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UN LIBRO PER L’ESTATE
tratto dal n. 06 - 2005

Diario di un anno decisivo


L’introduzione a 1947. L’anno delle grandi svolte nel diario di un protagonista, il nuovo libro del nostro direttore pubblicato da Rizzoli: dai lavori dell’Assemblea costituente all’uscita dei comunisti dal governo. Dal viaggio di De Gasperi negli Usa all’abbandono della Palestina da parte degli inglesi


di Giulio Andreotti


Giulio Andreotti nella sua abitazione

Giulio Andreotti nella sua abitazione

Dal settembre 1945 ho iniziato ad annotare ogni giorno – spesso per cenni, alcune volte con una certa ampiezza – eventi e impressioni della vita pubblica. Le prime note commentano l’emozionante seduta inaugurale della Consulta nazionale della quale per l’età fui segretario provvisorio e potei dal banco della presidenza veder seduti personaggi autenticamente storici, come Benedetto Croce e Francesco Saverio Nitti.
L’incarico di collegamento tra De Gasperi e Il Popolo mi offriva una fonte diretta di notizie e di commenti, che i colleghi della stampa registravano con non poca invidia. L’anno successivo, i momenti decisivi nella scelta istituzionale e la personale esperienza di candidato alla Costituente dettero al diario un impulso di qualità e di particolare rilievo.
E così via.
Non avevo mai pensato di pubblicare il mio diario. Feci un’eccezione, ma per sintesi, per gli anni 1976-79 dovendo rettificare idee non giuste che circolavano attorno al governo della Solidarietà nazionale o, meglio, della “non sfiducia”.
Diario, documenti, ritagli di stampa, carteggi: è tutto nel mio archivio e un giorno qualcuno deciderà se mantenerlo e riordinarlo oppure destinare il tutto a quelle raccolte che una volta si chiamavano per la Sacra Famiglia. Non ho gradito affatto la garbata proposta, ricevuta tempo fa da un dirigente degli Archivi di Stato, di farmi dare una mano fin d’ora a mettere ordine e classificare. No, grazie. Comunque posso assicurare che nessuno troverà nei miei armadi scheletri o disegni di trame, come talvolta per malizia politica qualcuno ha insinuato.
L’idea di fare un’altra eccezione e di pubblicare il diario del 1947 integralmente mi è venuta nel corso degli incontri svoltisi per commemorare i cinquanta anni dalla morte del presidente De Gasperi. Perché la coalizione governativa antifascista, che aveva brillan­temente traversato il guado istituzionale, si infranse? E quali ripercussioni ebbe la rottura sul lavoro istituzionale nell’Assemblea costituente che era a mezza strada? Sono domande poste in particolare dai giovani nelle università.
Perché il 1947? Perché fu un anno di grandi svolte, a cominciare dai primi giorni di gennaio quando maturò la separazione dei socialisti democratici di Saragat dal partito di Pietro Nenni, legato a filo doppio ai comunisti, anche se essi mantenevano una distinzione formale (camminare divisi per colpire uniti).
Da parte loro i comunisti, mentre sul piano interno cercavano di mantenere il collegamento con la Democrazia cristiana e con gli altri partiti antifascisti, erano sempre più condizionati dai disegni egemonici ed espansivi del governo di Mosca. Già nel corso della Conferenza di pace Togliatti si era recato a Parigi, ignorando la delegazione e l’ambasciata italiana, per incontrare presso la rappresentanza dell’Urss i suoi datori di lavoro durante l’esilio.
Il viaggio del presidente De Gasperi negli Stati Uniti caratterizzò questo decisivo 1947. Era la riammissione dell’Italia nel contesto internazionale; e non a caso il nostro presidente non aveva accettato l’invito accade­mico per una Conferenza a Cleveland fino a quando non era stato sicuro di ottenere incontri al massimo livello governativo con concrete prospettive di solidi aiuti finanziari per la ricostruzione.
Che Washington – finito ormai l’idillio della cobel­ligeranza con i russi – guardasse con diffidenza o peg­gio ai comunisti italiani (e agli altri) è più che naturale. Sarà anzi a lungo il loro cruccio con atteggiamenti anche provocatori (la signora Luce verso De Gasperi) e comunque spietati (dichiarazione di Portorico insieme a francesi, tedeschi e inglesi contro l’apertura a sinistra di Moro).
De Gasperi però tenne a dire che nel suo soggiorno laggiù nessuno gli aveva parlato, né lui aveva fatto cenno, a problemi di partiti italiani.
Al rientro in Italia trovò il ministro degli Esteri Nenni dimissionario a seguito della scissione saraga­tiana che lo obbligava a dedicarsi interamente al par­tito, peraltro non intenzionato a distaccarsi dal gover­no, tanto più che Saragat pensava a un periodo di opposizione o almeno di astensione per pubblicizzare a tempo pieno la socialdemocrazia.
Ma De Gasperi non ritenne matura la svolta governativa. Tra l’altro era necessario concludere il dibattito parlamentare sul Trattato di pace. Occorre aggiungere anche il delicato problema della definizione costituzionale dei rapporti tra Stato e Chiesa.
Nacque così il governo del 2 febbraio con Sforza agli Esteri; tre ministri comunisti (Gullo, Sereni e Ferrari) e tre socialisti (Cacciatore, Morandi e Romita).
Furono mesi paradossali. In Consiglio dei ministri non si avevano che complimenti per De Gasperi. Ma la parola d’ordine del Pci era di segno totalmente op­posto, con tematiche contraddittorie (negando l’esi­stenza di aiuti americani e polemizzando per le finali­tà strumentali degli aiuti stessi) e con prese di posizio­ne durissime di Togliatti in persona, tra l’altro definen­do cretini gli americani.
Nel maggio si arrivò alla crisi. De Gasperi era deciso a estromettere i comunisti e i loro soci. Tra i dirigenti della Democrazia cristiana, pur condivi­dendo la condanna dell’asservimento della sinistra ai sovietici, si riteneva che la loro estromissione provo­casse reazioni non sostenibili della piazza. Nel diario ho annotato alla lettera il drammatico dibattito in direzione.
Con grande sorpresa da parte mia De Gasperi mi volle sottosegretario alla presidenza, e vissi con tanta emozione quelle settimane di collaudo. Il momento cruciale lo avemmo a Venezia, dove i comunisti avevano mobilitato fin dall’alba i compagni per disturbare al massimo il comizio del presidente in piazza San Marco.
Riuscirono a non far parlare De Gasperi perché, sperimentando per la prima volta i fumogeni, la polizia sbagliò in pieno direzione; e la loggia fu avvolta da una nube lacrimogena insieme alla metà del pubblico a noi favorevole. Ma non vi fu nessun esito travolgente per il governo. Anzi. Poco dopo avemmo, però, un fatto terribile, alla vigilia esatta delle elezioni amministrative romane. Un nostro giovane studente, Gervasio Federici, fu aggredito a coltellate da alcuni comunisti e morì dissanguato. Certamente non era stato un preciso ordine del partito, ma l’atmosfera intanto l’avevano creata. L’opinione pubblica fu scossa e forse fu uno degli elementi che fecero maturare il clima che produsse la grande vittoria del 18 aprile 1948.
La copertina del libro

La copertina del libro

Ad aiutarci fu anche la decisione dei comunisti e socialisti di presentarsi in un fronte unico, laddove la Dc e i partiti democratici avevano un’alleanza tattica, conservando ciascuno la propria fisionomia, nel rispetto della pari dignità.
Nel frattempo, con un rimpasto governativo, il 15 dicembre il governo si era allargato alla diretta partecipazione dei socialdemocratici e repubblicani fino a quel momento sostenitori dall’esterno.
De Gasperi fu sempre particolarmente riconoscente ai liberali che ne avevano fin dall’inizio condiviso l’av­ventura politica. E in particolare a Luigi Einaudi che – tanto era il suo prestigio – poté essere ministro del Bilancio, restando governatore della Banca d’Italia.
Nel frattempo la Costituente aveva concluso il suo lavoro e – stupendo esempio di civiltà democratica – la rottura della coalizione non aveva minimamente modificato la quotidiana collaborazione tra tutti i rappresentanti del popolo.
Tra le svolte del 1947 vi è anche l’abbandono inglese della Palestina. In parecchie note del diario si osservano i passaggi di questo evento che sarebbe stato (ed è tuttora) tanto decisivo.
Sono mesi che forse non si avranno più nella storia d’Italia.
Il mio diario aiuterà a seguire giorno per giorno lo snodarsi di questo anno più che cruciale. Alla luce di eventi successivi avrei potuto arricchirlo di particolari e di chiarimenti interpretativi. Ma ho preferito lasciar­lo com’è, anche se in qualcuna delle mie giornate arrivavo talmente stanco alla sera che limitavo le note a dimensioni quasi telegrafiche.


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