Rubriche
tratto dal n.01 - 2007


Don Andrea Santoro


Augusto D’Angelo, 
Don Andrea Santoro. Un prete tra Roma e l’Oriente, 
San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2006, 172 pp., euro 13,00

Augusto D’Angelo, Don Andrea Santoro. Un prete tra Roma e l’Oriente, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2006, 172 pp., euro 13,00

La bella faccia sorridente di don Andrea, “un prete tra Roma e l’Oriente”, è posta sulla copertina del libro di Augusto D’Angelo, Don Andrea Santoro, che tenta di ricostruire la biografia di questo prete romano ucciso in Turchia il 5 febbraio scorso, mentre stava pregando in chiesa.
Sono andato anch’io a dire una preghiera quando la salma di don Andrea venne esposta nella chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio a Villa Fiorelli, nel quartiere Appio, l’ultima parrocchia di Roma nella quale svolse il ministero sacerdotale prima di partire per la Turchia come sacerdote fidei donum nel 2000. Sono stato testimone dell’affetto della gente per questo sacerdote. Leggendo ora questo libro di D’Angelo, sembra che la figura di don Andrea mi passi davanti, mi pare di aver sempre conosciuto questo straordinario prete romano. Nel 2003, alla scadenza del primo triennio di incarico in Turchia, don Andrea si trasferisce a Trabzon, l’antica Trebisonda, sul Mar Nero. Qui trova una situazione difficile: l’area del vecchio cimitero cristiano è stata profanata ed è stata occupata da una scuola e da alcuni orti di privati. Nei suoi scritti appaiono tracce dell’insofferenza che si manifesta, attraverso piccoli episodi, attorno alla sua presenza. Don Andrea coglie con immediatezza i disastri seguiti alla caduta del gigante sovietico: la forte emigrazione dai territori dell’ex Urss in Turchia è causata dalla miseria e dalla disperazione. Molte prostitute di Trabzon sono cristiane armene o georgiane. Don Andrea entra in contatto con questa realtà di sofferenza e la considera una dimensione decisiva della cura delle anime della sua parrocchia.
È un bel libro, a tratti toccante. È introdotto da alcune pagine di Andrea Riccardi, che aprono uno squarcio spirituale sulle complesse e a volte drammatiche realtà contemporanee: «La sua risposta [di don Andrea, ndr] alla grande crisi», scrive Riccardi, «è ben più profonda di quelle proposte da analisti o gridate da politici [...]. È quella del Vangelo, lux ex Oriente: “Beati i miti, perché erediteranno la terra” (Mt 5, 5). Questa era la ferma convinzione di don Andrea: la mitezza erediterà la terra».




Carducci. Scrittore, politico, massone


Aldo A. Mola, Giosue Carducci. Scrittore, politico, massone, Tascabili Bompiani, Milano 2006, 574 pp., euro 12,50

Aldo A. Mola, Giosue Carducci. Scrittore, politico, massone, Tascabili Bompiani, Milano 2006, 574 pp., euro 12,50

Il mondo culturale della sinistra italiana non ha perdonato al premio Nobel per la letteratura una sorta di trasformismo ideologico-politico che, a un certo punto, vide Carducci sostenitore della famosa “italietta” monarchica. La critica di sinistra (gramsciano-marxista) non ha mai sopportato che una simile metamorfosi avesse comunque contribuito ad accrescere quel duplice ruolo di Carducci come poeta-vate e come cantore del nostro Risorgimento nazionale. Carducci, poi, non faceva mistero di essere massone, e per questo veniva visto come fumo negli occhi da certi ambienti cattolici; il che ha comportato quella messa al confino di tanta parte della sua opera.
Ora un libro di Aldo A. Mola, Giosue Carducci. Scrittore, politico, massone contribuisce a far conoscere meglio il grande poeta italiano, collocandolo nel suo tempo, al di sopra di spesso sbrigative etichette intercorse in passato che lo liquidavano come “schiettamente reazionario” o “obnubilato piccolo borghese”. L’interessante opera propone un profilo unitario dei molteplici aspetti della personalità e dell’opera di Carducci. Mola ci riesce perfettamente: ne risulta un ritratto simpatico. Alla morte di Carducci (17 febbraio 1907) Giovanni Giolitti chiese al Parlamento di erigergli un monumento nazionale. Carducci era, e doveva stare, alla pari con Vittorio Emanuele II e Garibaldi. Tutti plaudirono, nessuno mosse un dito, racconta Mola. Roma, la città che egli aveva capito e cantato più e meglio di ogni altro, da Orazio all’Ottocento, non gli conferì neppure la cittadinanza onoraria. Era un uomo solo, con la sua grandezza e le sue tragedie famigliari, gli riconoscerà Giovanni Papini. E La Civiltà Cattolica nel necrologio osservò che i cattolici, «sebbene da lui non mai carezzati, lo trattarono sempre assai meglio che molti suoi correligionari, repubblicani e massoni».
In appendice, vengono proposte le poesie e le prose del poeta (pp. 413-512) e interessanti suggerimenti bibliografici (p. 527) per chi volesse ulteriormente indagare sullo scrittore. Il prossimo febbraio ricorrerà il centenario della morte di Giosue Carducci: perché non ricordarlo e rileggerlo, per l’occasione?




Karol Wojtyla


Aa.Vv., Karol Wojtyla. Il ruolo storico e il pensiero di Giovanni Paolo II, Liberal Edizioni, Roma 2005, 142 pp., euro 8,00

Aa.Vv., Karol Wojtyla. Il ruolo storico e il pensiero di Giovanni Paolo II, Liberal Edizioni, Roma 2005, 142 pp., euro 8,00

La Fondazione Liberal, presieduta da Ferdinando Adornato, ha pubblicato gli atti delle giornate internazionali tenutesi a Siena nel settembre del 2005 sul ruolo storico e il pensiero di Giovanni Paolo II. Uomini di Chiesa (Ruini, Buoncristiani), teologi (Fisichella), rappresentanti delle istituzioni e uomini di cultura, attorno a un tavolo discutono, con alto profilo, intorno a una figura, quella di Karol Wojtyla, che ha segnato il secolo scorso sul piano politico e religioso, comportando in alcuni casi svolte epocali e nuovi assetti del mondo, ridisegnando equilibri, accelerando cambiamenti. Opportuno l’excursus storico di Marco Baglioni posta in apertura del volume, che riporta la testimonianza di Helmut Kohl: «Karol Wojtyla ebbe parte decisiva nel superamento delle ideologie totalitarie che divisero il nostro continente e la mia Germania: contribuì in modo decisivo alla caduta del Muro di Berlino e alla fine della divisione della Germania e dell’Europa [...]. La sera del 23 giugno», racconta Kohl, «il Papa e io attraversammo insieme la Porta di Brandeburgo. In quella occasione, egli mi prese per mano: “Signor cancelliere, questo è un grande momento della mia vita, il Muro è caduto, Berlino e la Germania non sono più divisi, e la Polonia, la mia patria è libera”. Quella sera, sotto la Porta di Brandeburgo, diventammo coscienti di questo dono di Dio». Modestamente, posso anch’io sottoscrivere la testimonianza. Nel corso di un incontro avuto personalmente a Roma con Gorbaciov, mi venne spontaneo chiedere all’ex presidente dell’Unione Sovietica il suo giudizio sulle cause della fine del comunismo nei Paesi dell’Est e dell’ex Unione Sovietica e sul ruolo che ebbe in tutto ciò Papa Giovanni Paolo II. Lapidaria fu la risposta: il comunismo è crollato, assieme al Muro, perché i tempi erano maturi. È peraltro la stessa tesi di Sergio Romano, argomentata storicamente sul Corriere della Sera del 9 gennaio 2005: «Non credo» sostiene Romano «che il Papa abbia dato un contributo determinante al crollo del comunismo e dell’Unione Sovietica, ma comprendo le ragioni per cui quella tesi appare a molti convincente [...]. Il crollo del comunismo fu il risultato di molti fattori concorrenti: il fallimento dell’ideologia, le promesse mancate, i progetti falliti, la guerra afghana, l’insostenibile competizione militare con gli Stati Uniti, la brusca caduta del prezzo del petrolio agli inizi del 1986, le spinte separatiste di alcune repubbliche e, infine, le faide provocate nella direzione del partito dalle generose, ma velleitarie, riforme gorbacioviane...». C’era comunque bisogno del coraggio di Giovanni Paolo II per riportare in primo piano nella Chiesa e nella società il tema del rapporto tra fede e ragione, che è questione di libertà e, come tale, comporta il necessario riferimento con la verità. Il vescovo Fisichella nella sua relazione (pp. 65-76) sminuzza e seziona la tematica con teologica chiarezza e filosofica determinazione.




I Giusti e la memoria del bene


Antonia Grasselli – Sante Maletta (a cura di), 
I Giusti e la memoria del bene. Chi salva una vita, salva 
il mondo intero, Fermi, Milano 2006, 208 pp., euro 17,00

Antonia Grasselli – Sante Maletta (a cura di), I Giusti e la memoria del bene. Chi salva una vita, salva il mondo intero, Fermi, Milano 2006, 208 pp., euro 17,00

Scrive Claudio Morpurgo, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane nelle prime pagine del volume I Giusti e la memoria del bene: «[...] La memoria del bene, compiuto anche quando sembrava che la violenza, il terrore e la volontà di sterminio avessero preso il sopravvento, apre il ricordo e il presente alla speranza. La Shoah, lo sterminio antiebraico avvenuto durante la seconda guerra mondiale, ha infatti rischiato di raggiungere il suo obiettivo: cancellare l’intera popolazione ebraica dall’Europa. Se questo non è accaduto lo si deve anche ad alcuni singoli individui che hanno avuto il coraggio di opporsi allo sterminio. Uomini e donne negli anni bui della persecuzione nazifascista che hanno saputo con i loro gesti, e a rischio della propria vita, portare aiuto, speranza e, spesso, salvezza. Donne e uomini insieme, straordinari e assolutamente normali, cui la banalità del bene apparve più forte dell’imperativo a fare il male, denunciare, approfittare, guadagnare o anche, solamente, ignorare. Ricordarne la memoria non è solo un gesto doveroso verso di loro e le loro famiglie, è importante per il presente condiviso di una società, come la nostra, sempre più ricca di diversità che rischiano di trasformarsi in nuove esclusioni e in cui la tentazione di voltarsi dall’altra parte può apparire la soluzione più facile [...]. La storia non si fa con i se, ma è commovente immaginare cosa sarebbe accaduto se i Giusti fossero stati di più, se la banalità del bene avesse avuto il sopravvento. Così non è accaduto, ma loro ci hanno provato e la memoria dei Giusti riempie di senso anche le scelte a cui ciascun singolo è chiamato nel presente della propria vita quotidiana».
In queste parole sta tutto il significato della pubblicazione curata da Antonia Grasselli e Sante Maletta e che ha coinvolto il liceo scientifico Enrico Fermi di Bologna. Nella seconda parte del libro sono descritti i risultati del progetto didattico; la parte conclusiva riporta gli articoli pubblicati su Avvenire dal settembre 2005 al gennaio 2006, utili per avere ulteriori elementi di riferimento al contesto italiano.




Il libro rosso dei martiri cinesi


Gerolamo Fazzini (a cura di), 
Il libro rosso dei martiri cinesi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2006, 272 pp., euro 16,00

Gerolamo Fazzini (a cura di), Il libro rosso dei martiri cinesi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2006, 272 pp., euro 16,00

Le atrocità perpetrate dal regime comunista cinese nei confronti di sacerdoti e cattolici; le persecuzioni verso chi professava la propria fede cristiana; la perdurante violazione dei diritti umani, le sofferenze inflitte nelle prigioni cinesi dove molti morirono a causa dei maltrattamenti e della fame, condannati ai lavori forzati: come padre Tan Tiande che fu rinchiuso per trent’anni mentre padre Giovanni Huang per venticinque! Sono questi i fatti e le testimonianze raccolte ne Il libro rosso dei martiri cinesi, curato da Gerolamo Fazzini, ed edito da San Paolo e dal Pime. Le persecuzioni non sono terminate, ancora oggi il regime fa vittime: decine di vescovi, preti e laici sono detenuti o agli arresti domiciliari o confinati; di alcuni – la denuncia è recente –, da molti anni non si hanno più notizie. Nei giorni di Natale papa Benedetto XVI non ha mancato di ricordare pubblicamente – l’aveva già fatto nell’agosto scorso – la situazione di sofferenza della Chiesa in Cina. E in questi giorni di metà gennaio un summit di vescovi cinesi tenutosi in Vaticano ha messo a punto la posizione della Santa Sede nei confronti della Repubblica Popolare Cinese (i rapporti sono interrotti dal 1951): è attesa la pubblicazione di una lettera del Papa ai cattolici cinesi.
Questo coraggioso “libro rosso” – rosso come il sangue dei martiri – ripropone alcune storie di persecuzione cristiana relative forse al momento più drammatico del XX secolo. Scriveva padre Giancarlo Politi nel suo libro Martiri in Cina: «Nel travaglio dei primi decenni i martiri sono numerosi, ma ancora si tratta di casi sporadici e separati gli uni dagli altri. Dagli anni Quaranta, invece, la persecuzione diventa sistematica, parte di un progetto perverso che intende pervenire, alla fine, alla soppressione ed eliminazione della religione – e quindi anche della Chiesa – assumendo forme di violenza estrema». Non c’è dubbio che il Novecento sia stato una stagione di persecuzione particolarmente atroce, per ampiezza e intensità. Sono pagine di diario edificanti, queste raccontate da Fazzini, per credenti e non; pagine di fede preziose e rare. Come la storia, in Italia conosciuta da pochi, del martirio vero e proprio dei trentatré monaci trappisti del monastero di Nostra Signora della Consolazione di Yangjiaping: una straordinaria testimonianza di fede! (cfr. pp. 219- 241).
È un libro coraggioso, dicevo, che porta la prefazione del cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo di Hong Kong, ma è anche un documento storiografico di grande valore e importanza; non il primo e non il solo: la letteratura sugli orrori e i crimini della rivoluzione maoista e la sua follia distruttiva comincia a farsi sentire. È interessante che il libro esca a trent’anni esatti dalla morte di Mao, avvenuta il 9 settembre 1976, quasi un tentativo per cominciare a fare i conti con la lunga stagione maoista, almeno qui in Occidente, non ancora in Cina, la nazione più grande del mondo.




Eurosistema. Analisi e prospettive


Giuseppe Guarino, 
Eurosistema. Analisi 
e prospettive, Giuffrè, Milano 2006, 188 pp., euro 18,00

Giuseppe Guarino, Eurosistema. Analisi e prospettive, Giuffrè, Milano 2006, 188 pp., euro 18,00

Giovanni Guarino conosce bene l’Europa e i meccanismi che hanno accompagnato e segnato la sua costruzione in questo ultimo mezzo secolo: ha avuto la ventura di seguire – da diverse prospettive – gli sviluppi del processo di unificazione europea, quasi sin dall’inizio. Sulle tematiche della Comunità e dell’Unione europea, Guarino opera da più di trent’anni con un ruolo molto attivo. Ma oggi si rende necessaria una riflessione, peraltro in corso, sul sistema europeo: «Va consolidata la fiducia nelle istituzioni comunitarie. Se ostacoli non previsti sono insorti, conviene sottrarsi a ogni timore reverenziale, è necessario farli emergere. Occorre conoscerli e studiare come eliminarli. L’unità europea è un bene troppo prezioso. Lo si deve salvaguardare. Il traguardo finale non è stato ancora raggiunto. Bisogna allungare il passo, abbreviare i tempi». Sono le parole con cui l’autore anticipa il suo saggio sull’Eurosistema. Analisi e prospettive. Interessante l’analisi sull’euro contenuta nei capitoli finali (l’XI e il XII), quasi un bilancio sulla nostra economia degli ultimi cinque anni (l’euro è entrato in vigore come unica valuta legale nel 2002). Con una considerazione: nell’ultimo quinquennio né Germania né Francia né Italia hanno realizzato un progresso nelle loro aspettative – e l’Italia aveva sperato nel superamento delle sue difficoltà e almeno nel risanamento delle finanze pubbliche. L’analisi di Guarino però riguarda tutti i Paesi dell’Europa; e la sua conclusione è una critica forte: nella concezione dell’eurosistema, e diversamente da quanto accade nelle democrazie liberali, la moneta e il mercato non sono subordinate alle scelte di un potere sovrano come lo Stato perché le istituzioni comunitarie sono «titolari di soli poteri di attuazione, discrezionalità amministrativa, discrezionalità tecnica, o tecnico giuridica». Perché nella Ue, continua Guarino, mentre è massima la tutela questi, al contrario è molto debole l’influenza che il cittadino può esercitare, come suo diritto, sulla sovranità che non è più dello Stato ma che non è neppure delle istituzioni della Ue, che sono obbligate dai Trattati.
Il mese prossimo verranno celebrati i cinquant’anni della firma dei Trattati di Roma, avvenuta in Campidoglio il 25 marzo 1957: sarà un’ulteriore occasione di riflessione sugli eventi di questo ultimo mezzo secolo che ha visto l’Europa fare passi avanti nel processo di integrazione, ma anche subire pericolose battute d’arresto. La Fondazione Alcide De Gasperi per l’occasione organizzerà un interessante convegno che pone un serio interrogativo più che mai attuale: dopo cinquant’anni, l’Europa è all’anno zero?


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