Rubriche
tratto dal n.10 - 2002


San Tommaso e la guerra preventiva


Caro direttore,
ho letto con grande interesse l’intelligente e arguta – per virtù dell’intervistatore e dell’intervistato –, intervista fatta all’amico carissimo Andrea Riccardi dal suo periodico 30Giorni, che leggo normalmente con diletto, anche per l’amicizia che mi lega da lungo tempo a Cl e per la devozione che nutro per il caro don Giussani.
Ma credo che l’intervista diventi ancor più divertente, oltre che più completa con queste mie aggiunte, che la prego di voler pubblicare.
Il “tapino” che “tira in ballo” san Tommaso (ma anche sant’Agostino, vivaddio!) e quello straccio di filosofi da strapazzo – che così pare voi consideriate! – che sono i tardotomisti (da Molina a Vitoria e Suárez), per difendere la liceità della “guerra difensiva preventiva” sono io! Ma infatti io queste cose a dire il vero ho già da tempo scritto in vari quotidiani e ho detto chiaramente, in un mio molto modesto discorso al Senato, discorso che il suo redattore mi ha fatto (evidentemente, e per me certo immeritatamente) il grande onore di leggere: certo non aveva niente di meglio da fare, ben si comprende; ma comunque io lo ringrazio sentitamente!
E sono sempre io il “tapino” che – dovendo prendere decisioni nei controversi casi politici concreti e nelle più disparate, delicate situazioni, certo oggi fortunatamente infinitamente meno che ieri negli uffici allora di presidente del Consiglio dei ministri e di presidente della Repubblica! – da buon “cattolico liberale” e “politico cristiano laico” sono solito non ripararmi mai dietro le tonache di monsignori – anche per non comprometterle! –, ma educato al pensiero di Newman e di Rosmini, ho sempre liberamente deciso e, quando debbo, ancora oggi decido “in coscienza”, secondo quanto insegnavano detti teologi, e con loro il grande canonista e moralista sant’Alfonso de’ Liguori. Ma non secondo una “individuale coscienza arbitraria”, ma in base ad una “coscienza ben informata e ben formata”, per quanto questo è possibile a un “tapino” come me; e ciò posso io fare solo documentandomi sui fatti concreti e consultando, ahimé!, i teologi compresi quelli di “quarta classe”, quali lei e il suo giornale sembra considerare i “tardotomisti”, potendovi, beati voi!, abbeverare a ben altre e più alte fonti!: Suárez, Molina, Vitoria e forse anche i “salmanticensi” (ma lei sa chi sono? Ma no, intanto né a lei né all’intervistatore né all’autorevolissimo intervistato, assolutamente non è necessario il saperlo!).
E ciò debbo io fare per “stretto dovere di coscienza”, perché, povero “tapino” qual sono!, non godo purtroppo né della sapienza infusa né del carisma sapienziale di cui invece, molti di voi – beati voi, ma lo meritate largamente! – godete largamente senza bisogno di consultare noiosi teologi moralisti e canonisti!
Ma che vuole, caro direttore, ognuno fa quel che può, e soprattutto ognuno deve cercare di essere umilmente fedele più che può alla propria vocazione cui da Dio sia stato chiamato, sia pur modesta la mia, altissima la vostra!; io quindi la mia e voi la vostra: io nella povertà e nella oscurità, da “timore e tremore” del dubbio, voi nella lucentezza delle vostre ferme, illuminate e illuminanti certezze!
Con amicizia,
Francesco Cossiga


Tutta la nostra redazione è lieta di sapere che il presidente Cossiga dedica attenzione al nostro sforzo mensile di aggiornamento. Possiamo assicurarlo che verso san Tommaso e sant’Agostino abbiamo una totale dedizione. Avrà anzi notato come qualche volta abbiamo criticato che nei resoconti del Concilio si citasse molto più Teilhard de Chardin che non le Summae. Circa l’orrore della guerra non pensiamo – avvertendolo – di poter essere confusi con i pacifisti a senso unico. Siamo però consapevoli che tra le beatitudini è assegnato ai custodi il ruolo eccelso di “figli di Dio”. Cossiga non si consideri un tapino. Noi non l’abbiamo mai ritenuto tale. E il comune amico Riccardi è sicuramente dello stesso avviso.
30Giorni





Il dolore del terremoto in Molise


La tragedia di San Giuliano di Puglia ha suscitato una profonda commozione in tutta la nazione, senza alcuna distinzione geografica o sociale. Generosa e immediata la sottoscrizione popolare per aiutare i superstiti di questo piccolo, sfortunato comune. Immediati anche i progetti governativi, decisi in una straordinaria seduta domenicale di Consiglio, mentre sul posto si celebrava l’agghiacciante liturgia di comune suffragio; e poco prima che nei campi sportivi di tutta l’Italia si dedicasse un lungo minuto di partecipazione.
Per riparare i danni materiali esistono leggi e procedure, che sono sempre le stesse ma che hanno avuto nel passato diversissime applicazioni. Va reso omaggio al Friuli che dopo il terremoto non solo restaurò e ricostruì, ma utilizzò l’occasione (tramutando un profondo male in un momento altamente innovativo) per affrontare problemi da tempo individuati ma restati sempre allo stato di progetto. Il segreto perché fosse così sta nella immediata solidarietà che si ebbe tra tutte le forze politiche e tra queste e le strutture governative. Esempio da imitare.
Del resto è confortante che in questi giorni, avvertendo il duplice dolore del sindaco di San Giuliano, a nessuno sia venuto in mente di chiedersi di che colore sia questa amministrazione comunale. Forse dobbiamo ai bambini che il terremoto ha falcidiato questo attimo di civiltà e di giustizia.
Giulio Andreotti



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