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ORTODOSSI
tratto dal n. 09 - 2005

Il Canone 34 dei Canoni apostolici

Ogni ministero di unità è espresso sotto forma di comunione



di Dimitri Salachas


Un’immagine della cerimonia conclusiva dell’incontro interreligioso di Lione

Un’immagine della cerimonia conclusiva dell’incontro interreligioso di Lione

I Canoni apostolici sono una collezione canonica, inserita nel libro VIII delle Costituzioni apostoliche, diffusa in Siria probabilmente verso il 380, di cui non si conosce l’autore. Essi codificano la disciplina ecclesiastica che era già in vigore prima del Concilio di Nicea (325), e che verrà confermata anche dai concili ecumenici successivi. Il Canone 34 dei Canoni apostolici, fondamentale per la comprensione dell’istituzione patriarcale e sinodale nelle Chiese d’Oriente, stabilisce: «I vescovi di ciascuna nazione [ethnos] devono conoscere [chi è] il primo [protos] tra di loro e prenderlo come il capo e non fare alcunché di importante senza il suo parere, e ciascuno operi solo in merito a cose riguardanti la propria circoscrizione e i territori che ne dipendono; ma neppure quello [il primo o capo] faccia qualcosa, senza il parere di tutti: così ci sarà concordia e sarà glorificato Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».
Il Canone 34 è il più antico che abbiamo sull’azione conciliare, e si riferisce ai vescovi di ogni nazione. Per “nazione” [ethnos] s’intende una regione, oppure, secondo alcune interpretazioni, una vasta area geografica, con le sue caratteristiche etniche e culturali che il cristianesimo, nel suo progressivo estendersi, ha sempre inteso rispettare. Questo Canone è ben noto in Occidente (Cfr. Decreto di Graziano, parte II, causa IX, quest. III C V). Esso coniuga due principi. Il primo è che in ogni regione ci deve essere un solo protos, o capo (istituzione di primazialità e di unità). Il secondo è che il protos non può agire senza i molti (istituzione di sinodalità). Non esiste nessun ministero o istituzione di unità che non sia espresso sotto forma di comunione. La concezione orientale della Chiesa richiede un’istituzione che esprima l’unicità della Chiesa, e non solo la sua molteplicità. Ma la molteplicità non può essere assorbita dalla primazialità del protos. Il ministero insostituibile del protos non può sostituire il ministero dei “molti”, cioè dei pastori delle Chiese locali. A livello, perciò, della provincia (metropoli) o, in modo più ampio, della Chiesa patriarcale, c’è un centro di unità – il metropolita, il patriarca. L’uguaglianza reale di tutti i vescovi si esprime attorno a un centro di unità reale. Il riferimento a tale centro di unità è vincolante. Ma come gli altri vescovi della provincia o del Patriarcato non devono prendere decisioni che abbiano effetti fuori dalla propria circoscrizione loro affidata senza tener conto del parere del metropolita o del patriarca, così anche lui non può prendere decisioni vincolanti per gli altri vescovi prescindendo dal loro parere. Reciprocità perfetta, a immagine di quella delle Tre Persone dell’Unica Divinità. La santissima Trinità è l’archetipo dell’unità conciliare della Chiesa. L’azione sinodale dei vescovi nella concordia rende gloria a Dio.

Dimitri Salachas
professore di Diritto canonico orientale presso la Pontificia Università Urbaniana e il Pontificio Istituto Orientale



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