Ai padri indiani infatti venivano affidate solo le «parrocchie basse» per impedire che insuperbissero. Così come qualche, tempo dopo, dovette difendere, a Macao, l’iniziativa di impiegare giovani insegnanti cinesi per far apprendere la lingua ai padri gesuiti. Insegnanti che i suoi confratelli avrebbero volentieri «rimandato a zappare». «Questi padri non sanno portare amore alle cose della cristianità» dirà il Ricci. Ma dopo Clavio, ecco un altro fondamentale incontro per il giovane: quello con padre Alessandro Valignano, il visitatore delle missioni gesuitiche d’Oriente, arrivato nell’isola di Macao nel 1578. Fu lui il primo a comprendere i motivi dei numerosi fallimenti dei precedenti tentativi dei gesuiti e, prima ancora, dei francescani di evangelizzare la Cina; per cui elaborò quello che poi, più tardi, sarebbe stato chiamato il metodo dell’“inculturazione”, vale a dire dell’assimilazione dello straniero alla cultura del Paese, a partire proprio dall’acquisizione perfetta della lingua. Impresa, questa, realizzata con grande successo da Matteo Ricci anche grazie alla sua prodigiosa memoria. Così, dopo cinque tentativi falliti dal suo compagno Michele Ruggeri di entrare in Cina, ecco che finalmente, nel settembre del 1583, il governatore della città di Zhaoqing, Wang Pan, accoglieva la richiesta del Ruggeri e di Matteo Ricci di poter costruire nella stessa città una casa con chiesa: era un primo passo, decisivo, con il quale si metteva piede all’interno del Paese. Valignano ordinò ai due padri di puntare dritti su Pechino per ottenere la conversione dell’imperatore o almeno il permesso di libera predicazione del cristianesimo. Ricci giungerà nella capitale solo diciotto anni dopo. Ai successi si alterneranno momenti difficilissimi. Tutti annotati nell’Entrata della Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina, un’opera grandiosa, l’unica finestra aperta, anche nei secoli successivi, su quell’immenso e misterioso Paese. Al Vittoriano si può ammirare la riproduzione di una pagina autografa.
Sopra, Cristoforo Clavio, pagina dal Trattato sulla costruzione e l’uso degli orologi,1586, Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti, Macerata

Sopra, Cristoforo Clavio, pagina dal Trattato sulla costruzione e l’uso degli orologi,1586, Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti, Macerata

Tappa dopo tappa Matteo Ricci assumerà l’abito e l’aspetto dei monaci buddisti e successivamente quello dei letterati confuciani. Cambierà il suo nome con quelli di Li Madou e di Xitai, “maestro del grande Occidente”. Stupirà governatori e mandarini con orologi, carte geografiche universali, astrolabi, sfere armillari, globi terrestri e celesti con i quali accompagnava altri doni provenienti dall’Europa. Dimostrando ai cinesi, sempre con grazia e umiltà, che oltre alla Cina esistevano anche altri mondi. Una vita sempre in bilico, alla mercé degli umori e della simpatia dei potenti tanto che si sentì a volte «spazzatura del mondo». Intanto, nel 1585, aveva tradotto e stampato i Dieci Comandamenti e il Credo. E mentre a Roma ci si fissava sull’andare di corsa a Pechino per convertire l’imperatore in quattro e quattr’otto, Ricci si ritrovava accanto a sé una prima piccola comunità di sessanta cristiani. Cacciato da Zhaoqing, nel 1589 si spostò a Shaozhou, più a nord. Lì comprese un altro aspetto peculiare del popolo cinese: l’amore per i libri e la capacità di stamparne in grande quantità. Da Shaozhou passò poi a Nanchang e ancora a Suzhou e a Nanchino, dove consolidò la sua fama di scienziato, traducendo in cinese i primi sei libri di Euclide, riuniti sotto il titolo Libro elementare di geometria. Infine giunse alla meta più agognata: Pechino. Il 24 gennaio del 1601, dopo diciotto anni di fatiche inenarrabili e di amore straordinario per la nuova patria di adozione, la porta della Città proibita, che non si era aperta agli ambasciatori delle più grandi potenze del mondo, una per tutte la Spagna, si apriva dinanzi al mite, pacifico e tenace Li Madou. Non si apriva soltanto ai suoi quadri a olio, tra cui uno del Salvatore e due della Madonna, ai suoi orologi e ai libri dalle splendide rilegature, ai prismi, alle stoffe, alle monete e ai cristalli d’Europa; si apriva alla lealtà dello straniero divenuto cinese, al Vangelo e alla sua virtù. Si apriva perché quel padre gesuita aveva compreso tanto in profondità i cinesi da sorprendere loro stessi. La Cina era «un altro mondo», «la maggior maraviglia che in questo Oriente si ritrova in cose naturali e di soprannaturali», scrive Ricci nelle sue Lettere: l’estensione geografica, la sua antichità, l’autosufficienza economica, l’ingegno e l’arte dei suoi abitanti, la perfetta organizzazione sociale e politica, la sua forte identità nazionale, ne erano le prove. Ricci inoltre si rese conto che i cinesi cercavano il loro paradiso sulla terra, non riconoscevano altra nobiltà che quella che si può acquisire con le lettere, non amavano le armi e la guerra e per questo erano sospettosi e dediti alla difesa. Insomma, il gesuita si trovava di fronte un impero non assoggettato ad armi straniere e talmente autosufficiente da concedersi persino di ignorare l’esistenza di altre potenze planetarie. E Matteo Ricci fu riconosciuto maestro da un tale popolo.
L’imperatore Wanli, che Ricci non poté mai incontrare, decise che quello straniero poteva vivere all’ombra del suo palazzo, senza mai più allontanarsi dalla capitale. Gli conferì il titolo di mandarino e provvide al suo mantenimento e a quello di altre persone della casa, fino alla morte del “maestro del grande Occidente”, avvenuta l’11 maggio del 1610. Derogando per la prima volta nella storia della Cina a una ferrea tradizione, l’imperatore concesse un terreno per la sepoltura di uno straniero che non vi morisse in missione diplomatica. La sua tomba è onorata ancora oggi a Pechino. Il giorno della sua morte, i cristiani in Cina erano duemilacinquecento.


Español English Français Deutsch Português