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EDITORIALE
tratto dal n. 05 - 2005

Ricordando Moro



Giulio Andreotti


Via Mario Fani subito dopo il rapimento di Aldo Moro 
e la strage degli uomini della scorta, il 16 marzo 1978

Via Mario Fani subito dopo il rapimento di Aldo Moro e la strage degli uomini della scorta, il 16 marzo 1978

Nel giorno del ventisettesimo anniversario dell’assassinio di Aldo Moro è stato autorevolmente presentato, presso l’Istituto Sturzo, l’approfondito saggio dello storico professore Agostino Giovagnoli intitolato appunto Il caso Moro, scritto utilizzando tutte le fonti possibili, compreso l’archivio dell’Istituto, che contiene tra l’altro un’articolata testimonianza ricostruttiva di quanti vissero in prima persona quelle tragiche lunghe settimane.
Riecheggia, sia pure con delicatezza di proposizione, la critica allo Stato, per non essere stato adeguatamente preparato, sia nel prevenire l’attacco delle Brigate, sia nel fronteggiarlo. Nonostante che vi fossero state già azioni molto dure, con uccisioni e (termine allora usato) gambizzazioni in tutte le direzioni e a tutti i livelli.
Si sarebbe dovuto capire che i violenti avrebbero alzato al massimo il tiro. Già nell’immediato si espressero censure per il fatto che Moro andasse su un’auto non blindata. Posso dire, in proposito, che quando (29 luglio 1976) avevo preso le consegne da Moro a Palazzo Chigi, il mio autista rifiutò la pesante macchina blindata, sostenendo che ne è disagevole la guida in città. La prese dal garage solo nel pomeriggio del 16 marzo 1978.
In quanto alla mancanza di informazioni valide su tutti i cittadini e sui loro domicili non dimentichiamo non solo che siamo in uno Stato di autentica democrazia, ma che l’opinione pubblica è restia a tutte le limitazioni alla privacy e alla piena libertà. Basti pensare alle reazioni quando il governo Rumor nel 1975 varò la Legge Reale (che porta il nome dal guardasigilli Oronzo Reale) con la possibilità di quarantotto ore di fermo di polizia prima della convalida del magistrato. Ricordo il duro attacco immediato nell’articolo di fondo de La Stampa di Torino; e il margine molto piccolo con il quale fu respinto il referendum abrogativo nonostante il sostegno politico a difesa, una volta tanto, sia dei democristiani che dei comunisti. Margine così esiguo (contestuale ad analogo esito nella legge sul finanziamento dei partiti) che l’onorevole Berlinguer si spaventò e ne fece le spese il povero presidente Leone obbligato a dimettersi.
Analogo rimprovero di scarsa vigilanza fu ingiustamente fatto in America dopo il tragico 11 settembre 2001, con gravissime accuse alla Polizia e ai Servizi perché un nucleo di delinquenti arabi aveva potuto vivere indisturbato e fare i corsi di pilotaggio.
Dura critica fu fatta, da noi, nel 1978. Circa la ritenuta inadeguatezza dei nostri Servizi di informazione. Basterà al riguardo ricordare come fosse stato politicamente lapidato il generale De Lorenzo per l’esistenza di un numero considerato eccessivo di schedati. Forse per colpire la fantasia di noi democristiani e provocarne la reazione si gridò allo scandalo perché tra gli schedati stessi vi era un vescovo austriaco residente in Roma (che peraltro aveva ospitato gerarchi nazisti in fuga). Non sto davvero a rilasciare attestazioni generali di validità dei Servizi, entro i quali tra l’altro vi era chi ci considerava illusi perché credevamo idonee le regole democratiche a salvaguardarci dal pericolo comunista.
Sullo sfondo del “caso Moro” vi era senza dubbio e prima di tutto la reazione interna (e forse anche oltre) al Partito comunista, che nel 1976 aveva lasciato passare un governo monocolore, da me presieduto, abbandonando l’opposizione, che durava ininterrottamente dal maggio 1947. Era questa la prima concretizzazione della linea Moro-Berlinguer definita di solidarietà nazionale, meglio che compromesso storico.
Dirò al riguardo che se Berlinguer doveva fronteggiare la reazione di Mosca, Moro era molto preoccupato della difficoltà di Washington a comprendere l’ortodossia per così dire atlantica di questi sviluppi. Ignorava (e non lo seppe mai) quello che era accaduto in precedenza quando aveva portato avanti i governi di centrosinistra e temeva l’incomprensione oltre Atlantico (tanto da scongiurare me di restare alla Difesa per diminuire l’impatto). Si sarebbe saputo dopo molti anni che gli americani avevano già trattato direttamente con un emissario socialista (l’onorevole Pieraccini) concordando anche un concreto piano d’aiuti diretti a sostituire quelli che, tramite il Pci, fornivano i russi.
Potrebbe sembrare non privo di consistenza il rilievo che a causa della spettacolare strage di via Fani, noi sopravvalutammo la consistenza delle Brigate. Salvi sempre i dubbi relativi, in seguito emersero un quadro dirigente e una truppa abbastanza esigui.
Nel giorno del ventisettesimo anniversario dell’assassinio di Aldo Moro è stato presentato, presso l’Istituto Sturzo,il saggio di Agostino Giovagnoli, scritto utilizzando tutte le fonti possibili, compreso l’archivio dell’Istituto, che contiene tra l’altro un’articolata testimonianza ricostruttiva di quanti vissero in prima persona quelle tragiche lunghe settimane
Avevano deciso sin dall’inizio che anche Moro sarebbe stato sacrificato, o pensavano di potere, trattando, ottenere la liberazione dei loro compagni in arresto? Le lettere di Moro aiutano solo a ricostruire i due tempi: nel primo, Moro stesso pensava di indurre il governo alla trattativa (che voleva dire riconoscimento politico della frangia di sinistra che contestava il Pci) anche attraverso l’intermediazione del Papa, a lui legatissimo dagli anni della Fuci. Accertato che non vi era questo epilogo, cercò di convincere i suoi carcerieri che sarebbe stato contiguo a loro punendo la perfida Dc e anche Berlinguer e compagni. Ad accreditare questa versione vi è, a mio avviso, una prova certa. In una delle ultime missive chiede alla Camera di trasferirlo dal gruppo Dc al gruppo misto. Penso che quando, il 9 maggio, gli fecero riprendere i suoi vestiti, egli credesse di essere rimesso in libertà. Un condannato a morte non si occupa davvero dell’appartenenza all’uno o all’altro gruppo parlamentare.
L’episodio, intermedio, del falso comunicato con l’indicazione del lago della Duchessa è stato chiarito in seguito. Convinto che il governo non potesse accedere alla trattativa, il Santo Padre aveva disposto l’offerta di una forte somma per ottenere il riscatto. Nessun ostacolo fu posto da noi, anzi sperammo nella riuscita e respirammo quando sapemmo che la strada era stata trovata (tramite il cappellano del carcere milanese di San Vittore). Successivamente, quando il sacerdote era morto e non si poteva più temere il rischio della contestazione costituzionale del segreto confessionale, si è appreso che si trattava di un raggiro. La “prova” che l’emissario vaticano aveva chiesto, per concludere il negoziato, era stata data con il preannuncio di un drammatico comunicato (falso) secondo il quale il cadavere di Moro giaceva nelle acque del lago della Duchessa. Le Br dichiararono subito falso il comunicato e nel lago venne trovato infatti un altro morto: estraneo alla vicenda.
Il 9 maggio – coincidenza singolare –, quando il falsario avrebbe dovuto riscuotere il riscatto, Moro veniva ucciso e fatto rinvenire a ridosso delle Botteghe Oscure.
È vero che sarebbe stata sufficiente la liberazione anche di un brigatista per salvare Moro, e che il presidente Leone era pronto a graziare la carcerata Besuschio? La risposta è negativa perché questa signora, anche se graziata, era sotto processo per un altro reato comportante il mandato di cattura obbligatorio, e quindi sarebbe stata addirittura un’inutile provocazione il fingere di liberarla.
Il non cedimento verso i brigatisti è da alcuni ritenuto dovuto specialmente ai comunisti, ai quali la fragile Democrazia cristiana sarebbe stata soggiacente. Non è così. E non è affatto vero che in quel crudele 9 maggio l’onorevole Fanfani era sul punto di convincere la Dc a mutare rotta accedendo alla trattativa. Salvo pochissime voci discordi, i democristiani – governo e partito – furono fin dall’inizio, e rimasero, concordi nel non ammainare la bandiera. A parte tutto, se per salvare uno di noi avessimo derogato al nostro dovere, la reazione morale delle famiglie di tutte le vittime delle Brigate sarebbe stata travolgente. Una delle vedove di via Fani ci telefonò che sarebbe venuta a darsi fuoco a piazza del Gesù.
Gli anni che passano e tanti cambiamenti sopravvenuti non attenuano il doloroso sgomento del 1978. La Dc, contrariamente a quello che Aldo aveva con fierezza a suo tempo sostenuto dal suo banco di deputato, si è lasciata processare. E si è estinta.
Senza Moro, il sapiente disegno politico da lui costruito era comunque irrealizzabile.


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