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TESTIMONIANZE
tratto dal n. 05 - 2005

Le testimonianze di ventuno cardinali sul nuovo papa



Ventuno cardinali sul nuovo Papa. Parte II


Justin Francis Rigali

Justin Francis Rigali

Presiede nella carità

del cardinale Justin Francis Rigali
arcivescovo di Philadelphia

Nel suo primo discorso il Santo Padre ha espresso due sentimenti. Da una parte la sua inadeguatezza, l’essere umanamente trepidante; dall’altra ha confessato la sua fiducia, «in Te speravi, Domine», e ha ammesso che la fiducia è più grande della paura. Papa Benedetto ha fiducia che è stato il Signore a chiamarlo tramite i cardinali, ma io direi anche tramite tutte le preghiere della Chiesa, delle persone che hanno appoggiato i cardinali con la solidarietà della loro preghiera.
Lui è molto fiducioso che il Signore lo aiuterà, che inizierà in lui un’opera buona, secondo le parole di san Paolo.
La Chiesa è piena di speranza; il Signore ha chiamato, il Signore darà la grazia, aiuterà papa Benedetto a portare a termine il lavoro che ha iniziato nella sua vita, nel suo ministero sacerdotale. Per quanti anni, chi può stabilirlo?
Il Papa ha già espresso il desiderio di continuare sulla via del Concilio Vaticano II, e questo è bello, perché è stato lo stesso papa Giovanni XXIII a esprimere quale fosse lo scopo del Concilio. L’8 ottobre 1962 ero presente quando papa Roncalli disse che il Concilio era stato convocato principalmente «affinché il sacro deposito della fede sia più efficacemente custodito e presentato». Vi erano anche altri scopi, importantissimi certo, come l’ecumenismo, ma quello era il primo.
Papa Ratzinger ha grande esperienza, perché Giovanni Paolo II lo volle quale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e in tutti questi anni ha lavorato per la fede della Chiesa, con la premura di custodirla e presentarla più efficacemente. Come papa può ora continuare a custodire la fede, ed è facile per lui promettere fedeltà al Concilio, perché in questi anni ha vissuto la realizzazione del Concilio. Questo è il compito al quale si è dedicato sin qui. E per quanto riguarda l’ecumenismo, la realtà dell’unità visibile nella fede e nell’amore di tutti i cristiani, sarà oggetto della sua sollecitudine; e sotto la grazia dello Spirito Santo, il Papa dovrebbe portare a termine ciò che era così caro al cuore di Giovanni Paolo II e di Paolo VI: ricordiamo il testamento di papa Montini in cui chiedeva che il lavoro dell’ecumenismo andasse avanti.
Il nuovo Papa è consapevole di essere il vescovo di Roma, sa che il compito è di essere «episcopus catholicae Ecclesiae», vescovo della Chiesa cattolica, che significa essere vescovo di tutti i vescovi: ecco quindi la collegialità, che ha già menzionato. Ben consapevole cioè che sì, lui come successore di Pietro possiede la pienezza del sacro potere, e però, in modo misterioso, questo potere pieno viene condiviso anche dai vescovi: poiché il Signore ha affidato la Sua Chiesa a Pietro insieme ai vescovi, il potere è esercitato “cum Petro e sub Petro”.
La sua preoccupazione, secondo tutta la tradizione sin dalle origini, anche prima del Concilio, sarà di presiedere nella carità. Il Papa ha questa idea, presiedere nella carità, ed è molto importante la collegialità affettiva con i vescovi. Vedremo la continuità, vedremo che cosa è il papato, perché i papi recenti ci hanno dimostrato che cosa significa presiedere nella carità, ricevere i vescovi e ricevere il popolo di Dio, per cui milioni e milioni di cattolici si sentono a casa qui a Roma. Ma tocca al vescovo di Roma abbracciarli tutti nella fede e nella carità. E questo sarà.
E tutte le sfide del mondo? Vedremo che il Papa continuerà a predicare il magistero sociale della Chiesa, perché questo è ciò che Gesù insegnava. Ma Gesù andava anche ovunque facendo del bene, e la Chiesa ha ricevuto questa eredità da Lui. Giovanni Paolo II diceva che l’uomo, con tutte le sue esigenze, con tutto il suo essere, è la via per la Chiesa, e la Chiesa esiste perché ogni uomo abbia la pienezza della vita umana e cristiana.
Papa Benedetto ha ricordato che egli inizia il suo ministero in questo anno dedicato all’Eucaristia, un anno, secondo Giovanni Paolo II, in cui noi tutti possiamo comprenderla di più e rinnovare la nostra fede nell’Eucaristia, che la Chiesa proclama sacrificio di Cristo, il sacramento del corpo e del sangue di Gesù Cristo. E poi l’Eucaristia, diceva ancora papa Giovanni Paolo II, e certamente ne è consapevole anche papa Benedetto XVI, è non solo sacrificio, nostro nutrimento e nostra compagnia, ma anche sfida, perché è la persona stessa di Gesù che ci dice: «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi». Si tratta di una dimensione universale. Ecco perché la Chiesa va verso l’uomo e verso tutti gli uomini, perché essa è vicina a tutte le difficoltà e i dolori del singolo uomo, come pure delle comunità e delle nazioni.
Questo è il lavoro del romano pontefice, che si chiami Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, o Benedetto XVI: predicare Gesù Cristo, in una continuità assoluta.
Che bello, quando il Papa è stato eletto! Dopo che, secondo il rito, egli ha scelto il suo nome, e noi abbiamo pregato per lui, per prima cosa, lì nella Cappella Sistina, in adempimento del piano di Dio, il cardinale protodiacono si mette davanti al papa e proclama il Vangelo di Matteo, capitolo 16. In quell’istante si torna alle origini, affinché il papa sappia subito chiaramente che cosa lo attende. Si legge la confessione di fede di Pietro a Gesù: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente»; e la risposta di Gesù: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Che bello, tutto è chiaro sin dal primo momento: Pietro deve proclamare Cristo ed è Cristo che lo chiama e gli dà la grazia di poter adempiere alla missione di Suo vicario.
Sì, siamo pieni di speranza, e siamo pieni di fiducia. Certo, Gesù ha detto agli apostoli che nel mondo avrebbero avuto tribolazioni; però ha detto: «Confidite», abbiate fiducia, perché «io ho vinto il mondo […] e le porte degli inferi non prevarranno». Perché Pietro è edificato sulla roccia, e tutta la Chiesa, come dicono gli Atti degli apostoli, è fedele nel pregare per Pietro, e... non abbiamo altro. Dobbiamo affrontare tutto, però, i problemi e i pericoli, con la forza dello Spirito Santo, forza che il Signore infonde nel cuore del papa ma anche di tutti i fedeli. Le loro preghiere contano molto, come quelle della comunità attorno al papa, i vescovi.
La preghiera: il Signore non poteva fare di più, questo è il Suo piano di salvezza, e tutto ciò esiste affinché noi troviamo la salvezza, possiamo vivere in questo mondo piena soddisfazione e gioia, in preparazione alla vita eterna.


Jean-Baptiste Pham Minh Mân

Jean-Baptiste Pham Minh Mân

La mia speranza
per la Chiesa Cattolica

del cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Mân
arcivescovo di Thành-Phô Hô Chí Minh

Spero che il nuovo papa Benedetto XVI sia: 1) un infaticabile messaggero della Buona Novella di Cristo, per aiutare la Chiesa a essere testimone dell’amore di Dio per tutta l’umanità; 2) un pastore che incoraggi e che guidi il gregge di Dio confrontandosi con la cultura del materialismo, del pragmatismo e del consumismo presenti nella vita della società moderna, verso la ricchezza della vita di Cristo; 3) un leader spirituale che serva umilmente Dio e la società tramite saggi sforzi per costruire una nuova comunità umana che viva nella verità e nella santità, nell’amore e nella pace di Cristo.
Le prospettive e le linee-guida future del nuovo pontificato sono rintracciabili nell’omelia della sua prima messa da papa celebrata nella Cappella Sistina mercoledì 20 aprile.
La Chiesa continua il suo pellegrinaggio sulla via mostratale dal Concilio Vaticano II, sotto la luce dello Spirito di Cristo: la comunione in vista di una più grande unità in un mondo globalizzato; il dialogo finalizzato a un impegno più efficace per una vita più ricca e per una più grande dignità umana in un mondo che, se guarda al futuro, si vede afflitto da incertezze e ansie.
La comunione e l’unità danno alla Chiesa una vita più ricca e una maggiore forza. Il dialogo e il servizio aiutano la Chiesa ad adempiere in modo più efficace la sua missione nel mondo moderno.

Péter Erdö

Péter Erdö


Ascoltava con attenzione l’opinione di tutti

del cardinale Péter Erdö
arcivescovo di Esztergom-Budapest

Tra i fedeli cattolici di Ungheria, ma anche nell’intera società magiara, la notizia dell’elezione del cardinale Joseph Ratzinger alla sede di san Pietro è stata accolta con grande gioia. Gli intellettuali del mio Paese conoscono molte opere del nuovo Pontefice anche in traduzione ungherese. I suoi scritti sono stati dei best seller. Si parlava molto di essi sia in pubblico che in incontri privati. Per questo alcuni anni fa l’allora cardinale Ratzinger ha ricevuto il premio “Stephanus” della Società di Santo Stefano, l’associazione e casa editrice cattolica più antica e più prestigiosa del Paese. Ho mandato il suo ultimo libro-intervista come regalo di Natale a tutti i sacerdoti della nostra diocesi.
I miei ricordi più cari sulla persona del Papa sono collegati con la sua attività nelle diverse congregazioni e commissioni della Santa Sede. Come stimatissimo cardinale ascoltava sempre con attenzione l’opinione di tutti gli altri e alla fine, nel suo intervento, offriva una sintesi elegante, apprezzando tutti gli elementi positivi emersi nella discussione. E non si limitava a dare una presentazione sintetica del dibattito, ma indicava con la massima chiarezza anche la via per la soluzione del problema.


Crescenzio Sepe

Crescenzio Sepe

La via della basilica di san paolo

del cardinale Crescenzio Sepe
prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli

Il pontificato di papa Benedetto XVI è ai primi passi, ma l’orizzonte che ha indicato alla Chiesa è vasto e porta lontano.
È bastato un gesto, la sosta in preghiera sulla tomba dell’apostolo Paolo, per indicare la grande direzione di marcia e, al tempo stesso, le radici di un ministero petrino che oggi è segno di speranza per l’umanità intera.
Nella Basilica di San Paolo, Benedetto XVI ha compiuto un pellegrinaggio tanto breve nella distanza quanto significativo nella sua straordinaria profondità. Sulla tomba dell’Apostolo delle genti, il Papa è andato a «ravvivare» la «grazia dell’apostolato» per poter meglio servire una Chiesa che, all’inizio del terzo millennio, «sente con rinnovata vivezza che il mandato missionario di Cristo è più che mai attuale». Prendere la via della Basilica di San Paolo è stato, per il Santo Padre, come prendere per sé e per la Chiesa quella via missionaria lungo la quale non esiste timore che possa disperdersi neppure un granello della fedeltà a Cristo. È spesso, come indicano i due apostoli fondatori della Chiesa di Roma, anche la via del martirio; quella che «irrigò questa terra» e la «rese feconda» ponendola a capo della «comunione universale della carità». Il pellegrinaggio a San Paolo è apparso come l’urgenza di Benedetto XVI di voler ri-svelare, sulle orme dei Padri e alla luce del Concilio Vaticano II, il carattere missionario della Chiesa e, insieme, delineare i tratti del suo pontificato.
Sede della cattedra di Pietro, Roma stessa è il primo caposaldo di una visione missionaria a tutto campo. Prima di raggiungerla fisicamente, l’apostolo Paolo si fa vivo alla capitale dell’Impero con la più importante delle sue lettere, presentandosi alla comunità di Roma quale «servo di Gesù Cristo, apostolo per vocazione» (Rm 1,1).
Benedetto XVI ci ha aiutati a leggere, nel libro aperto – e spesso inesplorato – delle nostre stesse testimonianze, pagine antiche e nuove di una realtà ecclesiale che ha sempre riconosciuto come suo compito primario il dovere dell’annuncio.
«Il Concilio Vaticano II» ha osservato papa Benedetto a San Paolo «ha dedicato all’attività missionaria il decreto Ad gentes che ricorda come gli apostoli, seguendo l’esempio di Cristo, “predicarono la parola della verità e generarono le Chiese”».
Evangelizzare è stato il primario impegno – direi l’ansia apostolica – di Giovanni Paolo II, che ha introdotto la Chiesa nel terzo millennio cristiano.
Papa Benedetto XVI, in maniera creativa, è sulle sue orme.
La Chiesa missionaria è ora in cammino sotto la sua guida. E gli orizzonti sono più vasti che mai.

José Saraiva Martins

José Saraiva Martins


la piena e totale
adesione a cristo

del cardinale José Saraiva Martins
prefetto della Congregazione delle cause dei santi

La centralità di Cristo è uno dei temi che emergono nei primi discorsi del nuovo papa Benedetto XVI. Da profondo teologo qual è, egli vede il ministero petrino, cui è stato chiamato dalla Provvidenza, nella luce del Signore, a cui chiede la forza per essere «coraggioso e fedele pastore del suo gregge, sempre docile alle ispirazioni del suo Spirito». Nell’accingersi a intraprendere tale servizio per la Chiesa universale, è, in primo luogo, a Cristo che rinnova la sua «piena e totale adesione», ripetendo le parole: «In Te, Domine, speravi; non confundar in aeternum».
Il Cristo a cui si rivolge il Papa è il Cristo risorto, costantemente presente nell’eucaristia, «che a noi continua a donarsi, chiamandoci a partecipare alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue. Dalla piena comunione con Lui scaturisce ogni altro elemento della vita della Chiesa, in primo luogo la comunione tra tutti i fedeli, l’impegno di annuncio e di testimonianza del Vangelo, l’ardore della carità verso tutti, specialmente verso i poveri e i piccoli».
Proprio perché l’eucaristia è “fonte e culmine” della vita e della missione della Chiesa, il nuovo Pontefice, sulla scia del suo immediato predecessore, chiede di intensificare, soprattutto nei prossimi mesi, l’amore e la devozione a Gesù eucaristico.
Questa centralità di Gesù Cristo, sottolineata nel di­scorso al termine della concelebrazione eucaristica con i cardinali elettori nella Cappella Sistina, la ritroviamo nei suoi interventi successivi. E così nell’omelia della messa di inizio del suo ministero petrino come vescovo di Roma, papa Benedetto XVI dice che «la Chiesa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto»; che «la santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore»; che la Chiesa nel suo insieme, con a capo i pastori, come Cristo «deve mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita in pienezza»; che una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di amare gli uomini affidatigli da Dio, «così come si ama Cristo, al cui servizio si trova».
Solo incontrando in Cristo il Dio vivente, dice ancora il Papa, noi conosciamo la vera vita; e prosegue affermando che «non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui».
E papa Benedetto finisce la sua omelia ricordando le parole indimenticabili e programmatiche del suo immediato predecessore: «Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo», facendole sue e rivolgendole, in particolare, ai giovani: «Cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a Lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo, e troverete la vera vita». Parole, queste, che certo non dimenticheranno quelle centinaia di migliaia di giovani che si accingono a partecipare alla Giornata mondiale della gioventù, che si terrà il prossimo agosto a Colonia.
La stessa linea cristocentrica viene sottolineata dal nuovo Pontefice nell’omelia pronunciata nel corso della sua visita, il 25 aprile, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Una visita che lo stesso Papa ha definito come «un pellegrinaggio, per così dire, alle radici della missione, di quella missione che Cristo risorto affidò a Pietro e agli apostoli e, in modo particolare, anche a Paolo». È stato l’amore a Cristo che trasformò l’esistenza di quest’ultimo e lo spinse ad annunciare il Vangelo alle genti. È questo stesso amore che il Papa chiede anche per sé stesso, «perché non mi dia pace di fronte alle urgenze dell’annuncio evangelico nel mondo di oggi».
E Benedetto XVI ricorda il motto che san Benedetto pose alla sua Regola, esortando i suoi monaci a «nulla assolutamente anteporre all’amore di Cristo».
Su questo pensiero il papa Benedetto ritorna nella sua prima udienza generale, il 27 aprile scorso, in piazza San Pietro. Egli chiede al padre del monachesimo occidentale «di aiutarci a tenere ferma la centralità di Cristo nella nostra esistenza. Egli sia sempre al primo posto nei nostri pensieri e in ogni nostra attività». Parole, queste, che sono un vero compendio di teologia spirituale e pastorale del nuovo successore di Pietro.

Jean-Louis Tauran

Jean-Louis Tauran


per la riconciliazione e la pace

del cardinale Jean-Louis Tauran
archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa

Partecipare a un conclave quale cardinale elettore è, anzitutto, una profonda esperienza spirituale. Personalmente ho avuto la consapevolezza che chi vota è, in realtà, uno strumento dell’azione di Dio nella sua Chiesa, una Chiesa apparsami più che mai viva e audace.
La scelta del cardinale Joseph Ratzinger quale successore del papa Giovanni Paolo II è certo l’espressione di una continuità; il nuovo Pontefice lo ha ricordato tante volte. Ma tutti noi, anzi direi tutto il mondo, abbiamo capito che Benedetto XVI, umile e sorridente, potrebbe essere il Papa che proclamerà l’eterna tenerezza di Dio. Nel mondo duro, talvolta spietato, che ci siamo fabbricati, il nuovo Pontefice ci ricorderà, con la sua mitezza, la forza dell’amore capace d’aprire nuove strade all’umanità. Del resto, scegliendo il nome Benedetto a ricordo di Benedetto XV, egli stesso ha voluto indicare che porrà il suo ministero a servizio della riconciliazione e della pace.
Mi ha anche colpito ciò che ho sentito da parecchi romani: «Questo Papa così profondo dice le cose così bene, che capiamo tutto!».
Sì, la Chiesa una volta di più ha dimostrato che, viva e giovane, è capace di sorprendere e di dire al mondo, con Benedetto XVI: «Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto».
Non c’è migliore notizia per il mondo d’oggi e di domani.

Renato Raffaele Martino

Renato Raffaele Martino


La difesa dell’uomo
da tutte le tirannie

del cardinale Renato Raffaele Martino
presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace

Ho concelebrato con papa Benedetto XVI la messa di insediamento a San Giovanni, sabato 7 maggio. Tra i passi del mirabile discorso che più mi hanno colpito, e che penso interpellino il dicastero da me presieduto, c’è stato quello riguardante la difesa dell’uomo da tutte le tirannie che hanno radice nei «tentativi di adattamento e annacquamento della Parola di Dio» e nelle «errate interpretazioni della libertà». Riallacciandosi alla fermezza di Giovanni Paolo II in proposito, ha aggiunto con inequivocabile chiarezza: «La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma una tirannia che riduce l’uomo in schiavitù». E questo non riguarda ovviamente solo l’aborto o l’eutanasia, ma anche la guerra, la pena di morte, il terrorismo, gli stermini per fame o per improvvide devastazioni dell’ambiente naturale.
Fin dall’inizio del suo ministero apostolico, con la scelta del nome, con i primi discorsi e con i primi gesti del pontificato, Benedetto XVI ha inequivocabilmente manifestato il proprio impegno in difesa della persona umana, per la promozione dei suoi inalienabili diritti e per la realizzazione della giustizia e della pace nel mondo.
Durante la sua prima udienza generale, mercoledì 27 aprile, spiegando la ragione dell’essersi voluto chiamare Benedetto – «per riallacciarsi idealmente» al venerato predecessore papa Giacomo della Chiesa che fu «coraggioso e autentico profeta di pace» –, il Santo Padre ha detto con chiarezza: «Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è anzitutto dono di Dio, dono fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l’apporto di tutti».
Del resto, nell’omelia della messa per il solenne inizio del ministero petrino, in piazza San Pietro il 24 aprile, con forti parole aveva denunciato le ingiustizie che minacciano la pace quando «i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione».
Parole tutte, queste, avvalorate dai primi gesti di grande umanità, cordialità e apertura. Il nuovo Pontefice si è subito dimostrato disponibile al dialogo con i fratelli separati, con gli ebrei, con i musulmani, con i credenti delle altre religioni e con tutte le persone di buona volontà.
Incoraggiato, sostenuto e guidato dal Supremo Pastore, il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace riprende con rinnovato slancio ed entusiasmo le sue iniziative di promozione ecclesiale di tali finalità, intensificando pubblicazioni, riunioni e seminari di studio, convegni, incontri, partecipazione qualificata ad assise internazionali, specialmente illustrando e diffondendo quest’anno il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, di recente edizione, quale prezioso strumento per il retto discernimento e l’efficace presenza e azione dei cattolici nel vasto mondo delle relazioni sociali.
Javier Lozano Barragán

Javier Lozano Barragán


«noi ci conosciamo dal 1980...»

del cardinale Javier Lozano Barragán
presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari

Ho conosciuto l’allora cardinale Joseph Ratzinger venticinque anni fa. Così, quando sono andato a prestare l’obbedienza dopo il conclave, papa Benedetto XVI, prima che io potessi parlare, mi ha detto: «Noi ci conosciamo dal 1980...». In quel tempo infatti lui era il relatore del Sinodo della famiglia e io invece il segretario speciale. E proprio per iniziare questo nostro lavoro lui mi invitò a Monaco di Baviera dove era cardinale arcivescovo. Ricordo tante cose di quel primo incontro, la sua amabilità estrema, ma anche la sua perspicacia molto grande. In quel tempo qui in Europa si dibatteva molto della teologia della liberazione. Rammento bene che lui mi chiese: «Ma che cosa è questa teologia della liberazione?». Fu questa una delle sue prime domande. In quel 1980 abbiamo lavorato insieme per tanto tempo, e per almeno tre o quattro mesi in maniera continuativa. E poi durante la celebrazione del Sinodo la nostra frequentazione fu quotidiana. Mi ricordo tanto bene che lui mi diceva: «Lei fa questa parte del lavoro e io faccio quest’altra parte». Aveva, cioè, una totale fiducia nei miei confronti e non pretendeva che io scrivessi delle semplici bozze che dopo lui avrebbe dovuto rivedere. Così si risparmiò tempo: all’epoca infatti non avevamo il computer, non avevamo niente, tutto si scriveva a mano. Lui poi a quel tempo non parlava ancora bene l’italiano e quindi tra di noi si parlava in tedesco. Spero di non essere presuntuoso nel dire che grazie a quel lavoro fianco a fianco del 1980 siamo diventati amici. Per me è stato un grandissimo privilegio lavorare in quell’occasione con lui.
Io poi sono tornato in Messico e il cardinale Ratzinger è stato chiamato a Roma a guidare la Congregazione per la dottrina della fede. In questo periodo studiavo particolarmente la teologia della liberazione e scrivevo alcuni libri. Ogni volta che capitavo a Roma, lo andavo a trovare e gli portavo i miei libri. Ricordo in particolare che gli ho portato quello dedicato appunto alla teologia della liberazione, intitolato La chiesa del popolo, teologie in conflitto, e poi quello dedicato alle sette, intitolato Perché sono cattolico, risposta alle sette. Era sempre cortese e amabile, e i nostri colloqui erano per me sempre di grande stimolo intellettuale e spirituale.Successivamente Giovanni Paolo II mi ha fatto l’onore di chiamarmi in Vaticano a presiedere il Pontificio Consiglio per la pastorale della salute. E mi ha anche nominato membro della Congregazione per i vescovi. E così ho avuto la fortuna di poter incontrare spesso il cardinale Ratzinger. A volte ho avuto modo di affrontare insieme a lui problemi anche di mia competenza come quelli bioetici. Insieme abbiamo di­scusso della questione se fosse lecito per i diaconi essere i ministri dell’estrema unzione, usanza molto diffusa in Paesi europei come la Germania e la Francia, o latinoamericani come il Brasile. Recentemente poi abbiamo avuto dei contatti per studiare la convenienza o non convenienza di collaborare con il Global Found per combattere l’Aids, la malaria e la tubercolosi, e poi per la nascita della Fondazione del Buon Samaritano, creata da Giovanni Paolo II nel nostro dicastero, proprio per aiutare i malati più bisognosi del mondo specialmente quelli colpiti dal virus dell’Hiv. A questo proposito sono molto contento che il cardinale Angelo Sodano mi abbia recentemente comunicato che il papa Benedetto XVI ha approvato per integrum l’intervento per il Forum mondiale della salute che si tiene a Ginevra a metà maggio nella sede dell’Oms, dove approva anche la predetta Fondazione.Mi piace finire questa mia breve testimonianza con un simpatico aneddoto che risale al giorno dopo l’elezione di Benedetto XVI. Insieme ad altri due cardinali stavo uscendo dalla sala da pranzo della Casa “Santa Marta”, dopo la prima colazione, quando abbiamo incontrato il Papa tutto vestito di bianco. Io gli ho detto: «Ma che coincidenza, Santo Padre!» e ho aggiunto: «Santo Padre, ha potuto dormire questa notte?». E lui ha risposto: «Si… credo che ci saranno notti peggiori…». Il secondo cardinale che era con me gli ha detto: «Ci dobbiamo abituare a vederla vestito di bianco…», e lui ha risposto con un sorriso. Il terzo cardinale gli ha infine detto: «Ma anche lei deve abituarsi a vedersi in bianco…». E lui ha risposto: «Grazie a Dio, io non mi vedo!».
Georges Cottier

Georges Cottier

Camminava nella strada recitando il rosario,
col suo berretto

del cardinale Georges Cottier
pro-teologo della Casa pontificia
La cosa che colpiva del cardinale Ratzinger era la sua semplicità. L’ho visto tante volte camminare nella strada di Porta Angelica recitando il rosario, col suo berretto. È questa la prima immagine di lui che mi viene in mente, così lontana da quella di Panzerkardinal che hanno messo in giro, e che è tutta falsa. Certo, quando lui, in coscienza, sente di dover prendere una decisione, lo fa senza esitazioni. Ma questa è una qualità.
Per parecchi anni sono stato segretario della Commissione teologica internazionale, e ogni anno c’era una settimana plenaria, durante la quale svolgevamo un lavoro intenso su diversi temi, suggeriti dalla Congregazione per la dottrina della fede o scelti dalla Commissione stessa. Durante quelle giornate ho sempre registrato una grande libertà di discussione. Il cardinale Ratzinger era sempre con noi, seguiva tutte le fasi del lavoro, e si vedeva che, avendo a che fare con la teologia e coi teologi, si muoveva, per così dire, nel suo elemento naturale. In quelle occasioni abbiamo potuto sperimentare le sue qualità umane, come l’affabilità e la capacità d’ascolto, e anche quelle intellettuali, come la capacità di sintesi. Adesso che i cardinali lo hanno scelto come successore di Pietro, abbiamo come papa un uomo sapiente, che sa che la teologia fa parte della sapienza cristiana, e che non si dà teologia senza la vita di fede. Quando nella sua prima udienza generale ha ricordato la regola di non anteporre niente a Cristo, che san Benedetto indicava ai monaci, si può dire che questo stesso criterio possiamo indovinarlo nella sua persona, anche nella maniera di fare teologia. E questa è la cosa più bella. Mi ha molto rallegrato quando si è presentato al mondo come un umile lavoratore della vigna del Signore. E quando, nella sua omelia per la messa di inizio del pontificato, ha detto che il suo programma sarà non l’affermazione di proprie idee, ma la docilità all’ispirazione di Gesù e al suo Vangelo. Papa Benedetto XVI è un vir ecclesiasticus, un uomo della Chiesa. Ha sempre avuto presente che un teologo cattolico fa teologia non a titolo personale, ma come figlio della Chiesa. Così ha vissuto la sua attività di teologo. In piena umiltà, senza cedere alla tentazione della superbia che spesso rende quella del teologo una professione a rischio, un mestiere pericoloso. Penso anche che Dio lo abbia preparato al suo incarico attuale, perché papa Ratzinger non soltanto è stato il grande teologo che è, ma il lungo periodo vissuto come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede gli ha garantito un’esperienza della vita della Chiesa di vasto orizzonte, nel contatto continuo con tanti vescovi. È un Papa che ha una visione veramente complessiva dei problemi. I grandi problemi adesso sono globali, toccano tutta l’umanità, e dal suo osservatorio, dalla sua meditazione, dalla sua preghiera, il cardinal Ratzinger è stato preparato ad affrontare tutto questo.


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