Rubriche
tratto dal n.09 - 2004


Dall’Impero romano all’Unione europea


Sergio Romano, Europa. Storia di un’idea. Dall’Impero all’Unione, Longanesi, Milano 2004, 227 pp., euro 15,50

Sergio Romano, Europa. Storia di un’idea. Dall’Impero all’Unione, Longanesi, Milano 2004, 227 pp., euro 15,50

L’Europa è un cantiere dove non si è mai smesso,da Carlomagno in poi, di costruire, demolire e ricostruire. Sergio Romano, che di Europa se ne intende seriamente (già ambasciatore alla Nato e poi a Mosca, era editorialista del Corriere della sera e di Panorama) ricostruisce in un libro di recente pubblicazione, Europa. Storia di un’idea. Dall’Impero all’Unione la storia dell’Europa o, meglio, la storia dell’idea dell’Europa. E lo fa lungo tre direttrici: la descrizione del quadro geografico e culturale del continente (ma esistono confini geografici europei netti e ben delimitati? C’è stata o c’è una frontiera naturale dell’Europa?); i contorni del quadro storico degli Stati nati in Europa dal crollo dell’Impero Romano alla Seconda guerra mondiale; l’integrazione europea dalla fine della Seconda guerra mondiale al progetto di Costituzione europea recentemente approvato dalla Commissione dei venticinque Paesi aderenti.
È interessante e piacevole soffermarsi nelle letture sulle frontiere geografiche europee modificate da importanti eventi storici su quelle del clima, sui popoli di diversa origine e di differente cultura che sopravvivono, come altrettanti strati geologici, sul piano della nostra storia continentale. Sembra che Sergio Romano accompagni il lettore, con precisi riscontri storici, attraverso la narrazione delle fasi della costruzione dell’Europa. Vengono ricordate le continue migrazioni di gruppi o individui che hanno modificato, e modificano, il quadro europeo, il suo paesaggio, la sua economia, la sua organizzazione sociale, la sua religiosità. Si pensi alla pluralità linguistica dell’Europa (p. 36), insieme alla difesa quasi gelosa delle tradizioni e delle culture locali. Interessante il capitolo su “La Grecia, Roma e gli arabi: l’eredità”, laddove l’autore si chiede quanta parte della civiltà greca e della civiltà romana sia ancora presente nella nostra cultura, e quali i debiti che l’Europa ha contratto con altre culture (p.53). La Grecia, Roma e, anche se in misura minore, il mondo arabo sono il passato dell’Europa. Il cristianesimo è il suo passato e il suo presente; Europa e cristianesimo sono i due termini indissociabili di una lunga storia comune: non sono ammesse sfumature alla tesi o ipocrisie di sorta.
La storia degli Stati che hanno fatto l’Europa; il ruolo, direi la forza, della Chiesa (un re è tale nell’Europa del Medio Evo solo quando un vescovo ha unto la sua fronte e posto una corona sul suo capo); le frequenti “guerre di religione”; il valore del cristianesimo, fin dagli inizi fattore di unità e pluralità; la nascita e lo sviluppo degli Stati moderni sono i temi della seconda parte del libro, più prettamente storica. Si avverte in queste pagine l’impegno efficace di voler rappresentare il più completamente possibile il panorama del cantiere Europa, attraverso la riproposizione degli avvenimenti.
Significativo il titolo della terza parte dello studio, “Verso l’Unione”. Dopo la Seconda guerra mondiale, con la vittoria di una grande democrazia extraeuropea, tutti i Paesi sono indeboliti. E si arriva agli albori della concretizzazione dell’idea europea, con le ambiguità dell’europeismo italiano (p.179), la descrizione della politica europeista degli altri Paesi, tra cui Francia e Germania. È un capitolo aperto, quest’ultimo del lavoro di Romano, su di un’Europa ancora prigioniera di nazionalismi, di difese particolari, ma incamminata inesorabilmente verso l’Unione.
Walter Montini




L’antiamericanismo trasversale nel secondo dopoguerra


Piero Craveri e Gaetano Quagliariello, L’antiamericanismo in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra, Rubbettino, Soveria Mannelli (Rc) 2004,
573 pp., euro 30,00

Piero Craveri e Gaetano Quagliariello, L’antiamericanismo in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra, Rubbettino, Soveria Mannelli (Rc) 2004, 573 pp., euro 30,00

II volume L’antiamericanismo in Italia e in Europa nel secondo dopo guerra, a cura di Piero Craveri e Gaetano Quagliarello ed edito dalla casa editrice Rubbettino, raccoglie i contributi di storici e intellettuali presentati in un convegno tenutosi a Napoli nel 2002. Non potendo dar conto di tutti i contributi offerti nelle due giornate di studio napoletane, ci si sofferma sui più significativi che possono illuminare alcuni aspetti del periodo storico attuale che vede, rispetto a quello indagato (secondo dopoguerra/anni sessanta), una nuova situazione italiana, una nuova Europa e una America, e un mondo intero, con nuovi problemi.
L’intervento di David W. Elwood sottolinea come sia necessario distinguere le categorie di americanismo e di americanizzazione, intendendo con la prima la politica estera americana e con la seconda i complessi processi della modernizzazione statunitense e la loro funzione attrattiva ed imitativa nelle società europee. Una precisazione imprescindibile attraverso la quale si può capire, ad esempio, la politica della Santa Sede di fronte alla necessità di favorire l’Alleanza atlantica per fronteggiare l’avanzata comunista in Europa e, ancora di più, per capire le vicende interne alla Democrazia cristiana del­l’epoca che nel libro vengono ricostruite da Vera Capperrucci e che risultano esemplificative degli incroci differenti e delle contraddizioni che, persino dentro una stessa forza politica, potevano allora derivare dall’interazione tra americanismo e americanizzazione. Elwood sottolinea come, in Italia, l’antiamericanismo si sia sempre accompagnato ad un’inclinazione pronunciata verso i modelli di americanizzazione della vita sociale. Alle medesime conclusioni giunge anche Christine Vodovar, pur riferite alla realtà francese. Lev Gudkov, nel suo saggio sulla Russia contemporanea, nota come sia il carattere di traguardo, sempre da rinnovare, implicito nel modello americano in quanto motivo incardinato nelle premesse stesse dei padri fondatori di quella democrazia, a urtare con l’approccio di altri Stati ricchi che non aspirano all’universalità della loro esperienza e del loro successo. Le motivazioni di fondo dell’antiamericanismo sembrano essere di ordine ideologico e in esse prevalgono, di volta in volta, ragioni religiose, politiche e culturali. Boris Dubin (“L’antiamericanismo nella cultura europea, 1945-1991”) sottolinea come l’antiamericanismo, nelle società sviluppate, sia soprattutto un fenomeno delle élite politiche e intellettuali che elaborano i simboli e i modelli di integrazione sociale. Lorenzo Riberi coglie, invece, i motivi profondi dell’antiamericanismo nei sentimenti popolari e nella cultura della Germania Occidentale ed evidenzia come le tematiche fossero speculari a quelle usate dalla propaganda della Ddr, benché temperate da altrettanto profonde professioni di anticomunismo. Con il crollo del socialismo reale, l’antiamericanismo riprende, in Europa, come denominatore comune della destra e della sinistra da contrapporre a quella americana. Molto interessante la disamina dell’antiamericanismo del Psoe nel decennio 1950-1960, affrontata e sviluppata da Maria Elena Cavallaro, che ripercorre la storia dei rapporti del Partito socialista spagnolo con gli Stati Uniti fino alla svolta atlantica attuata dal leader storico del partito, Felipe González.
I curatori del volume prendono in esame, nella loro esaustiva prefazione, l’antiamericanismo come sentimento diffuso, talvolta immotivato, di risposta all’unilateralismo scelto dalla nuova amministrazione Bush nelle strategie di politica estera come estrema risposta all’attacco terroristico dell’11 settembre 2001.
Il libro è indubbiamente un aiuto a meglio comprendere il momento storico che stiamo vivendo nella nuova Europa rispetto alla “nuova” America anche attraverso la riflessione su precise tappe storiche. In particolare l’unificazione della Germania, la guerra del Golfo Persico, la crisi jugoslava, l’allargamento dell’Alleanza atlantica…, sono quattro eventi internazionali che ben identificano i rapporti tra alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti.
La conoscenza del passato nutre la consapevolezza del presente solo quando è alimentata dal confronto tra interpretazioni divergenti. La revisione, come la ricerca, non ha mai fine.

Walter Montini




Gramsci ha vinto, o forse no


Luigi Patrini, Quant’è bella politica… che si fugge tuttavia, Rubbettino, Soveria Mannelli (Rc) 2004, 132 pp., euro 7,60

Luigi Patrini, Quant’è bella politica… che si fugge tuttavia, Rubbettino, Soveria Mannelli (Rc) 2004, 132 pp., euro 7,60

La strategia gramsciana della conquista del potere politico attraverso l’egemonia culturale oggi ha le facce di una medaglia: una faccia vittoriosa, la disgregazione della cultura cattolica; e la faccia della sconfitta, che consiste nel fatto che i valori del comunismo si sono dissolti. Ma allora Gramsci ha vinto o fallito? Luigi Patrini nel suo libro Quant’è bella politica… che si fugge tuttavia sostiene che Gramsci non ha ancora vinto. Mi pare questa la sintesi del racconto.
Scorrendo le tappe del proprio impegno politico e amministrativo in un comune della Lombardia, nell’area milanese, l’autore passa in rassegna la quotidianità del suo vissuto, l’autenticità della sua esperienza, per alcuni versi anche sofferta, alternando analisi sul tema della sussidiarietà – tema fondamentale per l’impegno sociale del cristiano nella società – alla offerta della propria esperienza di fede (“Un po’… di me”, p. 41), proponendo anche un’analisi della Nota dottrinale sull’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede il 24 novembre 2002. Frequenti i richiami ai documenti ufficiali della Chiesa, che riguardano l’impegno la dottrina sociale della Chiesa e dei cristiani nella vita politica.
Con una premessa di aggiornamento, poi, l’autore ripropone un suo saggio, scritto nel 1977, sul tema dell’eurocomunismo e del compromesso storico, che allora provocò molti dibattiti e attenzioni e che, a distanza di trent’anni, presenta ancora alcuni elementi di attualità.
Durante la lettura delle pagine di Luigi Patrini frequente il mio pensiero andava agli incontri che in quegli anni personalmente ebbi con il filosofo Augusto del Noce, nella sua casa a Roma, in occasione della mia tesi universitaria sui rapporti tra De Sanctis, Croce e Gramsci. Ricordo alcune considerazioni che sarebbe opportuno riprendere anche in questa stagione politica. Ha ragione Massimo Caprara quando nelle note conclusive dice che il libro di Luigi Patrini è «utile ed esemplare, riunendo fede, dottrina e politica come servizio», in un esercizio di libertà che cresce con la verità.

Walter Montini




L’Africa del “grande dottore bianco”


Floriana Mastandrea, L’altra Africa di Albert Schweitzer, 
Armando editore, Roma 2004, 255 pp., euro 20,00

Floriana Mastandrea, L’altra Africa di Albert Schweitzer, Armando editore, Roma 2004, 255 pp., euro 20,00

Attraverso un iniziale breve viaggio in Alsazia e testimonianze inedite, alternate a brevi interviste (una anche a Giulio Andreotti), Floriana Mastandrea ricostruisce l’opera e la testimonianza svolta nel Gabon dal premio Nobel per la pace Albert Schweitzer. Qui, in un piccolo villaggio, Lambaréné, ai bordi della foresta vergine, nell’Africa equatoriale francese, sulle acque dell’Ogooué, il “grande dottore bianco” – come veniva chiamato dagli indigeni – costruì nel 1913, a proprie spese, un ospedale per assistere e curare i malati della zona.
Di certi libri nessuno mai parlerà anche perché non invadono la grande pubblicistica, non riescono a creare immagine, eppure invadono la tua sensibilità di uomo, sanno suggerire un’infinità di riflessioni, e i nostri giorni, si sa, hanno urgente bisogno di riflettere e di pensare… Siamo ne L’altra Africa di Albert Schweitzer è una bella testimonianza per i nostri tempi.
Attraverso queste pagine si ha un’interessante conoscenza del territorio del Gabon, degli usi e costumi, della situazione sociale e sanitaria del Paese africano, dei progetti di sviluppo e di riscatto di una popolazione pressoché ai margini delle nostre conoscenze.
La costruzione narrativa, nel complesso, è singolare, comunque al di fuori dei tradizionali schemi narrativi; non priva, per questo, di efficacia e incisività.

Walter Montini




Dal Messico al mondo


La mia vita è Cristo, Jesús Colina, intervista con padre Marcial Maciel, Edizioni Art, Roma2004, 332 pp., euro 12,00

La mia vita è Cristo, Jesús Colina, intervista con padre Marcial Maciel, Edizioni Art, Roma2004, 332 pp., euro 12,00

Come conoscere e comprendere il senso dell’es­pressione “primavera della Chiesa” che il papa Giovanni Paolo II ha usato in riferimento ai nuovi movimenti e associazioni cattoliche nate negli ultimi decenni?
Il libro-intervista La mia vita è Cristo offre l’opportunità di sentire la voce di uno dei testimoni del nostro tempo che entra in pieno nella definizione del Pontefice. L’autore del libro, il giornalista Jesús Colina, nel tentativo di comprendere questo fenomeno ecclesiale, ha intervistato padre Marcial Maciel, fondatore della Congregazione dei Legionari di Cristo e del movimento Regnum Christi.
Nato in Messico nel 1920, padre Maciel ha dovuto attraversare diverse situazioni difficili per realizzare il progetto che Dio gli ispirava. Già nell’infanzia conobbe in prima persona gli orrori della guerra cristera, durante la quale morirono migliaia di cristiani in difesa della fede cattolica. Dopo alterne vicende riuscì, all’età di vent’anni, a dare inizio all’opera che Dio voleva per la Chiesa: un movimento che vede coinvolti sacerdoti, i Legionari di Cristo, e laici insieme a sacerdoti diocesani, nel Regnum Christi, per essere efficaci protagonisti della nuova evangelizzazione.
L’opera fondata da padre Maciel può contare oggi su circa 600 sacerdoti, 2.500 seminaristi, 65mila laici del Regnum Christi, impegnati a trasmettere il messaggio evangelico al mondo moderno, attraverso 22 centri universitari, 158 istituti scolastici e una miriade di iniziative di carattere sociale, in 18 nazioni tra l’Europa e le due Americhe. Il cristocentrismo e l’amore a Dio e al prossimo, percepiti come incontro ed esperienza vitale con Cristo, sono il cuore della spiritualità che ha ispirato padre Maciel e che muovono i membri ad un vibrante dinamismo apostolico.
Leggendo queste pagine edificanti, il lettore avverte un profondo senso di speranza aperto sul futuro che, come afferma padre Maciel, «dipende dall’uomo stesso, da noi, dal mondo che vogliamo costruire per domani [...]. Il mondo è una valle di lacrime, ma anche teatro dell’azione divina in cui possiamo trovare lo sguardo del Dio-con-noi e sentire la sua mano amica, che stringendo la nostra, ci esorta, come Gesù esortò Pietro: “Prendi il largo. Cammina. Non avere paura. Sono con te”».

don Angelo Serra




Questa terra è la mia terra


Alessio Brandolini, 
Poesie della terra, LietoColle, 
Faloppio (Co) 2004, 47 pp., s.i.p.

Alessio Brandolini, Poesie della terra, LietoColle, Faloppio (Co) 2004, 47 pp., s.i.p.

Certo è presto per dirlo. Ma si può già ipotizzare che il percorso poetico di Alessio Brandolini porterà il lettore lontano, verso strade poco attese. La tentazione, a questo punto, è quella di fare un riferimento che sembra inevitabile: la terra-poesia, comprese quelle «strade poco usate che riescono agli erbosi fossi» di montaliana memoria. Poesie della terra, invece, è un poemetto che spiazza. Supera, conoscendolo bene, e brucia il famigerato “canone letterario” come le sterpaglie di pagina 20: «Diamo fuoco all’erba / asciutta e gialla / al centro del terreno / ammassata da giorni / con sopra i rami / potati sabato scorso / dei ciliegi e dei noci».
Il lettore della precedente felicissima raccolta, Divisori orientali (Manni, Lecce 2002), sulle prime è spiazzato. Imbarazzato, quasi. Si parlava della contemporaneità dall’interno di essa, senza censura. Si parlava di sentire l’oggi dal punto di vista di chi sa di esserci invischiato dentro. E qui, tutto diverso: un poemetto, un omaggio alla terra, a suo padre che la lavora, alla fatica, alla ricompensa. Agli alberi, ciascuno con il suo nome, che «abbracciano» la terra. Ai volti, ai nomi familiari che restano con lui a lavorare.
Fin troppo facile, allora, trarre la morale. La fatica e il sudore otterranno un premio. Dovuto. Oltretutto, almeno cento anni di letteratura confermano. E almeno duecento di filosofia, e forse si potrebbe andare anche più indietro, ci si potrebbe spingere fino in Arcadia, e tutto concorderebbe. Ricorderebbe quel mito in cui l’uomo pretende di essere nato direttamente dalla terra, come un albero, e ad essa appartenere.
Ma non c’è nulla di mitologico in Poesie della terra. Così come non c’è nemmeno l’ombra di una morale insegnata a nessuno. Casomai, si tratta di far poesia di un’esperienza: andare, appena si può, a trovare la terra, a salutare gli alberi, a dare del tu a quei «due ciliegi / ai lati opposti del terreno». Sentirla propria perché è davvero propria, abitata com’è da volti familiari. «Certo non dissento, e dopo che farei? / Però nel frattempo […] / mi stabilisco in una quercia cava. / […] / Farò a meno di appigli e stampelle / lascerò la porta spalancata / sarò felice di ricevere ospiti e amici. / Tanto la pioggia cancellerà le impronte / diverrà impossibile tornare indietro» (p. 23).
Alessio Brandolini è stato al Festival di poesia che si è tenuto a Medellín, in Colombia, dal 18 al 25 giugno scorsi, come rappresentante dell’Italia. «La gente ti abbracciava, per conoscerti», dice ricordando l’accoglienza calorosa che a loro “poeti laureati” era riservata. Non a caso, parla di abbracci. Salta subito agli occhi che la parola “abbracciare” è in Poesie della terra in pole position. Infatti la terra di Brandolini – starei per dire “poetica”, ma cadrei nella trappola del canone – è abitata. Abitata dalla natura (precisa fin alla tassonomia, talvolta, come chi sa di cosa si stia parlando), è altrettanto abitata dall’uomo. Di volta in volta un “tu”, un “noi”: affetti e mai paradigmi.
«È come se fossi arrivato / troppo tardi, mi dico / […] / La promessa è lo stupore / di un solco / preciso e profondo / tracciato non nella polvere / ma nella realtà, del presente / di questo paterno terreno. / Come se a sorpresa / fosse arrivata / l’ora della semina» (p. 16).

Cristiana Lardo




Un viaggio tra gli “invisibili”


Sandro Valletta, Vegliare il presente, Edizioni Noubs, Chieti 2004, 89 pp., euro 15,00

Sandro Valletta, Vegliare il presente, Edizioni Noubs, Chieti 2004, 89 pp., euro 15,00

Sono ventisette brevi racconti di Sandro Valletta, non nuovo a indagini sul mondo degli emarginati, degli ultimi di Roma dove spesso vivono, accanto a vere miserie, grandezze nascoste che non hanno voce; storie minime, forse, ma cariche di grande umanità. Siamo in una sorta di viaggio nel mondo della sofferenza invisibile: quella, tenera, di Maddalena, la clochard che di notte si rifugia nello spazio di un bancomat sulla Tuscolana e che vive la vita per quello che le dà; o quella di Francesca, invalida, cinquant’anni, che vive in un garage; o quella di Jasmine, una profuga ospite del centro di accoglienza di Ponte Galeria, che sogna un futuro in Germania con Hamed. Alcune storie, per la verità, sono ordinarie, rientrano cioè nel vivere quotidiano; si direbbe che sono storie di tutti i giorni indicative di normali problemi.
Personalmente mi sono spesso chiesto che cosa ci sia dietro i volti tristi e segnati dalla rassegnazione e dal tempo che incrocio alla stazione Termini o agli angoli delle vie e davanti alle chiese di Roma, e che ormai sono diventati caratteristici di alcuni luoghi. Il libro vale quanto una ricerca sociologica sul disagio e sulla dignità dell’uomo. Fa riflettere su alcune dimensioni immorali della nostra società, su realtà umane che vivono a fianco a noi, magari alla porta accanto, ma che facciamo finta di non vedere perché ci disturbano, disturbano il nostro quieto vivere, perché rischiano di cambiarci. Ecco perché bisogna leggere i racconti di Sandro Valletta raccolti in Vegliare il presente per essere una volta tanto disturbati.

Walter Montini


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