REPORTAGE. I bambini del Congo
Noi che non siamo Harry Potter
A Kinshasa, fino agli anni Ottanta, non si era mai parlato di bimbi allontanati dalle proprie famiglie perché ritenuti stregoni. Ma, con l’ arrivo delle sette religiose e con gli esodi causati dalla guerra, il fenomeno si è diffuso. Tanto da creare un esercito di decine di migliaia di bambini di strada che ogni giorno lottano per sopravvivere
di Danilo de Marco
In queste pagine, alcune immagini dei ragazzi di strada nel quartiere di Matete a Kinshasa, dove proliferano centinaia di sette religiose cristiane che, speculando sulla disperazione della gente, hanno creato il fenomeno dei “bambini stregoni”
Ndoki vuol dire in lingua indala stregone. La malattia di un parente, la perdita del lavoro, un raccolto che va male, vengono attribuiti generalmente a un atto di stregoneria. La morte, peggio se è di un giovane – l’africano non comprende la morte di un giovane – ha bisogno di spiegazioni. La colpa, così, è sempre data a qualcuno che ha fatto il malocchio, a un atto maligno subito. Persino un brutto sogno suscita sospetti. In una situazione che stagna nella più miserabile delle condizioni, quando una famiglia con decine di rampolli non riesce più a sfamarsi, diventa possibile accusare perfino il proprio figlio di essere ndoki… stregone indemoniato. Così molti ragazzi non sopportano di vivere in un sopravvivere. In queste condizioni, la strada diventa per loro il luogo della libertà, l’ambiente e il mezzo di socializzazione pricipale che sostituisce la famiglia sia come integrazione che come protezione sociale.
La credenza nella stregoneria è diffusa in Africa, ma a Kinshasa non si era mai parlato di bimbi stregoni. È solo dagli anni Ottanta, con l’arrivo delle sette religiose e con il forzato esodo rurale dovuto all’emarginazione economica e alla guerra, che questo fenomeno si è acutizzato. Le sette hanno saputo leggere molto bene nella psicologia dell’africano che crede nella parola e non nei fatti. Una religione facile, esaltata, che si può comperare per un dollaro, accompagnata da miracoli dal vivo e canti di massa. I pastori di queste sette, diventate una moltitudine, hanno così cominciato a promettere soluzioni miracolose e salvifiche. Pastori che si trasformano in esorcisti e obbligano i bambini “a vomitare il diavolo”. Se questo non avviene è facile gioco accusare uno dei numerosi figli, individuando possibilmente il più debole, di esserne il responsabile, di praticare l’arte della stregoneria.
Ogni disgrazia familiare ha bisogno di un colpevole. L’anno passato diverse centinaia di ragazzini vennero cacciati dalle loro case a Mbuji-Mayi, una città mineraria, accusati di aver fatto arte del maleficio facendo così crollare il prezzo dei diamanti. Il bambino viene accusato di aver compiuto ogni genere di atto, perfino di aver mangiato, dopo averla uccisa, la propria vittima. La maggior parte dei ragazzi di strada proviene oggi da queste esperienze familiari. Ma la situazione è degenerata talmente che anche nelle famiglie benestanti non è raro che avvengano casi del genere.
Ragazzi di strada e bambini-soldato. Esiste ancora una relazione tra questi ragazzi e la società: ancora non si sono formate bande organizzate ma già i primi figli dei ragazzi di strada incominciano a crescere. Una bomba in attesa di esplodere in un prossimo futuro. Che cosa possiamo aspettarci da giovani che sono stati maltrattati dalla società, messi al bando, violentati, costretti giovanissimi a uccidere il più delle volte senza una ragione se non quella a loro ignota di proteggere i privilegi dei signori della guerra?
Attorno alle ricchezze minerarie del Congo si continua a combattere la “prima guerra mondiale africana”: oro, diamanti, tungsteno, ma soprattutto il coltan, dalla cui raffinazione si estrae il tantalio, elemento indispensabile per fabbricare i condensatori che si trovano in ogni computer, in ogni palmare, in ogni telefono cellulare, in ogni playstation. Senza il coltan il mondo tecnologico si fermerebbe subito.
Come scriveva il New York Time magazine, «la storia del coltan sembra chiara: la globalizzazione stava causando la rovina di un Paese disperato. Per la nostra passione, per i nostri gingilli elettronici, guerriglie si arricchivano, gorilla venivano massacrati, e gli indigeni venivano pagati una miseria per devastare l’ecosistema locale».
Una gioventù disperata quella congolese, ma ancora in ascolto… prima che sia troppo tardi.