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IN ALLEGATO
tratto dal n. 12 - 2005

Lo stato della giustizia
2005-2006 e le riforme



di Federico Tomassi


Sommario

1. L’ansia di giustizia

2. Il disagio della magistratura
e la crisi della giustizia

3. La lentezza dei procedimenti
e la “denegata giustizia”

4. Valore delle statistiche

5. Sintesi della relazione del ministro alle Camere
(18 gennaio 2006) – Le riforme

6. Sintesi della relazione
del primo presidente della Suprema Corte di Cassazione
(27 gennaio 2006) – Commento alle riforme

7. La riforma dell’ordinamento giudiziario:
gli illeciti disciplinari dei magistrati







1. L’ansia di giustizia

Tutte le interviste alle vittime di un reato, date dai giornali o dalle tv, si concludono con una pressante richiesta di giustizia. E giustizia vuol dire identificazione dell’autore, se ignoto, e sanzioni adeguate unite a misure di sicurezza, se noto. Le vittime, o i parenti delle vittime, non chiedono risarcimenti in denaro, ma giustizia sollecita e certa.
Il cittadino si sente minacciato e insicuro. L’uomo della strada si chiede il perché di tanti benefici a persone socialmente pericolose.
Il “buonismo” avanza con la legge Gozzini (1986), che ebbe il merito di «abolire la pericolosità presunta», ma non quella ritenuta dal giudice, che da tempo era stata abbandonata di fatto. Non sono state soppresse le case di lavoro e le colonie agricole, ma se ne è di fatto abbandonato l’utilizzo. Viceversa, l’applicazione di misure di sicurezza detentive consente il controllo costante della pericolosità del reo, condizione indispensabile per la concessione di ulteriori benefici.
Hanno colpito particolarmente l’opinione pubblica due fatti:
la mancata applicazione di misure di sicurezza detentive da parte del giudice italiano ad Ali Agca: delinquente professionale, attentatore di Giovanni Paolo II, con precedenti di omicidio e di rapina;
la mancata applicazione di misure di sicurezza ad un delinquente sessuale che, dopo avere scontata una prima condanna, continuò a perseguitare la vittima e, alla fine, la uccise.
Secondo dati del 1996, sono rimasti impuniti il 97,4% dei furti denunciati (quelli non denunciati non si contano), l’86% delle rapine, il 72% dei sequestri di persona e il 68% degli omicidi. Nel 1997 il 95% dei furti e l’86% delle rapine sono rimasti impuniti. Secondo statistiche recenti la tendenza all’impunità è in aumento.


2. Il disagio della magistratura
e la crisi della giustizia

Se si unisce il disagio del cittadino con quello della magistratura, si comprende più facilmente lo stato attuale della giustizia.
Secondo il ministro di Grazia e Giustizia sono tre le principali cause dell’insoddisfacente funzionamento della giustizia italiana:
l’inadeguatezza delle risorse;
la scarsa efficienza (lentezza dei procedimenti);
la normativa obsoleta.
Come causa del disagio va anzitutto segnalata la insufficienza delle strutture. È vero che ogni giudice ha un suo computer (quando non è guasto), ma ancor oggi la maggioranza dei magistrati, non avendo una stanza in ufficio, è costretto a lavorare a casa, come ben sanno persino alti magistrati di Cassazione.
Quanto alle cause della crisi, che ha condotto ad un inasprimento dei rapporti tra Associazione nazionale magistrati e ministro, basti leggere il periodico Magistratura (numero 3/4 luglio-dicembre 2005) per trovare giudizi sulla riforma dell’ordinamento giudiziario ora legge dello Stato, di questo tipo: «Una controriforma inutile e dannosa per il cittadino».
È vero: la crisi della giustizia esiste ed è cronica, ma è compito del sociologo studiarne gli aspetti.
Qui emerge la necessità di inserire tra le materie di studio nella Scuola superiore della magistratura anche quelle che un tempo venivano definite “scienze ausiliarie” ma che ausiliarie non sono: statistica, sociologia, criminologia e psicologia.


3. La lentezza dei procedimenti
e la “denegata giustizia”

Parlando della crisi della giustizia, il primo presidente della Suprema Corte di Cassazione, Marvulli, afferma che «la lentezza è divenuta una vera e propria componente fisiologica della amministrazione della giustizia». «A ciò si aggiunga che, rispetto a tutti gli altri Paesi (cfr. Appendice), l’Italia ha due primati che, da soli, forniscono le dimensioni della crisi: noi disponiamo del maggior numero di giudici e, ciononostante, conserviamo il primato del maggior tempo nella definizione dei processi, sia civili che penali.
Ed è a tutti noto come la esasperata lentezza della giustizia si traduca, nel campo civile, in una vera e propria “denegata giustizia” che danneggia chi un torto ha già subito e, nel campo penale, nella neutralizzazione della sanzione, quando, addirittura, in un così tardivo riconoscimento dell’innocenza, da vanificarne gli effetti».
Sulla lentezza dei procedimenti, ed in particolare sulla lentezza del procedimento civile, sono stati scritti libri, per cui appare superfluo insistere. È anch’essa un aspetto della crisi della giustizia.


4. Il valore delle statistiche

Il primo presidente dottor Nicola Marvulli, nell’introduzione del suo discorso per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2006, definisce le rilevazioni statistiche «fastidiose sequenze […] talvolta imprecise e non sempre idonee a rappresentare la realtà…». Ma già, nel 2001, il procuratore generale Favara aveva raccomandato «prudenza nelle indagini criminologiche, per le notevoli oscillazioni che i dati statistici presentano e perché essi non fotografano fedelmente la realtà».
È vero che è sempre possibile individuare delle linee di tendenza, come si fa per la durata media dei processi.
Per esempio, volendo individuare la durata media delle controversie giudiziarie nei Paesi europei e prendendo a campione l’anno 1996, si rileverà che la durata media dei tre gradi di giudizio in Italia è di 116 mesi, in Germania di 50, in Inghilterra di 52.
Ma è altrettanto vero che quest’anno 2005 è stato compiuto un ulteriore sforzo per rendere attuali le rilevazioni statistiche: esse sono state aggiornate al 20 novembre 2005 e non al primo semestre del 2005.
Possibile che con la informatizzazione del Servizio statistico, non sia possibile sapere, per esempio, quante sentenze sono state depositate e quanti procedimenti sono stati esauriti entro la fine del 2005?







5. Sintesi della relazione del ministro
della Giustizia Roberto Castelli, in occasione
dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2006
(17 gennaio, Senato – 18 gennaio, Camera)

Signor presidente, colleghi,
certamente non facciamo esercizio di retorica se diciamo che oggi, per la giustizia italiana è una data da ricordare. Infatti diamo concretezza, con questo atto solenne davanti al Parlamento, al dettato dell’art. 2 comma 29 della legge 25 luglio 2005 n. 150 di riforma dell’ordinamento giudiziario. Una legge ordinaria in termini strettamente tecnici e formali, ma, come concordano tutti gli osservatori, in termini sostanziali, essa si colloca più vicino ad una legge costituzionale. Vorrei a questo proposito ricordare le parole del presidente Ciampi: «La legge in esame – preordinata com’è a dare attuazione alla VII disposizione transitoria, primo comma, della Costituzione – rappresenta un atto normativo di grande rilievo costituzionale e di notevole complessità, come è confermato anche dalla ampiezza del dibattito cui ha dato luogo».
In effetti il testo è assolutamente rilevante per le novità sostanziali che introduce nel nostro ordinamento; ma, prima di ogni altra considerazione, vorrei richiamare il significato più profondo che ha assunto l’approvazione di questa legge.
Il nostro Paese ha sofferto e soffre ancora, come dimostrano alcuni recenti avvenimenti e le polemiche stesse che hanno accompagnato il tormentato iter di questa riforma, di un rapporto tra i tre fondamentali poteri dello Stato non equilibrato. Come è ormai storia, il culmine di questo squilibrio è stato raggiunto nella prima metà degli anni Novanta, quando vasta parte della classe politica fu delegittimata dall’azione di pochi magistrati. Non è questa la sede per analizzare il fenomeno e per darne giudizi storici o politici, solo, ci preme significare che quello fu il periodo probabilmente di massima subalternità del potere politico rispetto a quello giudiziario.
Ecco quindi il significato profondo della presenza del guardasigilli oggi qui, in Parlamento. Davanti ai rappresentanti della sovranità popolare egli rende conto dell’attività del governo relativamente alle competenze statuite dall’art. 110 della Costituzione. Viene ristabilita la centralità del Parlamento ed il riequilibrio dei poteri. Possiamo pertanto affermare, senza tema di smentita, che in occasione di questa seduta il tasso di democrazia del nostro Paese si accresce. Ma, soprattutto, cari colleghi, dovete essere orgogliosi di aver raggiunto , con l’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, un risultato mai realizzato da alcun Parlamento prima di noi. È stato un cammino aspro, difficile, sofferto, ma possiamo dire con legittima soddisfazione che il Parlamento è stato capace, per la prima volta nella storia della Repubblica, di raggiungere questo fondamentale traguardo restando fedele alle proprie prerogative costituzionali, senza lasciarsi intimorire da lusinghe, minacce, scioperi.
Azioni che possono prefigurare un tentativo di coercizione del Parlamento e, quindi, della sovranità popolare, se lette in un quadro di insieme.
Il ripristino e la difesa dell’equilibrio dei poteri, così come vuole il nostro dettato costituzionale, dicevo. Questa è stata la stella polare a cui costantemente ho guardato in questi cinque anni, anche utilizzando appieno i poteri conferitimi agli artt. 107 e 110 della Costituzione. […]
Una delle armi più efficaci in mano ai nemici della democrazia è sicuramente quella relativa all’uso illecito delle intercettazioni. […]
È questa un’occasione importante per cercare di ragionare con obbiettività e rigore scientifico sul tema dell’eccessiva durata dei processi.
Da anni vado ripetendo che, anche se divisi sui rimedi, occorre trovare un terreno comune su cui ragionare. Il Ministero, da parte sua, ha fatto un grande sforzo di chiarezza potenziando la raccolta e l’elaborazione di dati affinché fossero il più possibile attendibili ed esaustivi. Compito non facile, atteso che essi vanno raccolti da 1.601 uffici giudiziari diversi.
Tre sono le cause principali percepite come causa dell’insoddisfacente funzionamento della giustizia italiana:
- l’inadeguatezza delle risorse;
- la scarsa efficienza;
- la normativa obsoleta. […]
I dati statistici, nella loro oggettività, parlano chiaro.

Giustizia civile
Un dato si evidenzia immediatamente: in tutta la storia della Repubblica si registra un continuo aumento del contenzioso civile. Siamo passati da un milione di “nuovi procedimenti” stimati nel 1960 a 3.670.000 del 2001. Questi dati ci dicono che siamo il popolo più litigioso dell’Unione europea. Anche durante il corso di questa legislatura il trend si è attestato in aumento. Siamo infatti passati dai 3.670.000 procedimenti iscritti ai 4.200.000 del 2004 con un aumento di più di 500mila per anno.
Un dato che non può non fare pensare a misure di natura alternativa o deflativa. Se infatti non correggiamo questo trend, qualsivoglia intervento è destinato ad essere vanificato.
La giacenza media si attestava nel 2001 intorno a 87 mesi per i tre gradi di giudizio. Contestualmente, i procedimenti pendenti ammontavano a 5 milioni.

Giustizia penale
Nel 2001 i “nuovi procedimenti” iscritti a carico di “noti” erano attestati intorno al milione 473mila, mentre i relativi procedimenti pendenti al gennaio 2001 erano pari a circa 3.800.000.
Se esaminiamo anche i procedimenti a carico di ignoti, le cifre aumentano considerevolmente. I nuovi procedimenti ammontavano infatti, sempre nel 2001, a 3.500.000 con 5.800.000 pendenti.
La giacenza media si attestava intorno agli 82 mesi.
Occorre dire che la lunga durata ha determinato un aumento costante delle prescrizioni, che sono passate da 98mila nel 2001 a circa 200mila nel 2005.
A proposito di questo argomento, preciso che la legge 251 del 5 dicembre 2005, che varia alcuni termini di prescrizione, porterà, secondo le stime del Ministero, ad un aumento dei processi prescritti di circa 35mila procedimenti.
Occorre poi segnalare che esiste il fenomeno delle cosiddette “false pendenze” che sono quei procedimenti già di fatto definiti, ma non dichiarati tali dagli uffici e quindi non presenti nel sistema informatico. Su questo tema, il Ministero ha avviato una approfondita indagine, di concerto con l’ispettorato. Non disponiamo a tutt’oggi di dati esaustivi, ma si può stimare che il fenomeno interessi una quantità oscillante tra il 5 e il 10 % delle pendenze.

Impiego di risorse umane e finanziarie
I Paesi europei dedicano alla giustizia un ammontare del proprio bilancio mediamente pari allo 0,5% del Pil. Il nostro Paese non si discosta da questa linea, siamo passati dallo 0,5% del 1996 allo 0,53% del 2005 in termini di consuntivo. Come si vede siamo allineati con la maggioranza dei nostri partner europei.
Anche sul fronte delle risorse umane si è perseguito l’obbiettivo di migliorare l’efficienza. Quindi più capacità di smaltimento dei procedimenti, ottimizzando le risorse a disposizione, il che significa, nell’ottica di questo governo, più magistrati e meno personale amministrativo.
I magistrati togati in servizio sono aumentati da 8.659 a 9.201, mentre per i giudici di pace si registra un incremento da 6.043 a 7.974. Segnalo che il 10 gennaio ho inviato al Consiglio superiore della magistratura una proposta per l’aumento dell’organico di ulteriori 116 magistrati.
Contestualmente il personale amministrativo è passato da 44.027 presenze a 42.673, in ottemperanza agli obiettivi di fondo del governo relativamente alla diminuzione della spesa pubblica.

Interventi organizzativi
Fin da subito siamo stati consapevoli che, al fine di intervenire efficacemente sui ritardi della giustizia italiana, occorreva dispiegare molte energie per introdurre, sia nell’organizzazione nell’esercizio della giurisdizione, sia nella macchina ministeriale, una mentalità nuova volta all’eliminazione degli sprechi, al contenimento della burocrazia, alla cultura dell’efficienza, ad una maggiore agilità della struttura.
Su questo fronte abbiamo incontrato le stesse fortissime resistenze che abbiamo dovuto affrontare in sede di azione legislativa, in questo caso aggravate da un’azione di controllo esasperato da parte della Corte dei Conti sull’attività del Ministero che, a mio avviso, in alcuni momenti ha assunto aspetti che hanno travalicato le usuali funzioni di controllo. Mi rendo conto di fare un’affermazione impegnativa, della quale mi assumo la responsabilità, ma ritengo mio dovere rendere noto al Parlamento che solo al Ministero della Giustizia è stato di fatto impedito di avvalersi di consulenze, che in tutte le organizzazioni, pubbliche e private, portano spesso un fattivo apporto di nuova cultura e conoscenze, e soprattutto consentono di raggiungere risultati rilevanti sul piano dell’efficienza.
Malgrado questi ostacoli abbiamo raggiunto significativi risultati.
Sul piano della spesa abbiamo drasticamente ridotto i costi unitari delle intercettazioni e della stenotipia.
Sul piano dell’efficienza abbiamo fornito tutti i magistrati di computer, è stato avviato il processo telematico, è stato varato lo strumento della notifica a mezzo posta con circa un milione e 700mila notifiche nel 2005.
È stato ideato e realizzato, anche con la collaborazione del Consiglio superiore della magistratura, un potente strumento per la valutazione dell’efficienza degli uffici giudiziari, denominato “cruscotto”. La necessità di tale strumento è resa evidente dal fatto che, se disaggreghiamo i dati nazionali, emerge una eclatante disparità di efficienza tra uffici. Vi sono infatti realtà in cui un processo civile di primo grado dura mediamente 300 giorni e altri in cui il medesimo processo ne dura 1.500. Il “cruscotto” consente di individuare oggettivamente i nodi critici e di intervenire tempestivamente al fine di scioglierli.
Uno strumento in cui confidiamo molto è il processo telematico; esso è in fase di avanzata sperimentazione ed è già operativo, relativamente ai decreti ingiuntivi, al tribunale di Bologna.
Un grande sforzo, in termini progettuali ed umani, è stato espletato sul fronte dell’edilizia giudiziaria. Siamo infatti convinti che ambienti moderni e razionali migliorino di molto la qualità e la quantità dei servizi resi, compresi quelli relativi alla giustizia.
Ricordo che, nel corso della passata legislatura, sono stati finanziati 87 progetti per un totale di 435 milioni di euro. In quest’ultima, i progetti finanziati sono stati 170 per un totale di 313mila mq con una spesa pari a 616 milioni, in aumento quindi del 50%.
Se ad essi aggiungiamo gli investimenti relativi all’edilizia demaniale, abbiamo raggiunto complessivamente investimenti pari a 771 milioni di euro.

Attività legislativa – Le riforme
Nel corso della legislatura è stata varata una serie considerevole di riforme al fine di determinare l’ammodernamento della normativa, troppe volte obsoleta, come sopra richiamato.
Ricordo le più importanti:
legge 03.10.2001 n. 366, riforma del diritto societario;
legge 28.03.2002 n. 44, norme sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura;
legge 23.12.2002 n. 279, legge di proroga dell’art. 41bis;
legge 18.07.2003 modifica delle norme di accesso all’avvocatura (legge che ha posto fine al cosiddetto turismo forense);
legge 14.05.2005 n. 80, che ha delegato il governo a riformare parte del codice di procedura civile e le procedure concorsuali;
ed infine
legge 25.07.2005 n. 150 di riforma dell’ordinamento giudiziario. […]

Carceri
L’aumento tendenziale della popolazione penitenziaria è un fenomeno comune a molte società occidentali. In questi anni il fenomeno ha visto un’accelerazione dovuta all’accresciuta domanda di sicurezza da parte dei cittadini da un lato e all’aumento costante degli stranieri clandestini dall’altro.
Il nostro Paese non sfugge a queste logiche.
Oltre ai crimini tradizionali, ha assunto rilevanza il fenomeno della contraffazione di prodotti protetti da marchi e brevetti, con l’utilizzo di manovalanza tratta appunto da soggetti immigrati clandestinamente.
La Guardia di finanza, nel solo 2005, ha denunciato 11.551 persone, di cui 584 tratte in arresto. La positiva attività dell’Alto commissario per la lotta alla contraffazione, recentemente istituito, contribuirà certamente ad aumentare questi numeri, con ricadute sulla popolazione penitenziaria.
Fino agli anni Novanta la stessa è stata tenuta sotto controllo con periodici provvedimenti di amnistia e indulto.
Soluzioni accettate dai cittadini se aventi carattere straordinario, ma non condivise se usate come strumento usuale di governo del fenomeno. Il costante ricorso a provvedimenti di natura clemenziale contraddice alcuni capisaldi dell’esercizio di una giustizia percepita come equa dall’opinione pubblica. Viola il principio della certezza della pena e insinua soprattutto nelle classi sociali più deboli, che sono quelle che pagano il prezzo più alto ai cosiddetti crimini minori, un inaccettabile senso di insicurezza e di abbandono da parte dello Stato. Vorrei citare a questo proposito un pensiero del Beccaria:«Ma si consideri […] che il far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti e che la pena non ne è la necessaria conseguenza è un fomentare la lusinga dell’impunità, è un far credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate siano piuttosto violenza della forza che emanazioni della giustizia».
Negli anni Novanta, soprattutto a seguito della novella della Costituzione, questa pratica è stata abbandonata senza che a ciò facesse seguito alcuna seria politica per la gestione del fenomeno.
A questo proposito ricordo che nel decennio scorso è stata programmata la costruzione di un solo nuovo penitenziario, ponendo così le inevitabili premesse per l’attuale difficile situazione, atteso che tra la programmazione e l’avvio di una nuova struttura passano almeno, con gli strumenti tradizionali, 10 anni.
Consapevoli che l’aumento della popolazione, legata soprattutto al fenomeno dell’immigrazione clandestina, è ormai diventato un dato fisiologico del sistema, abbiamo dato vita ad un vasto piano di costruzione di nuovi penitenziari.
Di essi, 23 sono stati programmati con lo strumento tradizionale delle poste in Finanziaria e realizzazione da parte del Ministero delle Infrastrutture.
Per questa via sono stati aggiudicati i lavori di 4 penitenziari e altri 2, Savona e Rovigo, saranno aggiudicati nei prossimi giorni, per un totale di 2.000 posti.
Poiché questa procedura richiede tempi lunghi, abbiamo ricercato vie innovative, trovandone due: lo strumento del leasing e la costituzione di una società, la Dike Aedifica, che potesse impiegare fondi derivanti dalla dismissione di carceri obsoleti.
Attraverso il primo strumento sono già stati aggiudicati i lavori per l’ampliamento dell’Istituto di Bollate, mentre, invece, sul secondo fronte, la Patrimonio S.p.a., società deputata a valorizzare i vecchi penitenziari, non è ancora riuscita a garantire sufficienti finanziamenti. Consapevole del fatto che costruire nuovi penitenziari non è una risposta esaustiva, abbiamo agito sul fronte del contenimento del numero dei detenuti.
Atteso che il problema fondamentale è costituito dagli stranieri, abbiamo individuato anche qui strumenti innovativi. Attraverso la Bossi-Fini rimpatriamo, liberi, circa 100 detenuti al mese nei Paesi di origine, e abbiamo stipulato, fatto senza precedenti, accordi con Albania, Bulgaria e Romania al fine di far scontare la pena in patria. Il bilancio è fino ad ora di 3.890 detenuti espulsi.
Segnalo che il bilancio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è passato da 2.312 milioni di euro del 2000 a 2.807 milioni previsti per il 2006.
Ciò significa che un detenuto costa ai cittadini italiani circa 130 euro al giorno, mentre negli Stati Uniti 63 dollari, cioè meno della metà. A fronte di un organico di 44mila unità il corpo di Polizia penitenziaria ne conta attualmente 43mila. Ciò significa un agente ogni 1,4 detenuti. La media europea è di un agente ogni 3 detenuti, mentre quella degli Usa è di un agente ogni 7 detenuti.
E ancora, lo Stato spende pro capite per la salute dei detenuti il doppio che per i cittadini liberi. I suicidi sono passati dall’1,25 per mille del 2001 allo 0,88 per mille del 2005 (dato del 15 dicembre 2005). […]

Attività internazionale
L’attività europea ed internazionale del Ministero della Giustizia ha conosciuto, nel corso degli ultimi anni, una notevole espansione, il cui carattere appare strutturale. Tale attività si può, a grandi linee, ripartire tra l’ambito europeo, quello bilaterale e gli altri ambiti multilaterali.
Il primo settore ha avuto un rilievo affatto particolare, anche in relazione alla circostanza che l’Italia ha ricoperto, come è noto, la presidenza dell’Unione europea nel secondo semestre 2003.
Tra i risultati della nostra presidenza, che è stata concordemente ritenuta un successo, tengo a segnalare la cooperazione in materia civile, l’adozione del Regolamento sulla responsabilità parentale. Si tratta di una disciplina nuova, che regola i casi di separazione o divorzio tra cittadini di diversi Paesi membri, di sottrazione di minori, di definizione delle questioni patrimoniali. Altro risultato nel settore civile è stata l’approvazione della Posizione comune sul Titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, che consente al creditore di rivalersi del proprio credito in uno dei qualsiasi Paesi membri ove in possesso di una sentenza esecutiva.
In campo penale, è stata approvata la decisione quadro sul traffico di droga, che introduce in Europa una disciplina minima comune del contrasto a tale abietto fenomeno. Merita inoltre segnalazione l’adozione della decisione quadro contro la pedopornografia, cui si era lavorato già prima del nostro semestre, che è stata infine resa possibile con la rimozione delle ultime riserve parlamentari pendenti sul testo. […]

Attività per il 2006
Quest’anno sarà caratterizzato dalle elezioni generali, che, secondo le regole della democrazia, in linea teorica potrebbero portare anche ad un cambio della maggioranza parlamentare. Pertanto non è da escludere un mutamento di indirizzo su alcune linee di azione. Non vi è dubbio però che quale che sia il nuovo governo, occorrerà agire su alcune linee di continuità.
Sarà pertanto necessario monitorare gli effetti delle importanti riforme approvate. Mi riferisco alla riforma del diritto societario, a quella delle procedure concorsuali, alla novellazione del codice di procedura civile. Come tutte le grandi riforme esse necessitano sicuramente di messe a punto e correzioni, così come d’altra parte le relative leggi delega già prevedono.
Con la riforma dell’ordinamento giudiziario è stata creata una macchina sofisticata, complessa, che necessita di una attenta ma soprattutto capace gestione. Questa sarà sicuramente la sfida maggiore per l’anno in corso. Occorrerà anche un’interlocuzione costante con il Consiglio superiore della magistratura, organo a cui, per Costituzione, spetta un ruolo fondamentale per l’armonico dispiegarsi degli effetti della legge. Pensiamo alla creazione della Scuola, alla gestione dei concorsi per l’accesso, per l’avanzamento in carriera. Pensiamo, infine, al decentramento amministrativo, passaggio fondamentale per una giustizia più vicina ai cittadini.
Sul piano normativo, non vi è dubbio che occorre portare a termine il vasto piano di riforme avviato in questa legislatura e, quindi, sotto questo aspetto, approfittando anche dell’avvio di una nuova legislatura, che necessariamente porta con sé grandi afflati di novità, è necessario sottoporre all’esame del Parlamento testi di riforma del codice penale e del codice di procedura penale. Sia nella passata che nella presente legislatura sono stati realizzati positivi sforzi in tal senso, che purtroppo non sono andati al di là di una sia pur utile e significativa operazione di natura culturale. Da parte mia ho apprezzato sia il lavoro della Commissione Grosso che della Commissione Nordio, che ha fatto peraltro tesoro di molti principi espressi dalla prima. Confido che la prossima legislatura possa raggiungere il risultato storico del superamento del codice penale.
A questo proposito non posso che rivolgere un accorato appello ai colleghi senatori. Abbiamo la grande occasione di cancellare alcuni reati di opinione ancora presenti nel nostro ordinamento. La sua approvazione, che aumenta il tasso di libertà e democrazia del Paese sarebbe, credo, un fiore all’occhiello per questa legislatura e un ottimo viatico per quella che verrà. Vi è inoltre la stringente necessità di presentare al Parlamento un testo di riforma del tribunale dei minori, anche per superare una pagina non commendevole di questa legi­slatura che ha visto un testo presentato dal governo e profondamente elaborato dalla Commissione giustizia, bocciato in aula alla Camera, non a seguito di un franco e leale dibattito e di un voto palese, come sarebbe stato peraltro legittimo, ma attraverso un proditorio agguato per mezzo di un voto segreto. I problemi in questo campo permangono gravi e danno vita a vere e proprie tragedie esistenziali e familiari. Il governo e il Parlamento non possono più restare indifferenti. Infine, non è più procrastinabile la riforma delle professioni intellettuali, che può e deve essere varata, partendo dal vasto e articolato lavoro fatto in Parlamento e nelle Commissioni ministeriali. Ritengo assolutamente possibile giungere ad un testo largamente condiviso, che possa coniugare la necessità di liberalizzazione da un lato e di assicurare le garanzie di professionalità e deontologia che gli utenti richiedono ai professionisti dall’altro.
Colleghi, senza nulla togliere ai principi di autonomia e indipendenza della magistratura, abbiamo il dovere di intervenire per correggere alcuni aspetti che rischiano di assumere carattere patologico.
Occorre pertanto presentare un disegno di legge di riforma costituzionale che istituisca un organo indipendente, formato da esimie personalità, che funga da sezione disciplinare per i magistrati.
Occorre anche riflettere sulla necessità, in nome del principio della terzietà, di una ulteriore riforma che istituisca tribunali indipendenti, quando tra le parti in causa vi siano magistrati. È questo un principio fondamentale di garanzia che elimina ogni conflitto di interessi, così come deve avvenire per ogni manifestazione di una ordinata società fondata su principi democratici.
Per quanto riguarda la politica penitenziaria, sono profondamente convinto che, in questo momento storico, caratterizzato, da un lato da una sempre maggior richiesta di sicurezza che promana dalla società e dall’altro dalla percezione di insicurezza che la piccola criminalità, legata al fenomeno dell’immigrazione clandestina, crea, non possa esservi altra politica se non quella di fermezza, pena una grave protesta da parte dei cittadini. Ciò porta come coerente conseguenza l’aumento della popolazione penitenziaria e pertanto occorre proseguire con determinazione sulla strada intrapresa, anche e soprattutto al fine di garantire ai detenuti una sistemazione civile. Ho sempre sostenuto infatti che lo Stato ha il diritto dovere di togliere la libertà a chi viola le leggi, ma non può privarlo della dignità. Contestualmente dovranno essere individuate misure decongestionanti, che possono essere perseguite, senza offendere la sete di giustizia dei cittadini e delle vittime dei reati. Penso al lavoro come forma di risarcimento nei confronti della società, penso a interventi a favore delle detenute madri e, più in generale, verso quei detenuti che hanno figli a carico.
Infine i provvedimenti in materia di lotta alla criminalità organizzata, voluti e varati dal governo, vanno mantenuti e incrementati, atteso che si sono dimostrati efficaci.
Ricordo tra l’altro che nel 2005, utilizzando gli articoli 1 e 2 della legge n. 279 del 23 dicembre 2002, per la prima volta nella storia della Repubblica, è stato applicato il regime cosiddetto 41bis anche ad alcuni terroristi, a testimonianza della determinazione del governo nella lotta a questo triste fenomeno.
È necessario, infine, che il Parlamento vari la legge di trasposizione relativa alla decisione quadro in materia di congelamento dei beni da sottoporre a sequestro o confisca.
Signori senatori, possiamo dire con orgoglio e senza tema di smentita che mai una legislatura ha dispiegato un’azione riformatrice così vasta e profonda in tema di giustizia.
La riforma dell’ordinamento giudiziario mai realizzata nella storia della Repubblica, la riforma del diritto societario, mai realizzata nella storia della Repubblica, la riforma delle procedure concorsuali, mai realizzata nella storia della Repubblica, la riforma di una parte significativa del codice di procedura civile, mai realizzata, con questa ampiezza, nella storia della Repubblica, testimoniano il grande e fattivo impegno del Parlamento e del governo. Ma soprattutto dobbiamo essere orgogliosi di aver riaffermato, dopo anni di difficoltà, la centralità del Parlamento, il diritto-dovere di realizzare il programma presentato al popolo sovrano davanti al quale ci ripresentiamo certi di aver fatto il nostro dovere. Possiamo dire con soddisfazione ai cittadini italiani: «Abbiamo mantenuto l’impegno assunto nel 2001».


6. Sintesi della relazione del primo presidente
della Suprema Corte di Cassazione,
Nicola Marvulli (27 gennaio 2006)

Nell’esporre in forma sintetica il rendiconto annuale sull’amministrazione della giustizia risparmierò alla loro paziente attenzione quelle fastidiose sequenze di rilevazioni statistiche, talvolta imprecise e non sempre idonee a rappresentare adeguatamente la realtà, per soffermarmi, invece, sui risultati che la magistratura è riuscita a realizzare e sulle cause che non hanno consentito di esaudire tutte le legittime aspettative della società.
Orbene, di crisi della giustizia, in Italia come nel mondo, si parla da tempo immemorabile: se ne parlava persino nell’antica Roma, ma allora la crisi della giustizia era soltanto correlata alla sua limitata, intrinseca difficoltà di distinguere, con assoluta precisione, il lecito dal doveroso e l’uno e l’altro dall’illecito; nell’età contemporanea a questo endemico, insopprimibile limite di origine che, a sua volta si coniuga con l’impossibilità di sovrapporre la verità processuale alla verità assoluta, si è aggiunta una costante che, progredendo nel tempo, ha abbandonato gli angusti confini dell’eccezionalità per diventare una vera e propria componente fisiologica dell’amministrazione della giustizia: la sua lentezza.
A ciò si aggiunga che rispetto a tutti gli altri Paesi l’Italia ha due primati che, da soli, forniscono le dimensioni della crisi: noi disponiamo del maggior numero di giudici e, ciononostante, conserviamo, sia pure con qualche lieve differenza rispetto al passato, il primato del maggior tempo nella definizione dei processi, sia civili che penali.
Ed è a tutti noto come la esasperata lentezza della giustizia si traduca, nel campo civile, in una vera e propria denegata giustizia che danneggia chi un torto ha già subito e, nel campo penale, nella neutralizzazione della sanzione, quando addirittura in un così tardivo riconoscimento dell’innocenza, da vanificarne gli effetti.
La legge n. 89 del 24 marzo 2001, lungi dall’aver risolto questo problema, ha avuto un solo risultato, quello di trasferire dalla Corte europea alle Corti di Appello e da queste alla Cassazione il contenzioso relativo al risarcimento dei danni determinati dall’irragionevole durata dei processi, con la conseguenza che chi questi danni asserisce di aver subito deve ora attendere altri anni per ottenere quello cui ha diritto. Peraltro quella legge non è neppure riuscita nell’intento di porci al riparo dagli interventi della Corte europea, perché il settore di maggiore contatto tra la giurisdizione italiana e la Corte di Strasburgo continua ad essere proprio la materia dell’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo, non foss’altro perché, a differenza di quanto accade in Italia, la Corte europea, nello stabilire l’importo dell’indennizzo del danno non patrimoniale, tiene conto dell’intera durata del processo e non soltanto del periodo che eccede la sua durata ragionevole. Pertanto, una legge che doveva servire a semplificare il procedimento ed a rendere più sollecita la riparazione del danno, si è tramutata in un espediente utile soltanto ad aumentare il contenzioso ed i tempi della sua definizione.
In questa materia è stata altamente meritoria l’attività svolta dalla Corte di Cassazione che non si è limitata alla scelta di una corsia preferenziale per una sollecita definizione dei relativi ricorsi, ma, attraverso un’importante pronuncia delle Sezioni unite civili, ha riconosciuto come il diritto alla ragionevole durata del processo ha la sua piena rilevanza costituzionale dopo la riforma dell’art. 111 della Costituzione e come la sua tutela sia sovrapponibile a quella offerta dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ed ha altresì stabilito che allorquando è superata la ragionevole durata vi è una presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale conseguente alla violazione di tale diritto, presunzione che può essere vinta solo se si è in grado di provare l’insussistenza del danno. Ed è questo un tipico esempio di come la nostra giurisprudenza si sia adeguata a quella elaborata dalla Corte di Strasburgo.
E non può certo suscitare meraviglia o sorpresa il recentissimo intervento del Consiglio d’Europa che ha denunciato come l’Italia continui ad essere autrice di numerose violazioni alle prescrizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché all’ingente numero di processi pendenti corrisponde una durata media della loro definizione che è pari a 35 mesi per il giudizio di primo grado ed a 65 mesi per quello d’appello.

Considerazioni generali sulla giustizia civile
Nell’anno appena concluso si è confermata la tendenza al progressivo, costante incremento del contenzioso civile: l’incremento, per i processi di nuova iscrizione, è del 14,8% presso i giudici di pace, dell’ 1,8% presso i Tribunali, e del 28,5% presso le Corti d’Appello.
Vi è stata una crescita esponenziale del contenzioso civile non comparabile con il tasso di crescita degli anni precedenti: ciononostante, all’incremento dei nuovi processi pervenuti ha fatto riscontro un altrettanto notevole aumento dei processi definiti, pari al 2,1% per giudizi di primo grado e addirittura all’8,1% per quelli d’appello.
L’aumento generalizzato del contenzioso evidenzia il consolidamento, nella nostra società, di un’estesa conflittualità nei rapporti intersoggettivi che non trova possibilità di anticipata composizione nell’ambito sociale e familiare, con la conseguenza che si ricorre sempre e soltanto al giudice, anche quando, specialmente in alcuni settori, sarebbe possibile ed agevole l’utilizzo di adeguate strutture di mediazione.
Deve altresì rilevarsi che la mancata soluzione dei problemi occupazionali, specialmente nel mezzogiorno, e l’esistenza di molteplici rapporti di lavoro, perlopiù instaurati con extracomunitari, e non in regola con le vigenti disposizioni, hanno favorito la crescita della litigiosità.
La famiglia poi, fondata sul matrimonio, continua ad essere in crisi, perché coinvolta irrimediabilmente nella più vasta crisi dei valori etici e religiosi: lo dimostra il numero sempre crescente delle separazioni e dei divorzi, nonché la diminuzione delle madri disposte a portare a termine una gravidanza, solo perché questa non è ritenuta compatibile con le personali condizioni economiche o con la propria attività lavorativa. Né meno frequente, nel periodo in esame, è stato il ricorso alla soppressione dei neonati, una scelta addirittura incomprensibile, perché incompatibile con la concessa possibilità di non riconoscere i figli all’atto della loro nascita. […]

Considerazioni generali sulla giustizia penale
Per quanto riguarda la giustizia penale i dati forniti dal Ministero della Giustizia non indicano sostanziali modifiche rispetto al quadro complessivo dell’anno precedente: infatti, i delitti denunciati sono stati 2.855.372 con una diminuzione dell’1% rispetto all’anno precedente e di questi poco più della metà sono rimasti impuniti perché ignoti gli autori.


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