Rubriche
tratto dal n.04 - 2003


Il governo Sharon e la guerra dei visti


Egregio direttore,
le scrivo a proposito dell’articolo di Gianni Valente dal titolo La guerra dei visti pubblicato su 30Giorni di marzo 2003.
Innanzitutto vorrei chiarire che il nuovo governo dello Stato d’Israele, insediatosi dopo le elezioni del 28 gennaio u.s., si è impegnato per risolvere la questione del rilascio di visti agli ecclesiastici. Le difficoltà burocratiche per tali permessi di soggiorno non hanno alcun legame con le posizioni del governo d’Israele in relazione al conflitto israelo-palestinese, all’interno del quale nessuno «cerca di saldare i conti con realtà ecclesiali locali politicamente invise all’attuale leadership israeliana». L’iter burocratico è stato rallentato da gravi problemi di sicurezza ai quali lo Stato d’Israele deve quotidianamente far fronte da due anni e mezzo a questa parte.
Fortunatamente proprio oggi il Ministero degli Interni dello Stato d’Israele ha deciso di tornare alla prassi secondo la quale vengono concessi visti a ecclesiastici appartenenti alle Chiese presenti sul territorio israeliano, dopo verifica (più o meno approfondita, a seconda dei casi) di detta appartenenza da parte del ministro per gli Affari religiosi.
Nell’articolo si accenna al fatto che, sino a poco tempo fa, «il Ministero dell’Interno era nelle mani di un esponente dello Shas», che viene descritto come un partito «estremista e xenofobo». A mio avviso tale terminologia non è indicata.
Per quanto riguarda l’accenno all’episodio dello scorso 17 gennaio, in cui è stato coinvolto monsignor Sabbah, voglio che sia chiaro che è stato il patriarca stesso a decidere, in questa isolata occasione, di non partire. Monsignor Sabbah viaggia moltissimo, infatti anche in questi ultimi giorni si è recato in Italia. Attualmente in tutto il mondo i controlli negli aeroporti sono molto rigidi, a maggior ragione deve purtroppo essere così in Israele, visto l’alto rischio di attacchi terroristici. Anche i diplomatici vi si sottopongono.
Non vi è alcun legame tra l’episodio che ha coinvolto il patriarca Sabbah e le posizioni teologiche delle Chiese orientali, il cui insegnamento dottrinale può, qualche volta, sembrare incompatibile con lo spirito della dichiarazione Nostra aetate; fermo restando il diritto di ognuno di esprimere liberamente le proprie idee politiche.
La parte finale dell’articolo solleva la questione delle trattative finanziarie tra Santa Sede e Stato d’Israele. Argomento talmente complesso che forse andrebbe trattato in separata sede. Le parti interessate al raggiungimento di un accordo sono ormai arrivate alla fase in cui è necessaria l’adozione di decisioni da parte delle più alte cariche di governo. Le elezioni anticipate hanno causato l’interruzione dei lavori della commissione poiché in uno Stato democratico, quale è Israele, non era possibile proseguire i lavori senza prima procedere alla formazione del nuovo governo.



Prendiamo atto che in data 2 aprile, il nuovo governo d’Israele ha deciso di ripristinare entro breve tempo la prassi abituale nella concessione dei visti di ingresso e dei permessi di residenza richiesti dagli ecclesiastici. Ponendo fine alla situazione anomala che si era creata nell’ultimo anno, documentata nel nostro articolo.





Le ragioni della forza o la forza della ragione



Caro direttore,
disponiamo di missili intercontinentali, di armi sofisticate, di “bombe intelligenti”, di ordigni nucleari, di armi chimiche e batteriologiche e di quant’altro, ma dal punto di vista psicologico e morale i moventi primi della guerra dei nostri giorni sono sempre quelli che hanno motivato i delitti e i conflitti dei primi abitanti e dei primi popoli della terra, nonché degli uomini delle caverne che, non disponendo d’altro che di pietre e di bastoni, o di mascelle d’asino (vedi Caino, il primo omicida e fratricida della storia) per massacrare e uccidere i loro rivali, e che per averla vinta, pensavano fosse meglio affidarsi alle ragioni della forza, anziché alla forza della ragione.
La storia dell’umanità si è dunque fermata alla mentalità, ai criteri di giustizia e alle terapie vigenti all’età della pietra? Millenni di storia, di odi furibondi, di guerre, di violenze, non sono dunque serviti a nulla? Non sono serviti a farci capire che la violenza chiama violenza e le vendette chiamano vendette a non finire? Non sono serviti a convincerci – anche sul piano meramente umano, razionale – che il male non si può curare con un altro male?
Un tempo si diceva che la storia era “magistra vitae”, adesso questo aforisma è divenuto una risibile e sarcastica boutade
Perché continuare a pretendere di risolvere con le armi assassine, anziché con gli argomenti della ragione e della forza morale di cui siamo fin oggi in qualche modo dotati? È dunque vero ciò che affermava il filosofo anglosassone: «Homo homini lupus»?
Si promuovono incontri ed assemblee internazionali, tribunali, per dirimere contrasti ed evitare ingiustizie e spargimenti di lutti e di sangue: ma si continuano a fare guerre, ad affidare la soluzione dei problemi della giustizia e della libertà alla forza bruta e cieca delle armi. A che servono allora le Nazioni Unite e i tribunali internazionali che pur sono stati creati con il consenso pressoché unanime delle nazioni e secondo un criterio democratico di confronto e di dialogo civile e responsabile delle parti?
Errare humanum est”. Ed è vero. Ma è pur vero che “perseverare è diabolico”. E infatti il “Principe di questo mondo” – Lucifero – è all’inizio di ogni divisione in cielo e in terra.
Si parla con insistenza, in questi ultimi tempi, della necessità di una revisione dell’ordine internazionale: dalle Nazioni Unite ai tribunali della giustizia al di sopra degli Stati nazionali: ma la prima indispensabile esigenza è la “conversione dei cuori” e il “disarmo delle coscienze”, in particolare di quelli che si dicono cristiani. San Josemaría Escrivá diceva che la pace è frutto della guerra combattuta e vinta contro le nostre passioni e peccati personali.
Concludo con l’augurio pasquale che Gesù risorto voglia aiutarci a dire “no” ai “figli dell’ira” e a contribuire con fermezza e determinazione a edificare il regno di Dio che è «regno di giustizia, di amore e di pace».


P.s.: Complimenti vivissimi per 30 Giorni, la più interessante e documentata rassegna cultural-religiosa ed ecclesiale, che val la pena di leggere da cima a fondo.


 




Chi prega si salva anche nelle carceri


Signor direttore,
sono il cappellano della Casa circondariale di Pescara e vengo a lei per chiedere se è possibile avere delle copie di Chi prega si salva per i fratelli reclusi.
La richiesta mi è pervenuta proprio da loro, in quanto alcuni di loro, provenienti da altri istituti, ne sono in possesso.
Confidando nella sua generosità e disponibilità la saluto e ringrazio per questo strumento di preghiera che vorrà donare ai fratelli che vivono un disagio e confidano nel Signore. Di cuore la benedico.




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