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AFGHANISTAN
tratto dal n. 11/12 - 2002

Le Piccole Sorelle di Gesù a Kabul

Una inerme presenza di amicizia


Da quasi cinquant’anni le suore di Charles de Foucauld sono ospiti nel martoriato Paese asiatico. Negli ultimi otto anni erano l’unica presenza cattolica rimasta. Una presenza discreta, semplice e operosa. Ecco il loro racconto


di piccola sorella Annie de Jésus


La piccola sorella Annie durante il suo soggiorno a Kabul

La piccola sorella Annie durante il suo soggiorno a Kabul

La storia
Siamo arrivate in Afghanistan per la prima volta nel luglio del 1954. Piccola sorella Magdeleine, la nostra fondatrice, era particolarmente attirata da questo Paese che a quel tempo era di difficilissimo accesso. Fin dal nostro arrivo in Afghanistan siamo state ricevute come delle ospiti e accolte in maniera straordinaria.
L’anno successivo, nell’aprile del 1955, due piccole sorelle venivano assunte come infermiere presso l’ospedale governativo a Kabul. Una terza, piccola sorella Chantal – che ancora oggi è laggiù –, ottenne un visto come collaboratrice domestica.
Le piccole sorelle cercarono una casa afghana in un quartiere afghano, studiarono a lungo la lingua e, a poco a poco, tramite i loro amici poterono scoprire la ricchezza della cultura afghana e della sua tradizione religiosa, nel solco dei grandi mistici musulmani (Gialal ad-Din Rumi era originario dell’Afghanistan settentrionale).
Nel 1979 è cominciato il dramma dell’occupazione russa. Le piccole sorelle sono rimaste, ma restringendo i contatti, sentendosi sorvegliate… Molti loro amici hanno sofferto terribilmente: prigione, esilio, morte.
Nel 1992 è la gioia effimera della liberazione, poi riprendono i combattimenti tra le fazioni, fomentate dalle grandi potenze. Quando il loro quartiere viene bombardato, le piccole sorelle ripiegano su Jalalabad dove lavorano nei campi dei rifugiati.
Dopo il loro ritorno a Kabul, constatano con emozione che un amico afghano è riuscito a salvare quello che avevano di più prezioso, in particolare i libri di preghiere.
Poi, nel 1996, arrivano i talebani. Anche in quel caso le piccole sorelle fanno di tutto per passare inosservate benché arrivi il momento in cui non sfuggono al sospetto. Per recarsi al lavoro o in città, portano il burqa.
Prima dell’inizio delle incursioni degli americani, scelgono di rimanere e di continuare a lavorare in ospedale, vestite come le altre donne afghane. Non possono comunicare con l’esterno e sono i loro amici che, ogni tanto, riescono ad inviare un fax per dire che le piccole sorelle stanno bene, che i vetri delle finestre dei loro appartamenti resistono ancora e che essi vanno a trovarle ogni giorno…
Se si dovessero riassumere in poche parole questi 48 anni di convivenza con il popolo afghano, si potrebbe parlare di un’amicizia contrassegnata da un comune destino e che ha resistito alle lacerazioni della storia; di una fiducia reciproca mai smentita, fondata sul rispetto profondo del credo dell’altro, senza ombra di proselitismo. Ma questa storia di amicizia non avrebbe potuto cominciare se non ci fosse stata, al punto di partenza, l’accoglienza del popolo afghano che riceveva noi “straniere” come ospiti, nel senso più sacro dell’ospitalità.


Il diario del viaggio compiuto dal 10 al 16 dicembre 2001

Grazie ad un’occasione inaspettata su un volo umanitario, ho la gioia di passare una settimana con le piccole sorelle di Kabul… Queste righe vorrebbero farvi condividere un po’ quello che hanno vissuto dopo i fatti dell’11 settembre.
Quando tutti coloro che non erano afghani sono partiti, hanno dovuto porsi una domanda: bisogna rimanere o andar via? Ognuna ha riflettuto personalmente e liberamente e tutte hanno scelto di rimanere. Hanno chiesto consiglio all’amministratore del loro palazzo il quale era d’accordo sul fatto che rimanessero. Ha detto loro che se fosse dovuto partire con la sua famiglia, le avrebbe portate con sé. A molte persone questo fatto è sembrato normale, mentre un loro grande amico il giorno dopo è venuto e, con una certa severità, forse perché era preoccupato, ha chiesto: «Perché non siete partite?».
Ma ciò che le ha fatte stare in pace è stato quello che ha detto la piccola sorella Raymonde-Andrée: «Vi confermo nella vostra scelta». Hanno profondamente sentito che la Fraternità si impegnava assieme a loro e sosteneva la loro decisione.
I vicini sono stati molto attenti, offrendosi regolarmente di far loro le commissioni. Un’amica ha proposto loro, in caso fossero state costrette a fuggire, di andare ad abitare a casa sua, ad una ventina di chilometri da Kabul: aveva persino preparato una camera per loro. C’era anche il collaboratore afghano dei Fratelli protestanti di Christusträger, un vicino di casa, che veniva regolarmente a trovarle e faceva da tramite telefonando ai Fratelli che si trovavano in Germania i quali a loro volta ci trasmettevano poi le notizie.
Ciò che è stato più duro da vivere per loro è stata l’attesa che ha preceduto l’inizio dei bombardamenti. L’angoscia aumentava giorno dopo giorno. Ed è stato in quel momento che molta gente è fuggita da Kabul: aveva ancora pesantemente impresso nella mente e sulla pelle il ricordo degli orrori passati.
Poi sono cominciati i bombardamenti, risvegliando una paura istintiva, impossibile da dominare. Le piccole sorelle dicevano che la loro salvezza stava nel doversi occupare degli altri. Una mattina in cui una bomba è scoppiata proprio accanto alla loro casa, una vicina si è rifugiata presso di loro con i suoi figli. Bisognava occuparsi di loro e così la paura è scomparsa.
La piccola sorella Catarina-Toshiko (giapponese) raccontava che ciò che l’aiutava era una frase che aveva sentito quando era piccola e che diceva: «Credo che se la morte arrivasse, continuerei semplicemente a fare ciò che sto facendo». Un’altra cosa che l’aiutava era comporre degli haiku (piccole poesie che la tradizione giapponese suggerisce di comporre per rasserenare il cuore).
Piccola sorella Chantal confessava che ogni mattina, quando le altre si recavano al lavoro, provava un po’ d’angoscia, e l’angoscia cresceva se non ritornavano alla solita ora.
Sono uscite molto poco in quel periodo e sempre con il velo. I talebani diventavano sempre più nervosi. Vi erano anche dei combattenti armati, provenienti da altri Paesi, che erano molto temuti.
Le piccole sorelle hanno pregato molto, sentendo, in questo modo, di essere unite a tutta la Fraternità.
Quando è cominciata la disfatta dei talebani, la speranza è tornata a predominare, pur nel timore di combattimenti dentro la città. In quel caso, le piccole sorelle si sarebbero trovate veramente in una brutta posizione. Poi, tutto si è svolto molto rapidamente. I talebani sono scomparsi senza neanche aver tentato di combattere. Allora c’è stato veramente un senso di liberazione.
Per il momento, a Kabul, sullo sfondo di impressionanti rovine, vi è grande movimento. I giornalisti sono numerosi, vi sono incaricati d’affari di diversi Paesi venuti a vedere in che stato si trovano le loro ambasciate, abbandonate da anni.
In città vi sono molti punti di distribuzione di viveri e coperte. Anche i russi hanno inviato degli aiuti. Negli ospedali dove lavorano le piccole sorelle, sono arrivati dei doni in denaro per poter dare l’equivalente di un salario agli impiegati che non vengono pagati da molti mesi.
Tutto questo consentirà di festeggiare un po’ la fine del ramadan, ma quante ferite rimangono aperte, quanti lutti, quante persone mutilate dalle mine o perché hanno subito amputazioni, vittime della giustizia dei talebani.
Kabul, lo scenario impressionante delle rovine

Kabul, lo scenario impressionante delle rovine

L’aereo che mi portava in Afghanistan non è potuto atterrare a Kabul perché l’aeroporto era distrutto. Siamo atterrati, quindi, in una base militare a Bagram, a 45 chilometri da Kabul. L’impressione era quella di un aeroporto fantasma: edifici in rovina, carcasse di carri… Non c’era nessuno al nostro arrivo, neanche la passerella per scendere. Si è dovuto improvvisare un sistema piuttosto barcollante per mettere piede a terra… eravamo a quasi cinque metri dal suolo. E finalmente vi è stata la gioia e l’emozione di rivedere le piccole sorelle che aspettavano da tre ore, al freddo.
Non dimenticherò mai quei 45 km di viaggio nel pullman che ci riportava verso la città: una strada dissestata in mezzo ai campi di mine. Anni fa era una strada costeggiata da grandi alberi e tutta la regione era molto fertile. C’erano vigne e orti. Ora non rimangono che villaggi in rovina e, qua e là, qualche albero ormai secco. Anche le vigne si sono seccate a causa dei prodotti chimici. Si attraversa un vero e proprio deserto fino all’entrata di Kabul.
Un altro giorno, un amico autista di taxi mi ha fatto fare il giro della città. Non avrei potuto immaginare la portata della distruzione. Sono stati distrutti interi quartieri. E davanti agli edifici sventrati, si vede qualche misera bancarella con poca merce esposta, mentre i pochi acquirenti si spingono perché la festa si avvicina. È la vita che rinasce nonostante tutto.
Lungo una strada, una scuola distrutta è circondata da un bel muro completamente nuovo e da alcuni alberelli che cominciano a crescere nel cortile. Sono i Fratelli protestanti di Christusträger che hanno fatto costruire questo muro per dare lavoro alla gente. E ora si spera di rimettere in piedi la scuola affinché riapra i battenti, così avrà già il suo giardino. Sul portone è scritta una frase del mistico musulmano ad-Din Rumi: «Con l’amore le spine diventano fiori».
Un altro segno di speranza è il centro ortopedico della Croce Rossa, diretto dal dottor Alberto Cairo. Nel centro, in funzione da dodici anni, lavorano unicamente disabili. Sono loro a costruire le protesi e i busti e ad aiutare nella riabilitazione. Non dimenticherò gli occhi brillanti di gioia e la fierezza con cui mi mostravano il loro lavoro. Tutto è fatto con materiale locale e sono già stati curati più di 50mila disabili. Tutto ciò testimonia l’energia di questo popolo e la sua volontà di vivere.
Dunque, anche se il futuro è ancora incerto, anche se i problemi sono enormi, sembra che dopo un inverno così lungo si possa sperare nella primavera.


SCHEDA. Chi sono le Piccole Sorelle di Gesù
Sulle tracce
di Charles de Foucauld

Dal 1994 fino a pochi mesi fa nessun sacerdote cattolico ha potuto mettere piede in Afghanistan. Era noto comunque che in questo periodo nel Paese asiatico non fosse mai mancata la presenza di alcune suore. Ma chi fossero queste religiose e cosa facessero nel Paese asiatico tristemente noto per le cronache di guerra degli ultimi dieci anni, e di quest’ultimo in particolare, era un piccolo mistero.
Le testimonianze riprodotte in queste pagine svelano con discrezione e semplicità la presenza quasi cinquantennale a Kabul delle Piccole Sorelle di Gesù, l’istituto religioso femminile fondato nel 1939 da Magdeleine de Jésus seguendo la via tracciata da Charles de Foucauld, il monaco morto nel 1916 in Algeria. Una presenza che è continuata pur tra non poche difficoltà anche in questi ultimi otto anni. E che continua ancora.
Il testo è una nostra traduzione dal francese di quanto apparso sul bollettino Nouvelles des Fraternités (n. 28, maggio 2002). La Fraternità regionale italiana delle Piccole Sorelle nel bollettino Notizie dalle Fraternità (2° semestre 2002) ne ha pubblicato una versione ridotta e con alcune piccole variazioni. Alla fine di questa versione le tre religiose presenti a Kabul scrivono:«Per quanto ci riguarda, l’arrivo dei soldati ci ha portato anche diversi cappellani… Quello italiano è un padre francescano, molto disponibile per noi. Dopo otto anni di deserto, abbiamo la gioia di partecipare all’eucarestia!».
Le Piccole Sorelle di Gesù sono circa 1.300 raccolte in 321 case sparse in 71 Paesi di tutti e cinque i continenti. Attualmente la superiora generale della fraternità è la piccola sorella Raymonde-Andrée. La casa generalizia si trova a Roma, vicino all’abbazia delle Tre Fontane.




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