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TESTIMONIANZE
tratto dal n. 04 - 2005

I ricordi di venti cardinali



Parte I


Il suo testamento semplice
in cui ricorda paolo vi

del cardinale Bernardin Gantin
decano emerito del Sacro Collegio

Bernardin Gantin

Bernardin Gantin

È un grande Pontefice quello che ci ha lasciati. Per lui il cordoglio è stato universale, direi che è stato il cordoglio del secolo. La storia della Chiesa sarà testimone della sua grandezza e della sua immensità: umana, spirituale, pastorale, missionaria. Giovanni Paolo II ci ha lasciato un testamento di grande semplicità, in cui si è riferito più volte al grande papa Paolo VI.
Per me i ricordi sono tanti. Tanti, avendo vissuto qui a Roma più di venticinque anni con lui, come suo collaboratore nella Curia romana. I ricordi che mi legano a lui sono quindi moltissimi. Ma uno in particolare mi rimane nel cuore, mi è particolarmente caro. Ed è legato al momento in cui mi ha concesso il permesso di tornare nel mio Benin.
Non era facile né per me chiederlo, ero il cardinale decano, né per lui concederlo. Per tre mesi trattenne la lettera con la mia richiesta senza dare una risposta. Alla fine mi invitò a pranzo e mi disse: «Va bene, sono d’accordo». Capì quanto forte fosse il legame che ho con la mia terra natìa. L’avermi ridato al mio Paese è stato un gesto per me indimenticabile. Mi ha permesso di tornare nella mia Africa, come missionario romano.


ha vissuto il suo battesimo come ogni cristiano
del cardinale Roger Etchegaray

Roger Etchegaray

Roger Etchegaray

È difficile per me parlare di Giovanni Paolo II. L’ho conosciuto vent’anni prima che fosse eletto. L’ho conosciuto bene perché insieme abbiamo lavorato molto per l’Europa, già allora. È stato un pioniere di un’Europa davvero viva, allargata, al servizio del mondo intero. Quando è diventato Papa l’Europa è rimasta uno dei suoi cantieri di lavoro.
Di ricordi personali ne avrei molti, ma dirò soltanto questo: l’ho accompagnato tante volte nei suoi viaggi, ma ricordo in particolare il primo che fece nella sua patria, la Polonia. Allora pronunciò una frase che non ho più dimenticato, citata tante volte come una frase chiave del suo pontificato. Era a Varsavia, nella piazza chiamata della Vittoria, proprio dove si svolgevano le manifestazioni del regime comunista. Lo sento ancora, sento ancora la sua voce forte, quella che aveva quando era più giovane. Lo sento dire questa frase: «Non si può escludere Gesù Cristo dalla storia dell’uomo. Fare questo è agire contro l’uomo». Sono parole molto forti, penso, parole che sintetizzano bene tutto il suo pontificato.
Oggi, vedendo questa enorme folla, sono davvero sicuro di star vivendo – e non solo io – una specie di esercizio spirituale, come se facessi un ritiro spirituale. Lo devo ai media, che ci hanno offerto, con tanta abilità e coscienza professionale, tutto quello che è successo in questi giorni. Ci hanno presentato una sfilata di folla, di uomini, di donne, di giovani, talvolta di bambini, che si dirigevano verso un corpo, quello di Giovanni Paolo II esposto a San Pietro, camminando per sei ore o forse più. Mi sono chiesto perché questo Papa oggi, in questi giorni, è più Papa che mai, nei giorni più grandi del suo pontificato. Da morto è ancora Papa, più che mai, probabilmente perché la folla si avvicina a lui, con tanta dignità, in silenzio. Probabilmente ognuno lo fa con motivazioni diverse, ma c’è comunque in ogni uomo, in ogni donna, in ogni ragazzo che si avvicina al corpo del papa qualcosa di molto profondo che ci fa riflettere. Voglio dire che Giovanni Paolo II ha saputo risvegliare in ognuno di noi la parte, pur piccola che sia, d’innocenza che esiste in ciascun uomo, anche se reso vecchio dal peccato, ferito dal peccato. Credo che in ogni uomo, per corrotto che sia, ci sia una parte, un angolino che resta “esposto al sole di Dio”, per usare un’immagine poetica. E così il Papa ha saputo ridare fiducia a ogni uomo, proprio perché non ha escluso Gesù dalla vocazione umana.
Per concludere, credo che questo Papa, Giovanni Paolo II, debba essere preso tutto intero. È stato Papa per più di ventisei anni, e dobbiamo prenderlo dall’aurora scintillante del suo pontificato fino al tramonto pieno di dolore. È sempre lo stesso Papa, un Papa che rappresenta tutti gli aspetti della condizione umana. Certo, questo Papa, a cui sono stato molto vicino, si è fatto conoscere in modo mediatico, ma forse non si sa che per coloro che gli erano accanto era un uomo d’interiorità, pieno di pudore su di sé, sulla sua fede. È straordinario il modo con cui ha vissuto il suo cristianesimo, il suo battesimo come ogni cristiano.

Giovanni Paolo II il grande.
Un uomo di preghiera

del cardinale Giovanni Battista Re

Questo 263° successore di Pietro, questo Pastore profondamente umano, questo leader che trascinava la gioventù, era innanzitutto un uomo di preghiera.
Colpiva come egli si abbandonava alla preghiera: si notava in lui un trasporto che gli era connaturale e che lo assorbiva come se non avesse problemi e impegni urgenti che lo chiamassero alla vita attiva. Il suo atteggiamento nella preghiera era raccolto e, in pari tempo, naturale e sciolto: testimonianza, questa, di una comunione con Dio intensamente radicata nel suo animo; espressione di una preghiera convinta, gustata, vissuta.
Giovanni Battista Re

Giovanni Battista Re

Commuoveva la facilità, la spontaneità, la prontezza con le quali egli passava dal contatto umano con le folle al raccoglimento del colloquio intimo con Dio. Quando era raccolto in preghiera, ciò che succedeva attorno a lui sembrava non toccarlo e non riguardarlo.
Egli si preparava ai vari incontri che avrebbe avuto in giornata o nella settimana, pregando.
Prima di ogni decisione importante Giovanni Paolo II vi pregava sopra a lungo. Più importante era la decisione, più prolungata era la preghiera.
Nella sua vita vi era un’ammirevole sintesi fra preghiera e azione. La sorgente della fecondità del suo agire stava proprio nella preghiera. Egli era convinto che il suo primo servizio alla Chiesa e all’umanità era quello di pregare. L’aveva detto egli stesso: «Il primo compito del Papa verso la Chiesa e verso il mondo è quello di pregare» (omelia al Santuario della Mentorella, L’Osservatore Romano, 31 ottobre 1978).
Questo pontificato così è pienamente comprensibile solo tenendo conto della dimensione interiore, contemplativa, che ha animato e sostenuto questo Papa, uomo di grande preghiera personale oltre che maestro nella fede. Per questo egli aveva gli occhi per “vedere l’invisibile”. E per questo ha avuto la forza di restare sulla breccia fino all’ultimo.

UN UOMO CHE SAPEVA ASCOLTARE
del cardinale Godfried Danneels
arcivescovo di Mechelen-Brussel
Godfried Danneels

Godfried Danneels

I ricordi più personali che conservo di papa Giovanni Paolo II risalgono ai primi tempi della nostra conoscenza, quando fu convocato il Sinodo particolare dei vescovi olandesi. Io ero stato nominato arcivescovo di Mechelen-Brussel da quindici giorni andai a Roma per partecipare a quel Sinodo dove ero stato nominato presidente delegato. Trascorsi a Roma più di tre settimane, accanto al Papa. L’impressione che il Papa mi fece in quella circostanza, e anche dopo, è stata quella di un uomo che sapeva realmente ascoltare a lungo. Durante le settimane del Sinodo non fece altro che ascoltare, senza fare lui grandi interventi, i vescovi olandesi, che gli esponevano questioni abbastanza delicate.
Secondo me Giovanni Paolo II aveva due qualità che difficilmente si trovano in una stessa persona. Era un leader naturale, che sapeva prendersi le sue responsabilità. E allo stesso tempo era un uomo molto caloroso e cordiale. Conosco molti leader freddi come anatre, pur essendo buoni leader. E altri che magari sono molto cordiali, ma non valgono niente come leader. E poi era un uomo di grande intelligenza con una cultura in cui confluivano la filosofia, l’arte, il senso della civiltà. Era un vero filosofo. E la sua filosofia era un umanesimo. La sua riflessione era concentrata sulla natura profonda dell’uomo. Da qui prendeva le mosse la sua battaglia a favore dell’umanizzazione dell’uomo e per contrastare le tendenze alla disumanizzazione in atto nella modernità. Anche tutto quello che ha detto riguardo alla morale sessuale si inscriveva in questa battaglia. Un altro aspetto eccezionale in lui era la sua grande capacità di relazioni. Lo si è visto soprattutto nel suo rapporto coi giovani, che per me ha avuto qualcosa di straordinario. Ha saputo trasmettere a tutti,ma specialmente ai giovani, il senso della paternità. Questo è l’innegabile segreto della sua presa sui giovani. In una generazione senza padri, lui rappresentava il senso della paternità. Quando è venuto in Belgio nell’85, qualcuno ha detto: amano il cantante, ma non la canzone. Magari non erano d’accordo con quello che diceva, ma lo ascoltavano perché si sentivano in confidenza con la sua figura.


NON MI SORPRENDE
LA FILA DI PELLEGRINI

del cardinale Francis Arinze

Francis Arinze

Francis Arinze

Sua santità Giovanni Paolo II era un uomo di Dio così grande che ognuno che ha avuto la grazia di essere vicino a lui poteva vedere solo alcuni lati della sua ricchissima persona. Eccone quattro in breve che vorrei menzionare.
Credeva e confidava nella Divina Provvidenza. L’ho visto lasciare le cose nelle mani di Dio e non cercare di forzarle.
Pregava. Era uomo di preghiera. Anche nelle grandi celebrazioni a piazza San Pietro, o nei pellegrinaggi apostolici, sapeva nella santa messa essere raccolto come se fosse solo.
Mi colpiva la sua fede nel vederlo celebrare la santa messa. La sua ars celebrandi era più eloquente delle encicliche, anche se pure queste erano molto nutrienti.
Papa Giovanni Paolo II aveva un posto nel suo grande cuore per tutti: cattolici, altri cristiani, altri credenti, l’umanità.
Non mi sorprende che la fila di pellegrini che aspettano per dargli l’ultimo saluto si conta oggi in chilometri. Grande uomo di Dio!
Ha Suscitato e rafforzato

la speranza cristiana
del cardinale László Paskai
arcivescovo emerito di Esztergom-Budapest

László Paskai

László Paskai

La persona di Giovanni Paolo II ha lasciato un’impronta particolare nella mia anima. Mi ha colpito prima di tutto la coerenza e la fedeltà con cui ha compiuto il ministero petrino.
Nella sua attività pastorale si è manifestato il mandato di confortare i fratelli che Gesù ha affidato a Pietro. Il Papa lo ha messo in pratica quando predicava la parola di Dio nella città di Roma e nel mondo intero. Ha fatto la stessa cosa anche con i suoi scritti. Attraverso le encicliche e le lettere apostoliche ha rafforzato la fede dei fedeli nelle circostanze attuali, nelle questioni spirituali e morali odierne.
Ha compiuto il ministero petrino suscitando e rafforzando la speranza cristiana. È rimasto particolarmente nella mia anima il fatto che i suoi interventi, anche quando trattavano questioni difficili, si concludevano con un pensiero di speranza. Lui alimentava la speranza prima di tutto durante gli incontri con i giovani.
La sua vita spirituale cristiana faceva parte integrante del suo ministero petrino. Seguiva Cristo in modo eroico. Era un Papa di preghiera. Si poteva sperimentare che aveva un contatto intimo con Gesù Cristo. Ogni giorno nella preghiera parlava del suo ministero con Gesù e da Lui ha ricevuto indicazioni e la forza per trovare le soluzioni e per poter guidare la Chiesa universale.

L’umiltà di accettare le cose che lo facevano soffrire
del cardinale Fiorenzo Angelini

In questi giorni ho sentito e letto, attraverso i mass media, esaltare questo Vicario di Cristo per tante imprese storiche: abbattimento di regimi, contatti con i popoli più diversi, con le religioni più svariate, con tutti, anche con quelli che sembravano i più lontani. Ora questo non sarebbe stato possibile senza la forza soprannaturale di quest’uomo, una forza che veniva dall’amore alla meditazione, all’unione con Dio. In parole più elementari, veniva dalla sua preghiera, dalla sua capacità, dalla sua intelligenza di pregare. Quando questo Papa pregava, e pregava ore e ore ogni giorno, lo vedevamo sprofondato nella preghiera, assorto come se fosse a contatto anche visivo con il Signore.
Quindi è giusto ricordare che è stato il Papa della pace, dell’ecumenismo, della gioventù, degli sportivi, degli scienziati; che è stato un padre, di quella paternità spirituale che abbraccia tutto e tutti, non soltanto i cristiani nel mondo; ma questo è un uomo che ha potuto compiere quello che ha compiuto perché lo faceva nascere dalla forza che otteneva in questa unione con Dio, in questa capacità di elevare la sua mente a Dio. Questa sua adesione al soprannaturale era il fondamento di ogni iniziativa che ha intrapreso. Anche quelle che sembravano non essenziali, come la valorizzazione della musica rock, dei balli e dei canti dei giovani, fino all’ammirazione della competizione sportiva, intesa come elevazione dello spirito, oltre che del corpo.
Nessuno poteva lontanamente immaginare quello che sarebbe accaduto nell’arco supremo della sua malattia e immediatamente dopo la sua morte. Io sto qui a via della Conciliazione e sotto le mie finestre sono in attesa decine e decine di migliaia di persone con pazienza eroica. Molti non hanno neanche le condizioni di salute per sostenere tante ore di attesa. C’è gente di tutte le età, perché è stato il Papa di tutti gli archi della vita, di ogni persona. E oggi lo stanno osannando come un santo. Qui su via della Conciliazione hanno creato parecchi altarini con le fotografie, con lumicini e pezzi di carta in cui si domandano delle grazie.
Fiorenzo Angelini

Fiorenzo Angelini

Santo. Non è da ora che io pronuncio questa parola. Io l’ho scritta varie volte e detta pubblicamente da alcuni anni: questo è un Papa santo. E se la proclamazione della santità potesse avvenire, come accadeva anticamente, anche a furor di popolo, oggi questo Vicario di Cristo sarebbe proclamato santo, perché nessun pontefice ha mai avuto questo osanna. Questo Papa ha fatto quasi un cammino inverso, nel suo attraversare questa Gerusalemme terrena, di quello di Gesù. Ha vissuto prima la sofferenza della passione e poi gli osanna. Infatti il Papa è arrivato all’apice di questa gloria, anche umana, attraverso una sofferenza personale non comune. Ed è stato un Papa attento al valore cristiano della sofferenza, al fatto che Cristo Gesù è la sofferenza vinta dall’amore. È stato il primo Papa che nella storia della Chiesa ha dato una lettera apostolica sul senso cristiano della sofferenza umana, la Salvifici doloris del febbraio 1984. Lui stesso ha vissuto e praticato la meravigliosa parabola del Buon Samaritano: si ricorda sempre quando, accompagnato da Madre Teresa, si chinò sui moribondi indiani; ma non era un fatto isolato. Quante volte, accompagnandolo negli ospedali romani, l’ho visto visitare malato per malato, sostando con ognuno di loro senza calcolare il tempo, come se quel malato fosse l’unico. Si vedeva che non erano gesti formali, ma gesti da santo e da apostolo. Io ho imparato moltissimo da quelle visite.
Anche come ha saputo soffrire nell’ultimo periodo della sua vita è stata una grande testimonianza. La sua umiltà non nasceva soltanto dall’essere buono, è stata eroica. Perché nessun sovrano e nessuno di noi avrebbe avuto il coraggio di presentarsi alle folle in quelle condizioni, malato più dei malati, a volte senza poter parlare, inerme come un mendicante. L’abbiamo visto compiere qualche gesto che poteva apparire di insofferenza, ma era invece di sottomissione voluta alla volontà di Cristo, che gli impediva in quel momento anche di salutare una folla e dire anche solo “arrivederci”.
Ma forse i momenti di maggior sofferenza per il Papa furono altri due. Il primo fu l’attentato dell’81, che lo lasciò sgomento. Oltre al dolore fisico, il Papa lì ha avuto una sofferenza dell’anima, dello spirito e della mente, che si sono uniti alla paura di morire. Paura più che giustificata, perché io che ho assistito all’operazione al Gemelli posso testimoniare che solo un miracolo l’ha salvato. Le condizioni in cui si svolse l’operazione non potevano non rivelare una mano divina, quella della Madonna di Fatima.
Ma la sofferenza spirituale fu anche più forte: nessuno prima poteva pensare che si potesse attentare alla vita del papa a colpi di rivoltella per strada. Per quello che era in quel momento l’ordine mondiale, fu una cosa inaudita. E il Papa subì un trauma violento nello spirito, specialmente lui, che, essendo slavo, era portato all’ascetismo: era un filosofo, un poeta, un artista, con le sfumature psicologiche dell’attore.
La seconda cosa che lo fece soffrire, ma per cui, quasi con cristiano fatalismo, si rimise alla volontà di Dio, furono i limiti messi ai suoi viaggi apostolici, ovvero il fatto che non poté andare in Russia e in Cina. Lui me ne parlò molto. Non capivano che il Papa non era un colonizzatore, un conquistatore. Non hanno mai capito chi era davvero questo Papa, la sua immensa carità. Queste sono state sofferenze molto forti. Ma vorrei sottolineare la sua umiltà nel viverle, perché se lui avesse voluto forzare la mano e agire di getto, come tante volte faceva, avrebbe anche potuto varcare quei confini, ma la sua grande umiltà gli ha fatto capire che non doveva superare i limiti che gli consigliavano le persone che maggiormente conoscevano quei problemi.
Certo questo Papa lascia un vuoto. Ha avuto la capacità di attrarre tutto ciò che è possibile attrarre e che ha bisogno di essere attratto. E i signori della terra che verranno ai funerali insieme ai milioni di semplici persone lo dimostrano. Molti di loro non possono dimenticare i no detti a questo Papa: le divergenze sulla pace, sui riferimenti cristiani nella Costituzione europea, sui crocifissi nelle scuole, sul matrimonio omosessuale, ecc. Ma Dio scrive dritto anche sulle righe storte del mondo e dell’umanità. Lasciamo fare a Lui.

LA CAREZZA DEL PAPA
del cardinale Dionigi Tettamanzi
arcivescovo di Milano

Dionigi Tettamanzi

Dionigi Tettamanzi

Tantissimi sono i ricordi che, in questo momento di sofferto terreno distacco dal Papa, si affollano alla mia mente. Sono i ricordi di tante occasioni di incontro personale e di collaborazione con il Santo Padre nell’esercizio del suo ministero, che conservo con discrezione nel mio cuore. E, tuttavia, in questi giorni di lutto universale, non posso non fare memoria dell’affettuosissima carezza che Giovanni Paolo II mi ha fatto nei primi giorni di luglio di tre anni fa, incoraggiandomi con forza ad accettare di diventare, come lui mi voleva, vostro arcivescovo. Ho voluto ricordare questo fatto quanto mai personale perché, in quel gesto di grande delicatezza, riconosco la carezza del Papa non solo per la mia persona, ma anche e soprattutto per la diocesi di Milano. Giovanni Paolo II, infatti, alla nostra Chiesa milanese – nel cui Duomo sono conservate le spoglie mortali di san Carlo Borromeo, da lui filialmente venerato come patrono – ha sempre guardato con attenzione cordiale e con vero affetto di padre. Sono sentimenti e atteggiamenti che più volte abbiamo avuto occasione di conoscere e di apprezzare e che si sono manifestati in particolare nelle due visite alla nostra diocesi – nel 1983 per il XX Congresso eucaristico nazionale e nell’anno successivo per il IV centenario della morte di san Carlo – e nei pellegrinaggi diocesani da noi compiuti a Roma, l’ultimo in ordine di tempo per il Grande Giubileo del duemila, quando, nella sua singolare benevolenza, il Papa ha invitato il carissimo cardinale Martini a celebrare, nella festa di san Carlo, la santa messa in rito ambrosiano in piazza San Pietro.
Risuoni, allora, ancora una volta, per noi e per il nostro mondo, l’appello pressante che, con voce ferma e appassionata, Giovanni Paolo II ha rivolto a tutti all’inizio del suo pontificato: «Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!».
Dalle parole e dalla testimonianza dello stesso Giovanni Paolo II lasciamoci scuotere anche noi e «andiamo avanti con speranza», continuando a camminare nel terzo millennio, che si è aperto «davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo». Con occhi penetranti, capaci di vedere l’opera che anche oggi il Signore va compiendo con il suo Spirito nella storia del mondo, e con un cuore grande per diventare noi stessi strumenti di questa opera, contempliamo e amiamo il volto del Signore e mettiamoci in cammino, fedeli al mandato missionario del Risorto, animati dallo «stesso entusiasmo che fu proprio dei cristiani della prima ora».
(Dalla lettera alla diocesi di Milano per la morte di sua santità Giovanni Paolo II)

HA AVUTO UN RUOLO NEL TEATRO DELLA POLITICA MONDIALE del cardinale Paul Shan Kuo-hsi
vescovo di Kaohsiung
Paul Shan Kuo-hsi

Paul Shan Kuo-hsi


Considero la mia relazione con Giovanni Paolo II ravvicinata e personale. Un anno dopo essere divenuto Papa mi nominò vescovo a Taiwan e venti anni dopo mi creò cardinale. Quando raggiunsi i settantacinque anni, gli rassegnai le mie dimissioni, per tre volte, ma lui non le accettò. Così a Taiwan sono ancora un vescovo “attivo”, sebbene io abbia ormai ottantadue anni.
Ho avuto una forte impressione di questo Papa, è stato davvero un uomo grande. Grande nella fede, una fede vera e intensa in Dio, con una grande confidenza nella Divina Provvidenza.È stato un uomo di preghiera e profonda spiritualità. Tutto ciò è stato il fondamento e la sorgente delle sue azioni.È perché lui è stato così vicino a Dio che il suo cuore è stato così vicino agli uomini, specialmente ai bambini, ai poveri, ai malati.Il suo cuore è stato per l’umanità intera. Ha promosso la giustizia sociale, la riconciliazione, il dialogo, la pace nel mondo, ecco perché tanta gente è venuta a Roma a rendergli l’estremo saluto.È stato vicino ai giovani, a ottantaquattro anni li attraeva. Conosceva le loro aspirazioni, dava loro speranza, futuro, direzione. Oggi molta gente è intimorita, senza meta o principi, valori spirituali o solo morali. Il Papa glieli ha indicati chiaramente. Più di quanto i politici facciano. Il Papa ha detto ai giovani la verità e perciò loro lo hanno rispettato e adorato. E c’è stato chi a Roma ha atteso ventiquattro ore per vederlo l’ultima volta: un fatto che mi ha commosso.Allo stesso tempo ritengo che il Santo Padre abbia giocato un ruolo davvero importante nel teatro della politica mondiale, pur non essendo un politico ma un’autorità spirituale e morale. Ha detto a tutta l’umanità ciò che è giusto, ciò che è vero. Oggi molti sembrano oscurati da secolarismo, materialismo, ateismo, ma il Papa ha osato dire loro qual è la giusta direzione. È stato un grande leader religioso, non solo per i cattolici ma per tutti i cristiani, delle Chiese orientali e protestanti, e anche per chi non crede: ho ricevuto telefonate di condoglianze da Taiwan e da altre parti del mondo, da parte di buddisti, taoisti, musulmani che mi confermavano ciò. Ecco, direi che lui è stato un uomo santo. Spero e prego che un giorno, prima o poi, sia beatificato e canonizzato.Dobbiamo forse già chiamarlo Giovanni Paolo il Grande.Qual è la sua eredità per la Chiesa in Oriente?Nel 1995 a Manila per la Giornata mondiale della gioventù c’erano cinque milioni di giovani. Nello stesso periodo la Federazione delle conferenze episcopali asiatiche teneva la sua plenaria e il Papa venne a parlare ai vescovi. Fu la prima volta che lui affermò che «il terzo millennio appartiene all’Asia». Nel primo millennio infatti è stato evangelizzato il Mediterraneo, nel secondo le Americhe e l’Africa. Spero che questo sia non solo un desiderio o una preghiera, ma la profezia di un Papa profeta. Anche se la Chiesa in Asia è dovunque molto piccola, salvo che nelle Filippine, essa è comunque viva, non intimorita dal fatto di essere circondata da altre religioni, da secolarismo e materialismo, e piena di fiducia nella Divina Provvidenza. I cinesi sono stati amati da Giovanni Paolo II. Incontrandolo, nelle mie udienze private o negli incontri con gli altri vescovi asiatici, ci ha sempre detto che la sua prima preghiera appena disceso dal letto, ogni giorno, era per il popolo cinese. Ha espresso tante volte, pubblicamente e privatamente, il desiderio di visitare la Cina, ma per tante ragioni gli è stato impedito. Ora che è in Paradiso è più libero, e può andarci in ogni momento. Di fronte a Dio ora può pregare per i cinesi, intercedere per la Chiesa laggiù. La mia ultima udienza privata con Giovanni Paolo II fu lo scorso anno in maggio.Per quasi tutto il tempo parlammo della Chiesa in Cina e in Taiwan. È stato un Pastore universale, che ha avuto cura di ogni singola Chiesa locale, un padre della grande famiglia della Chiesa, un papà che vuole bene a tutti i suoi figli. E ogni volta che si era con lui ,non pareva di essere al cospetto di un Papa, tanto grande era la sua gentilezza e la sua apertura. Lui si è preso cura di noi fedeli.
IL GIGANTE DELLA FEDE
del cardinale Geraldo Majella Agnelo
arcivescovo di São Salvador da Bahia
Geraldo Majella Agnelo

Geraldo Majella Agnelo

Incontrai personalmente il santo padre Giovanni Paolo II all’inizio nel 1991 a Natal, in Brasile, durante il Congresso eucaristico nazionale quando, presentato a lui dal nunzio, venni chiamato a collaborare con il suo ministero petrino come segretario della Congregazione per il Culto divino. Il ricordo che conservo vivo nel mio cuore riguardo al rapporto con il Santo Padre riguarda particolarmente gli anni che ho vissuto a Roma. Conservo un sentimento di gratitudine, manifestata in tutti i contatti poi avuti con lui, per la testimonianza di fede vissuta. Mai ho lasciato un’udienza o una celebrazione liturgica senza arricchirmi nella fede, e, specialmente nell’esercizio della mia missione sacerdotale, questi incontri sono stati per me un esempio di sequela totale a Gesù Cristo. Ho ammirato la sua particolare esperienza umana, segnata fin dall’infanzia da circostanze difficili, che gli hanno insegnato a valorizzare l’uomo nella ricerca della felicità cercando quella soddisfazione che resta, che rimane nella transitorietà delle circostanze dell’esistenza. L’interesse per l’uomo concreto che lotta e che spera, che soffre e che ama, che lavora, ha caratterizzato i suoi discorsi, documenti, incontri, viaggi. Noi in Brasile lo abbiamo conosciuto come il Papa pellegrino. Anche nella nostra terra ha percorso centinaia, migliaia di chilometri, stabilendo subito con la nostra gente una sintonia e una reciproca simpatia. Ricordo le manifestazioni di affetto del popolo in tutte le città dove passò. La gente lo acclamava dicendo «João de Deus, João de Deus», come riconoscimento di una persona straordinaria attraverso la quale si fa presente Cristo. C’è ora un ricordo particolare che mi ritorna in mente. Ricordo una volta che ero a pranzo con lui, insieme ad altri cardinali, e si discuteva in quel momento riguardo alle donne chierichetto. Qualcuno era contrario che queste servissero all’altare e si appellò al canone 230 del Codice di diritto canonico. Il Papa allora si alzò e rispose con tono deciso: «No. No. Noi dobbiamo lasciare che anche le donne possano servire all’altare». E raccontò come, durante gli anni della persecuzione in Russia, la fede era stata conservata e trasmessa dalle nonne, dalle mamme che alla domenica riunivano i loro figli, i loro nipoti, e davano loro qualche nozione di catechismo e con dei gesti simulavano persino la messa per lasciare a loro impresso quanto fosse importante la celebrazione eucaristica, per lasciare in loro vivo il desiderio di potervi un giorno partecipare. Conservare, trasmettere la fede. Testimoniare la fede. Confidare sempre in Dio. E il Papa di questo ce ne ha dato esempio anche in questi ultimi tempi da malato, sul letto dell’ospedale, fino all’ultimo respiro. Questa è stata la sua grandezza.


per me È LA MORTE
DI UN PADRE SPIRITUALE

del cardinale
Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga
arcivescovo di Tegucigalpa
Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga

Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga


La prima volta che ho incontrato Giovanni Paolo II è stato a Rio de Janeiro nel luglio del 1980 mentre si svolgeva la commemorazione del 25° anniversario del Celam. Ero vescovo soltanto da un anno e mezzo e così quando ho potuto salutarlo, lui mi ha detto: «Lei è un vescovo giovane»; io ho risposto: «La colpa è di lei che mi ha nominato», e poi ridemmo. A un certo momento, dopo aver consumato la cena con noi vescovi, ci disse: «Ma i vescovi non sanno cantare?». «Certamente sì», rispondemmo. «Conoscete il canto El pescador?», ci chiese. E così cominciammo a cantare con un grande entusiasmo quel canto. E lui cantava con noi.
Ricordo poi bene quando lo incontrai a Roma nel 1983. In quell’anno venni per la mia prima visita ad limina. Ero amministratore apostolico a Santa Rosa de Copán. Quando entrai nel suo ufficio, lui mi disse: «Viene un vescovo giovane, ma che ha molto lavoro». Aveva una carta geografica dell’Honduras sul tavolo, non aveva nessun altro appunto e incominciò a dirmi: «Vieni, vieni, dimmi: Santa Rosa de Copán è qui; come stanno i rifugiati del Salvador?». Io fui colpito veramente perché pensava a quelli che effettivamente soffrivano di più, ai rifugiati. Dopo cominciò a dirmi cose che erano certamente nelle informazioni che io avevo inviato prima della visita ad limina: ma lui non aveva neanche un pezzettino di carta, sapeva tutto a memoria. Tutto questo mi ha impressionato sempre, una grande memoria fino all’ultimo momento.
L’ho incontrato l’ultima volta a gennaio di quest’anno, quando abbiamo finito la riunione della plenaria della Commissione per l’America Latina. Andando a salutarlo mi ha riconosciuto immediatamente. Lui scherzava sempre con il mio primo nome, Oscar, e mi diceva: «Tu sei un premio cinematografico…».
Come ho già detto alla Radio Vaticana, per me Giovanni Paolo II è stato un vero padre spirituale, e quindi per me sabato 2 aprile è stato come quando è morto mio padre. Mio padre morì quando io avevo 19 anni e adesso ho sentito proprio lo stesso senso di perdita così come avvenne allora.


IL PAPA DI TUTTI
del cardinale Cláudio Hummes
arcivescovo di São Paulo
Cláudio Hummes

Cláudio Hummes


Giovanni Paolo II sarà sempre ricordato con profondo amore e gratitudine, soprattutto dalle generazioni che, nel suo lungo pontificato, lo hanno avuto come Papa. Sarà ricordato per i suoi viaggi apostolici, più di cento, nell’intero pianeta. Le moltitudini lo hanno ricevuto affamate di parole del Vangelo e sono state confermate nella loro fede. Egli ha confermato nella fede. In primo luogo gli stessi vescovi e preti.
In questi viaggi visitava tutti e si è dato tutto a tutti: ai vescovi e ai sacerdoti, ai poveri e agli esclusi, ai malati, ai carcerati, agli affamati, ai senzatetto e ai senza terra. È entrato nelle favelas, nelle palafitte, nelle baracche, ha incontrato i piccoli contadini, i lavoratori, i commercianti, gli imprenditori, i liberi professionisti, i capi di tutte le religioni e gli uomini di buona volontà, in particolare le comunità ebraiche, i missionari e le missionarie, i religiosi e le religiose, i consacrati e le consacrate, i seminaristi, le associazioni di laici e i movimenti della Chiesa, giovani, famiglie, bambini, artisti, uomini della cultura e di università, costruttori di società, politici, uomini di governo e presidenti. Egli è stato il Papa di tutti.


La presenza di maria
nella vita del papa

del cardinale Jorge Mario Bergoglio
arcivescovo di Buenos Aires
Jorge Mario Bergoglio

Jorge Mario Bergoglio


Se non ricordo male, era il 1985. Una sera andai a recitare il santo Rosario che guidava il Santo Padre. Lui stava davanti a tutti, in ginocchio. Il gruppo era numeroso; vedevo il Santo Padre di spalle e, a poco a poco, mi immersi nella preghiera. Non ero solo: pregavo in mezzo al popolo di Dio al quale appartenevamo io e tutti coloro che erano lì, guidati dal nostro Pastore.
Nel mezzo della preghiera mi distrassi, guardando alla figura del Papa: la sua pietà, la sua devozione erano una testimonianza. E il tempo sfumò, e cominciai a immaginarmi il giovane sacerdote, il seminarista, il poeta, l’operaio, il bambino di Wadowice… nella stessa posizione in cui si trovava in quel momento, pregando Ave Maria dopo Ave Maria. La sua testimonianza mi colpì. Sentii che quell’uomo, scelto per guidare la Chiesa, ripercorreva un cammino fino alla sua Madre del cielo, un cammino iniziato fin dalla sua infanzia. E mi resi conto della densità che avevano le parole della Madre di Guadalupe a san Juan Diego: «Non temere, non sono forse tua madre?». Compresi la presenza di Maria nella vita del Papa.
La testimonianza non si è persa in un istante. Da quella volta recito ogni giorno i quindici misteri del Rosario.


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